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LE ORIGINI DELLE PRIGIONI (parte I) 

Post n°38 pubblicato il 11 Dicembre 2007 da geko1963
 

Premessa: il testo che segue è di Catia Alexandra Vieira, pubblicato sulla rivista Antigone, quadrimestrale di critica del sistema penale e penitenziario. E' un testo che ha un approccio storico al carcere, come dice la stessa autrice, e sottolinea quanto il carcere non è estraneo alla società, ma è parte di essa, nasce come nascono tutte le altre istituzioni, per cui riflette il contesto culturale, politico, sociale, economico della società contemporanea.

"La storia vuol cogliere gli uomini al di là delle forme sensibili del paesaggio, degli arnesi delle macchine, degli mscritti in apparenza più freddi e delle istituzioni in apparenza più completamente staccate da coloro che le hanno create" (Bloch, 1969). In particolare si tratta di demistificare il carcere: non è nato con il primo uomo, non è stato sempre l'equivalente ad una punizione. Propone e prova modelli di organizzazione sociale o economici che sono già presenti nella società o che sivogliono imporre, riflette una società relativamente recente, insieme con altri modelli di controllo sociale. Ma questa è una questione polemica. Cercheremo soltanto di far capire come si è arrivati al concetto  contemporaneo di carcere e a contestualizzarlo storicamente e socialmente.

L'argomento è delicato. E' impossibile scrivere del carcere senza indignarsi: sia perchè non riesce a svolgere la sua funzione, sia per il modo in cui viene gestito solitamente. Pensare l'origine del carcere, i motivi della sua affermazione dispotica è pensare a un dilemma, ad una contraddizione interna alla nostra società. Interpretare il lavoro forzato come l'autentico movente della nascita del carcere, come si vedrà più avanti, è insufficiente. Un approccio a questo tema si deve collocare sullo sfondo della complessa organizzazione sociale, isolata o estranea; anzi, nasce in un modo coerente con altre istituzioni, in un determinato contesto di rapporti sociali, come dimostrano Erving Goffman e Michel Foucault. 

Nel sistema di produzione pre-capitalistica il carcere come pena non esisteva. Nel medioevo venivano chiusi in prigione i debitori, in attesa che onorassero i loro impegni, e coloro che attendevano di essere processati, per evitarne la fuga o per estorcere loro confessioni torturandoli. Era, insomma, un luogo di custodia dell'imputato o del debitore, mentre nell'epoca moderna il carcere diventa la principale modalità di esecuzione della sanzione penale. Si può probabilmente sostenere che l'origine del carcere moderno non si trovi in quei luoghi di custodia, ma in un insieme di istituzioni chiuse pensate per altri scopi sociali: ospedali, ospizi, alberghi per poveri, case di correzione. Non è un caso, infatti, che il carcere moderno nasca e si sviluppi insieme alle fabbriche, alle banche, agli ospedali e ai manicomi.

Da un punto di vista strettamente economico, è l'avvento del sistema capitalistico che permette e favorisce la diffusione della pena carceraria. Rusche e Kircheimer, in una prospettiva teorica marxista, interpretano il lavoro forzato come l'autentico movente della nascita del carcere. Secondo tali autori, la borghesia ha fatto uso della manodopera dei detenuti nei periodi caratterizzati da scarsità di offerta di lavoro e, nei periodi invece di sviluppo economico, ha utilizzato il carcere per indurre il proletariato ad accettare condizioni di lavoro disagiate pur di evitare i rigori della detenzione. In Italia, questa prospettiva viene ripresa da Dario Melossi e Massimo Pavarini (1979). Questa idea di sanzione come privazione di una quota di libertà, determinata in modo astratto, diventa possibile storicamente solo in quel processo economico "in cui tutte le forme della ricchezza sociale vengono ricondotte alla forma più semplice ed astratta del lavoro umano misurato nel tempo". Da una parte è il capitalismo che diffonde il carcere-pena; dall'altra è il carcere stesso, strumento della borghesia, che crea le condizioni per lo sviluppo del capitalismo.

Secoli XV e XVI, Inghilterra: la rivoluzione industriale crea una massa di lavoratori aspropriati che diventano mendicanti, vagabondi, briganti. "Alla fine del secolo XV e durante tutto il secolo XVI si ha perciò in tutta l'Europa occidentale una legislazione sanguinaria contro il vagabondaggio. I padri dell'attuale classe operaia furono puniti, in un primo tempo per la trasformazione in vagabondi e miserabili che avevano subito. La legislazione li trattò come delinquenti volontari e partì dal presupposto che dipendesse dalla loro buona volontà il continuare a lavorare o meno nelle antiche condizioni non più esistenti", scriveva Marx ne Il Capitale.

Nel 1557 viene creata nel palazzo di "Bridewell" la prima house of correction con lo scopo non solo di riformare gli internati attraverso il lavoro obbligatorio e la disciplina ferrea, ma anche di scoraggiare altri dal vagabondaggio e dall'ozio. E' tuttavia nell'Olanda della prima metà del XVIII secolo (che Marx indica come modello di nazione capitalistica) che la "casa di lavoro" raggiunge la sua forma più alta di sviluppo. Sono conosciute sotto il termine di "Rasphuis" in quanto l'attività lavorativa fondamentale era quella di grattugiare con una sega un certo legno fino a farne una polvere che serviva per tingere i filati. Attraverso la monotona pratica del rasping si concretizzava la funzione correzionale, ovvero l'apprendimento da parte dei lavoratori della disciplina necessaria per la produzione industriale.

