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POLAROID

Post n°170 pubblicato il 05 Novembre 2009 da JayVincent

 

Scatto uno.

Domenica, Assago, interno pomeriggio.

Time out, Bucchi disegna un gioco sulla lavagna (no, non èquesto l’evento che lascia stupiti).

Si rivolge a Petravicius, cerca Finley per parlare del loro pickand roll.

Finley non è lì, sta puntando un dito contro Mordente che a muso duro gli grandina addosso qualcosa.

Il coach li cerca, loro vanno avanti per la loro strada.

 

Scatto due.

Ancora domenica, ancora Assago, ancora interno pomeriggio.

Il sempre presunto coach ha la squadra intorno a sé, Pianigiani ha chiamato time out con Milano rientrata a contatto. Mike Hall si mette da parte, mezzo metro alla sinistra del gruppo, guarda in giro, incontra lo sguardo di qualcuno del parterre e si mette a chiacchierare un alfabeto di gesti e smorfie.


Scatto tre.

Mercoledì, Gdynia, interno notte.

Finley dietro l’arco dei tre punti, gioca con Petra in pitturato. Il lituano, contro Sow, scarica ancora per Morris che, invece di giocare l’immediato repost per il nostro centro che aveva preso posizione, si domanda che fare. Tiro non tiro? Attacco non attacco? Sono un playmaker o non lo sono?

Quando decide di giocare il repost, arriva il fallo in attacco per Petravicius, che da almeno 2-3 secondi stava lottando per stare davanti.

 

Ce ne sarebbero ben altri, di scatti, ma mi fermo a questi recentissimi per arrivare a leggere problematiche semplici e ovvie, che galleggiano in superficie.

In questa squadra ognuno va per conto proprio, slegato da lconcetto di gruppo e, soprattutto, da quello di giocare insieme.

Del resto a Milano c’è un coach che ha sempre scelto la via più individualista possibile per andare a canestro, chiedendo poi a tutti di stare sulla stessa barca in difesa.

Ma in una squadra di potenziali solisti, come quella di quest’anno, è più difficile fare figli e figliastri, è più difficile chiedere gambe piegate senza coinvolgimento offensivo. È una squadra dove il nervosismo si avverte al solo sguardo, dove le lamentele mi dicono essere all’ordine del giorno, dove forse – e questa tengo a precisare è una mia valutazione – ci sono gelosie in stato larvale che vanno bonificate subito e con terapie d’urto.

E poi, quello che sarà il problema strutturale dell’anno, ovvero l’aver dato le chiavi della squadra in mano a un ragazzo che di quelle chiavi se ne fa niente; le mette in tasca e cerca di sfondare la porta a spallate.

La polaroid relativa al ritardato repost per Petra è, a mio avviso, un manifesto fedelissimo dei problemi tattici di questa squadra.

Se il giocatore che dovrebbe mettere in moto tutto il tuo attacco, fatto di individualità e di soluzioni offensive variegate, vive nell’eterno dilemma del tiro o non tiro, passo o non passo, si è destinati a essere una bomba disinnescata.

Anzi, una bomba che rischia di esplodere in mano a chi dovrebbe farne buon uso.

Al di là del carneade Jagla e di Pape Sow, del folletto Logan o dei cecchini senesi, oltre il pick and roll Childress-Slay, oltre le penetrazioni di Di Bella.

Il problema, prima che in campo, è al sorgere di ogni giorno in cui si lascia tutto com’è accampando sempre e solo scuse, oppure convinti di avere fatto un lavoro talmente perfetto da non essere discutibile.

È pensare che si perda, ma anche si vinca allora, solo per episodi, per sfortuna o per una tragica mancanza di centesimi per fare l’euro.

Non è così. Sia ben chiaro.

 

 

 
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