Creato da: CarloCarlucci il 22/08/2004
"Pensieri oziosi di un ozioso"

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Post N° 26

Post n°26 pubblicato il 29 Settembre 2004 da CarloCarlucci

“Quid quid est, si quid est, est ens”
S.Tommaso

Questa semplice frase, « ciò che è, se è, è ente », racchiude il dramma della perdita del Divino nel mondo. Paradossale, visto chi fu a pronunciarla.
Ciò che è, è ente. Materia. Cosa.
E Dio? Inarrivabile, infinito, lontano, sempre più lontano. Il Dio della scolastica è il Dio che si ritrae dal mondo, e lascia le cose in balìa della scienza.

“Dio è il puro nulla: non lo tocca né l’ora né il qui” recitava Angelo Silesio.
Ciò che è di questo mondo, è cosa, materia, sostanza.
Tommaso e gli scolastici separano Dio dall’uomo, lo resero altro, e perdettero l’esperienza del Divino, del Mistero, del non-dicibile.
Così Dio si fece assente dal mondo, e andarono perse le parole per l’esperienza del Divino.
Nel mondo delle cose, cosa tra cose esso stesso, si perde l’esperienza del mondo come DIFFERENZA: il mondo non è cosa, è lo slargo, l’apeirion, che permette alle cose di collocarsi, di essere.

E’ in questo slargo che può darsi l’aletheia, il disvelamento, l’illuminazione data dal linguaggio.
E il linguaggio illumina in quanto oscura: la folgore eraclitea in tanto illumina, in quanto proietta ombre: le cose che vediamo nella luce abbagliante del linguaggio, lasciano dietro a loro un’ombra che non possiamo vedere in quanto è ombra del linguaggio, ciò che il linguaggio non può esprimere. O non può esprimere ancora.

Ed è nel darsi di quell’ombra che si rivela il Divino.
La natura del linguaggio è quello di essere incessante produttore di significati. Il linguaggio per darsi ha da essere produzione continua di significati, di parole da caricare di sensi sempre nuovi.
Nel silenzio del linguaggio, si dà il nulla. L’ombra del silenzio, il luogo donde cui provengono tutti i significati possibili, mai esprimibili tutti insieme, e una volta per tutte.
Noi esistiamo NEL linguaggio, abbiamo da parlare per esistere. E perciò abbiamo da produrre significati sempre nuovi.
Il linguaggio rinnova, e il linguaggio perde ciò che tace. Il linguaggio illumina dall’ombra e all’ombra restituisce. Ciò che è taciuto, ciò che non può esser detto, appartiene al Mistero.

Proveniamo dall’ombra, e all’ombra dobbiamo ritornare. Il Mistero di questo provenire, e di questo ritornare, è tutto ciò che sappiamo del Divino.

“Stat rosa pristina nomine. Nomina nuda tenemus”. Settecento anni dopo, ancora ci interroghiamo su questa frase.
L’inafferrabilità del referente, ci spiega forse più di ogni altro dire l’assenza del Divino dal mondo.

 
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