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« LA PIOGGIA E L’ESILIOPOLVERE DI STELLE »

SIPARIO

Post n°104 pubblicato il 09 Giugno 2007 da JayVincent

Cala pesante, su questa stagione, su un anno di delusione e di sopportazione.
Un anno di errori, a volte marchiani, che ha ribadito se ancora ce ne fosse bisogno quanto l’Olimpia sia una barchetta in mezzo al mare, sballottata dalle onde come un guscio di noce.
Personalmente nutrivo pochi dubbi sulla sconfitta di ieri, ennesimo esempio di come una squadra vera, in termini di coesione, grinta, forza di volontà, possa avere la meglio su uno sconnesso gruppo di mezzi talenti più o meno accrocchiati, guidati da un condottiero senza arte né parte.
Uno che a fine partita, nell’ultima conferenza stampa dell’anno, dice che la stagione milanese è stata esaltante, caratterizzata da un gruppo coeso che ha combattuto per conquistare il traguardo dell’Eurolega, è semplicemente uno spudorato mentitore.
E la menzogna è doppia: perché il gruppo non è mai stato unito, bensì sempre minato da invidie, ripicche, gelosie.
E poi perché la conquista dell’Eurolega è solo una foglia di fico dietro cui nascondere indecenti vergogne.
Mio caro Sasha DJ, fatto salvo che le qualità di coach sono tutte da dimostrare e ciò che si è visto non depone a favore di una tua brillante carriera in panchina, mi sarebbe piaciuto che almeno stavolta non avessi abbassato la testa, quella che in campo avevi sempre alta.
Dopo mesi in cui ti hanno esposto alla berlina, ti hanno messo sulla graticola un giorno si e l’altro pure, in cui ti hanno chiuso in un angolo operando scelte frutto di un tornaconto molto diverso da quello puramente sportivo, beh dopo tutto questo mi sarei aspettato una reazione di orgoglio.
E invece niente, parole leggere che il vento si è già portato via, parole inutili che ti sconfiggono.
Molto più umanamente che tecnicamente.
Sipario anche su di te Sasha mio, perché nella memoria ci resti tu da giocatore, ci restano la corsa sui rotori e le due triple di gara-5 a Treviso, parentesi che racchiudono tanti attimi, tante sere, tanti urli di gioia.
Ma adesso devo prendermi cura della mia squadra, di ciò che più mi sta a cuore e mi dispiace, ma tu non sei adeguato.
Getto l’aplomb, lo getto insieme al sentimentalismo, perché in nome di questo sarei costretto a pensare che due come Dante Calabria e Mario Gigena si meriterebbero di restare qui.
Ma bisogna passare oltre.
Vi accompagnerò alla porta con affetto, vi stringerò la mano con la stima che si riserva a quelli che ti guardano negli occhi.
Poi mi dedicherò alle maniere forti, ai calci nel sedere per spedire più lontano possibile da qui gente senza cuore né cervello, che andrà a rubare uno stipendio altrove.
Joseph Blair e la sua valigia del circo, Nate Green e la sua beota ignoranza cestistica, Kiwane Garris e le sue giocate senz’anima, Massimo Bulleri e la sua stupidità cieca e sorda.
Il peggio del peggio, gente che non ci ha capito niente dall’inizio dell’anno, gente ottusamente convinta di potere essere protagonista a discapito dei compagni.
Una partita come quella di ieri ha voce a sufficienza per urlare, per gridare al mondo intero come non ci sia cuore nel petto di questi mezzi figuri.
Sbagliare tutto lo sbagliabile, dimenticarsi cos’è la vita e cosa significa chiudere gli occhi orgogliosi di se stessi.
Ma del resto, finchè esisterà una società gestita da questi personaggi, che non hanno l’amor proprio di andarsi a nascondere con 3000 firme contro, che minimizzano ogni contestazione, che fanno minacciare le più democratiche proteste, che bollano e deridono coloro i quali ogni anno contribuiscono a pagargli lo stipendio, non si potrà che assistere a spettacoli sempre più osceni.
Un General Manager che per sopperire all’assenza della sua ala forte aspetta quattro mesi e poi la sostituisce con un visto extracomunitario - che dopo qualche apparizione è costretto a fare la muffa in tribuna - non deve nemmeno arrivare a fine stagione, deve essere destituito per manifesta incapacità.
Invece sul suo futuro cala un velo di silenzio, quel silenzio sotto il quale si firmeranno rinnovi di contratto, nel perpeturasi di un patto di ferro foriero di delusioni.

E le mani restano inermi, e le forze mancano.
La giostra si rimetterà presto in moto, con il suo incedere lento e ritmico, sempre uguale, sempre circolare.
E mentre cala il sipario io ho voglia di scendere.

 
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