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« IL LODO BUCCHIPOLAROID »

TRA PALCO E REALTÀ

Post n°169 pubblicato il 26 Ottobre 2009 da JayVincent

 

Raccontiamocela piatta.

Il dato numerico, stringente, è che ci sono probabilità concrete che questa squadra si trovi tra due settimane, in campionato, con un record di 1-4.

Le abbordabili prime tre giornate erano il viatico migliore per mettere benzina verde e presentarsi al primo vero esame Siena-Virtus con entusiasmo.

Perché preoccuparsi di questo? Semplicemente perché le stagioni non sono tutte uguali e le partenze ad handicap non sempre si risolvono con pazienti risalite, grandissime aperture di credito, mercato frenetico e finali inattese a sanare tanti dubbi e perplessità.

Quello che trovo inaccettabile è che a fine ottobre questo gruppo sia ancora un cantiere aperto.

Quello che trovo tremendamente preoccupante è che il cantiere resterà aperto per un bel po’, almeno finchè si scoprirà che quel cantiere non riesce a costruire una casa per difetti che sono strutturali.

E che quindi ci si dovrà accontentare di risolvere le partite con il talento dei singoli, con le giocate di quello che avrebbe dovuto essere il tuo playmaker.

Che è un giocatore pregiato, anche eccellente, ma non è un playmaker e i momenti di bambola assoluta a Caserta, come a Varese, come nelle due gare interne contro Ferrara e Panathinaikos stanno lì a dimostrarlo.

Perché quando in questa squadra si blocca il singolo, si interrompe l’assolo, il coro stecca tremendamente e non sa più trovare la nota giusta da cui ripartire.

E il direttore d’orchestra? Il direttore è su un altro spartito, lo è dallo scorso anno, solo che tempo addietro fu condotto per mano dai propri orchestrali a trovare un punto d’incontro.

Che privilegiava quelli in grado di farlo sentire direttore, mentre quelli che si prendevano la responsabilità di guidare la banda su altre note, sono stati messi al bando.

Chi ha avuto ragione? Piero Bucchi, perché il criterio di oggettività vuole che alla fine il risultato sia prioritario.

Però non si può fondare un progetto nella speranza che il passato si ripeta, soprattutto se il passato affonda le sue radici più nei bizzarri ghirigori del caso e del fato piuttosto che nella piena meritocrazia.

 

È pericoloso navigare in acque che, anche se affrontate nel modo migliore, potranno farti attraccare sempre e comunque solo al secondo posto.

Perché la noia, l’impossibilità di arrivare davanti a tutti,sono sabbie mobili e possono fungere da bloster all’ambizione, alla voglia di crescere.

Chi parte da secondo, sulla carta può essere secondo e lavora per essere secondo, rischia di spegnersi se non c’è qualcosa, o qualcuno, che tiene viva la voglia di andare oltre.

Ed è molto più facile che nel guardare quanto è piccolo e lontano chi ti precede, ci si dimentichi di chi arriva da dietro e invece ha una voglia matta di superarsi e superarti.

Servono grande orgoglio e grandi palle per essere una squadra consapevole, soprattutto ci vuole qualcuno che non sia convinto di essere credibile solo grazie alla somma algebrica degli stipendi e del valore presunto dei propri solisti.

 

A Caserta e a Varese, Milano ha perso due partite con un denominatore comune più che preoccupante: per 40 minuti ha subito sempre la stessa situazione tattica, dal primo all’ultimo minuto, senza nessuna capacità di porre un argine.

Speriamo che chi ha provato a uscire dallo spartito e ad opporsi alla bacchetta dell’intensity non sia epurato ed etichettato in corrispondenza della commemorazione per i defunti.

 

 

 
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