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Un blog creato da mallarme2005 il 20/06/2007

Si sta come dautunno

Sugli alberi le foglie

 
 

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Nel silenzio...

Post n°26 pubblicato il 08 Agosto 2007 da mallarme2005





Mi piaci silenziosa, perché sei come assente
mi senti da lontano e la mia voce non ti tocca.
Par quasi che i tuoi occhi siano volati via
ed è come se un bacio ti chiudesse la bocca.

Tutte le cose sono colme della mia anima
e tu da loro emergi, colma d'anima mia.
Farfalla di sogno, assomigli alla mia anima
ed assomigli alla parola malinconia.

Mi piaci silenziosa, quando sembri distante.
E sembri lamentarti, tubante farfalla.
E mi senti da lontano e la mia voce non ti arriva:
lascia che il tuo silenzio sia il mio silenzio stesso.

Lascia che il tuo silenzio sia anche il mio parlarti,
lucido come fiamma, semplice come anello.
Tu sei come la notte, taciturna e stellata.
Di stella è il tuo silenzio, così lontano e semplice.

Mi piaci silenziosa perché sei come assente.
Distante e dolorosa come se fossi morta.
Basta allora un sorriso, una parola basta.
E sono lieto, lieto che questo non sia vero.

 
 
 

Che vuol dir questa solitudine immensa?

Post n°25 pubblicato il 30 Luglio 2007 da mallarme2005






Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai,



Silenziosa luna?



Sorgi la sera, e vai,



Contemplando i deserti; indi ti posi.



Ancor non sei tu paga



Di riandare i sempiterni calli?



Ancor non prendi a schivo, ancor sei vaga



Di mirar queste valli?



Somiglia alla tua vita



La vita del pastore.



Sorge in sul primo albore;



Move la greggia oltre pel campo, e vede



Greggi, fontane ed erbe;



Poi stanco si riposa in su la sera:



Altro mai non ispera.



Dimmi, o luna: a che vale



Al pastor la sua vita,



La vostra vita a voi? dimmi: ove tende



Questo vagar mio breve,



Il tuo corso immortale?



Vecchierel bianco, infermo,



Mezzo vestito e scalzo,



Con gravissimo fascio in su le spalle,



Per montagna e per valle,



Per sassi acuti, ed alta rena, e fratte,



Al vento, alla tempesta, e quando avvampa



L'ora, e quando poi gela,



Corre via, corre, anela,



Varca torrenti e stagni,



Cade, risorge, e più e più s'affretta,



Senza posa o ristoro,



Lacero, sanguinoso; infin ch'arriva



Colà dove la via



E dove il tanto affaticar fu volto:



Abisso orrido, immenso,



Ov'ei precipitando, il tutto obblia.



Vergine luna, tale



È la vita mortale.



Nasce l'uomo a fatica,



Ed è rischio di morte il nascimento.



Prova pena e tormento



Per prima cosa; e in sul principio stesso



La madre e il genitore



Il prende a consolar dell'esser nato.



Poi che crescendo viene,



L'uno e l'altro il sostiene, e via pur sempre



Con atti e con parole



Studiasi fargli core,



E consolarlo dell'umano stato:



Altro ufficio più grato



Non si fa da parenti alla lor prole.



Ma perché dare al sole,



Perché reggere in vita



Chi poi di quella consolar convenga?



Se la vita è sventura



Perché da noi si dura?



Intatta luna, tale



E` lo stato mortale.



Ma tu mortal non sei,



E forse del mio dir poco ti cale.



Pur tu, solinga, eterna peregrina,



Che sì pensosa sei, tu forse intendi,



Questo viver terreno,



Il patir nostro, il sospirar, che sia;



Che sia questo morir, questo supremo



Scolorar del sembiante,



E perir dalla terra, e venir meno



Ad ogni usata, amante compagnia.



E tu certo comprendi



Il perché delle cose, e vedi il frutto



Del mattin, della sera,



Del tacito, infinito andar del tempo.



Tu sai, tu certo, a qual suo dolce amore



Rida la primavera,



A chi giovi l'ardore, e che procacci



Il verno co' suoi ghiacci.



Mille cose sai tu, mille discopri,



Che son celate al semplice pastore.



Spesso quand'io ti miro



Star così muta in sul deserto piano,



Che, in suo giro lontano, al ciel confina;



Ovver con la mia greggia



Seguirmi viaggiando a mano a mano;



E quando miro in cielo arder le stelle;



Dico fra me pensando:



A che tante facelle?



Che fa l'aria infinita, e quel profondo



Infinito seren? che vuol dir questa



Solitudine immensa? ed io che sono?



Così meco ragiono: e della stanza



Smisurata e superba,



E dell'innumerabile famiglia;



Poi di tanto adoprar, di tanti moti



D'ogni celeste, ogni terrena cosa,



Girando senza posa,



Per tornar sempre là donde son mosse;



Uso alcuno, alcun frutto



Indovinar non so. Ma tu per certo,



Giovinetta immortal, conosci il tutto.



Questo io conosco e sento,



Che degli eterni giri,



Che dell'esser mio frale,



Qualche bene o contento



Avrà fors'altri; a me la vita è male.



O greggia mia che posi, oh te beata,



Che la miseria tua, credo, non sai!



Quanta invidia ti porto!



Non sol perché d'affanno



Quasi libera vai;



Ch'ogni stento, ogni danno,



Ogni estremo timor subito scordi;



Ma più perché giammai tedio non provi.



Quando tu siedi all'ombra, sovra l'erbe,



Tu se' queta e contenta;



E gran parte dell'anno



Senza noia consumi in quello stato.



Ed io pur seggo sovra l'erbe, all'ombra,



E un fastidio m'ingombra



La mente, ed uno spron quasi mi punge



Sì che, sedendo, più che mai son lunge



Da trovar pace o loco.



E pur nulla non bramo,



E non ho fino a qui cagion di pianto.



Quel che tu goda o quanto,



Non so già dir; ma fortunata sei.



Ed io godo ancor poco,



O greggia mia, né di ciò sol mi lagno.



Se tu parlar sapessi, io chiederei:



Dimmi: perché giacendo



A bell'agio, ozioso,



S'appaga ogni animale;



Me, s'io giaccio in riposo, il tedio assale?



Forse s'avess'io l'ale



Da volar su le nubi,



E noverar le stelle ad una ad una,



O come il tuono errar di giogo in giogo,



Più felice sarei, dolce mia greggia,



Più felice sarei, candida luna.



O forse erra dal vero,



Mirando all'altrui sorte, il mio pensiero:



Forse in qual forma, in quale



Stato che sia, dentro covile o cuna,



È funesto a chi nasce il dì natale.

 
 
 

Il genio di Rimbaud, il genio di Modigliani.

Post n°24 pubblicato il 30 Luglio 2007 da mallarme2005



- Ella era ben poco vestita

E degli alberi grandi e indiscreti

Flettevano i rami sui vetri

Con malizia, vicino, vicino...



Seduta sul mio seggiolone,

Seminuda, giungeva le mani.

Al suolo fremevano lieti

i suoi piccolissimi piedi.



- Io guardavo, colore di cera,

un piccolo raggio di luce

sfarfallare nel suo sorriso

e sul suo seno, - mosca al rosaio.



- Le baciai le caviglie sottili.

Ebbe un ridere dolce e brutale

Che si sciolse in un limpido trillo,

Un ridere grazioso di cristallo.



I suoi piedini sotto la camicia

Si salvarono: "Beh, vuoi finirla?"

- La prima audacia era stata permessa,

Ma ridendo fingeva di punirla!



- Baciai, palpitanti al mio labbro,

I suoi timidissimi occhi;

- Lei ritrasse la sua testolina

Esclamando: "Ma questo è ancor meglio!...



Signore, ho qualcosa da dirvi..."

Tutto il resto gettai sul suo seno

In un bacio, del quale ella rise

D'un riso che fu generoso...



- Ella era ben poco vestita

E degli alberi grandi e indiscreti

Flettevano i rami sui vetri

Con malizia, vicino, vicino...

 
 
 

Baudelaire sconfitto

Post n°23 pubblicato il 19 Luglio 2007 da mallarme2005


Tu metteresti l'universo intero nella tua alcova

donna impura: la noia ti rende crudele.

Per tenere in esercizio i tuoi denti al tuo singolare gioco,

ti necessita, ogni giorno, un cuore sulla rastrelliera.


I tuoi occhi, illuminati come botteghe

o antenne fiammeggianti nelle feste pubbliche,

fanno uso, con insolenza, d'un potere preso a prestito

senza conoscere la legge della bellezza.


O macchina cieca e sorda, feconda in atrocità!

Salutare strumento che ti sazi del sangue del mondo,

com'è che non hai vergogna, com'è

che non vedi impallidire le tue attrattive dinanzi a ogni specchio?


La grandezza del male in cui ti reputi sapiente

non t'ha mai fatto indietreggiare di spavento,

quando la natura, grande nei suoi fini segreti,


si serve di te, femmina, regina del peccato

 – di te, vile animale – per plasmare un genio?

O fangosa grandezza! Suprema ignominia!

 
 
 

IL PORTATORE DI LUCE

Post n°22 pubblicato il 19 Luglio 2007 da mallarme2005



Lo 'mperador del doloroso regno

da mezzo 'l petto uscìa fuor de la ghiaccia;

e più con un gigante io mi convegno,

 

che i giganti non fan con le sue braccia:

vedi oggimai quant'esser dee quel tutto

ch'a così fatta parte si confaccia.

 

S'el fu sì bel com'elli è ora brutto,

e contra 'l suo fattore alzò le ciglia,

ben dee da lui proceder ogne lutto.

 

Oh quanto parve a me gran maraviglia

quand'io vidi tre facce a la sua testa!

L'una dinanzi, e quella era vermiglia;

 

l'altr'eran due, che s'aggiugnieno a questa

sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,

e sé giugnieno al loco de la cresta:

 

e la destra parea tra bianca e gialla;

la sinistra a vedere era tal, quali

vegnon di là onde 'l Nilo s'avvalla.

 

Sotto ciascuna uscivan due grand'ali,

quanto si convenia a tanto uccello:

vele di mar non vid'io mai cotali.

 

Non avean penne, ma di vispistrello

era lor modo; e quelle svolazzava,

sì che tre venti si movean da ello:

 

quindi Cocito tutto s'aggelava.

Con sei occhi piangea, e per tre menti

gocciava 'l pianto e sanguinosa bava.

 

Da ogne bocca dirompea co' denti

un peccatore, a guisa di maciulla,

sì che tre ne facea così dolenti.

 

A quel dinanzi il mordere era nulla

verso 'l graffiar, che talvolta la schiena

rimanea de la pelle tutta brulla.

 
 
 
 

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