In questo senso, le istituzioni carcerarie, fin dalla loro nascita, sono state uno strumento della classe borghese. Pure se l'idea di queste case era quelle di proteggere i soggetti deboli dalle trasformazioni sociali ed economiche del '800 (soprattutto quelli espulsi dalle campagne), si sono sviluppate nel senso contrario di "proteggere la società borghese da questi elementi di disturbo tenendoceli dentro a forza e inculcandogli qualche nozione disciplinare teoricamente idonea a renderli meno spersi nel mondo" (Bassetti. 2003).

Si potrebbe dire, con Michel Foucault, che il carcere rappresenta l'evoluzione delle case di lavoro, avendo preso in prestito dalle celle conventuali l'isolamento cellulare e la divisione dello spazio e del tempo. Una struttura che teoricamente rende possible la meditazione, il pentimento, il cambiamento personale attraverso l'isolamento e l'imposizione di orari. In Italia troviamo la prima costruzione architettonica che possiede tali caratteristiche nella Casa di correzione del San Michele di Roma, inaugurata nel 1704 su ordine del papa Clemente XI.

Comunque è negli Stati Uniti alla fine del XVIII secolo che il modello penitenziario si perfeziona. Si confrontano all'epoca due sistemi di detenzione: quello filadelfiano e quello auburniano. Il primo presuppone l'isolamento costante del detenuto, accompagnato dalla preghiera e dal alvoro. Il secondo prevede per i detenuti solamente l'isolamento notturno; di giorno i reclusi possono lavorare con i loro compagni di sventura, senza avere la possibilità di comunicare in alcun modo. I fautori del metodo filadelfiano sostenevano, a difesa del loro modello carcerario, la tesi che il carcere debba evitare ad ogni costo la contaminazione tra individui di per sè già sovversivi, mentre gli apologeti del metodo Auburn, pur non negando tale pericolo, ritengono che occorra preoccuparsi anche della riduzione dei danni causati dall'isolamento assoluto. la prima prigione costruita in Europa secondo il modello americano è stata, nel 1842, quella di Pentonville, in Inghilterra, dove era vietato qualsiasi contatto sociale (il cibo veniva distribuito automaticamente e i detenuti erano obbligati ad indossare una maschera ogni qualvolta uscivano dalla cella).

Oltre agli aspetti economici, la nascita del carcere riflette anche la mentalità della borghesia come classe culturalmente egemone in formazione e pertanto manifesta anche gli elementi di una nuova morale che, da un lato, rappresenta la vendetta sociale in particolare contro coloro che hanno violato il diritto di proprietà e, dall'altro, non può più tollerare i pubblici supplizi che caratterizzavano i sistemi penali delle società d'ancien régime. "Mediante la pena del debitore, il creditore partecipa di un diritto signorile: raggiunge altresì finalmente il sentimento esaltante di poter disprezzare e maltrattare un individuo come un suo inferiore [...] La compensazione consiste quindi in un mandato e in un diritto alla crudeltà".

Fino al XVIII secolo la punizione dei reati costituiva uno spettacolo pubblico, una teatralizzazione del crimine commesso attraverso gli innumerevoli supplizi che venivano inferti al condannato. La flagellazione, l'impiccagione, il rogo, l'amputazione fanno parte di un rituale in cui si rafforza il disequilibrio tra il suddito che ha disobbedito alla legge e la potenza del sovrano che incarna la legge stessa. La pubblicità della giustizia, del potere sovrano che restaura la sacralità della legge infranta dal crimune, si manifesta nel corpo stesso del condannato, corpo che diventa divuklgatore della sua stessa condanna. Il suppluizio comprendeva un rapporto definito tra il crimine e la punizione (ad esempio, con l'esposizione del cadavere nel luogo del crimine, o l'uso di supplizi simbolici: bruciare gli impuri o bucare la lingua dei bestemmiatori), ancor più rafforzato con la confessione pubblica. La funzione giuridico-politica del supplizio, più che una riparazione della giustizia, rappresenta l'e4sibizione del potere sovrano, l'affermazione della supremazia del re che il trasgressore ha messo in dubbio. Il sovrano impone la sua presenza fisica nell'esercizio del potere attraverso l'esposizione del corpo straziato del criminale. Il teatro del terrore con la sua crudeltà, con l'ostentazione della violenza, fa conoscere al popolo una giustizia armata, una politica della paura. Qui si trova, nello stesso momento, la rivelazione della verità del crimine e l'affermazione del potere; il corpo del condannato riproduce l'orrore del crimine commesso, lo confessa e rappresenta il luogo della vendetta dell'ulteriore vittima (il re).

....continua nella parte II

 
 
 
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IL MITO

 

HASTA SIEMPRE COMANDANTE GUEVARA

Il potere ha sempre paura delle idee e per arginare la lotta degli sfruttati comanda la mano di sudditi in divisa e la penna di cervelli sudditi. Assassinando vigliaccamente il Che lo hanno reso immortale, nel cuore e nella testa degli uomini liberi. Negli atti quotidiani di chi si ribella alle ingiustizie. Nei sogni dei giovani di ieri, di oggi, di domani!     

 

ART.1 L. 26 LUG 1975, N. 354

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.

Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono copnsiderati copevoli sino alla condanna definitiva.

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reiserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. 

ART. 27 COSTITUZIONE

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalla legge (La pena di morte non è più prevista dal codice penale ed è stata sostituita con la pena dell'ergastolo)

 

TESTI CONSIGLIATI

Sociologia della devianza, L. Berzano e F. Prina, 1995, Carocci Editore.
Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza,
E. Goffman, Edizioni di Comunità, 2001, Torino.
Condizioni di successo delle cerimonie di degradazione
, H. Garfinkel.
Perchè il carcere?,
T. Mathiesen, Edizioni Gruppo Abele, 1996, Torino.
Il sistema sociale,
T. Parsons, Edizioni di comunità, 1965, Milano.
Outsiders. saggi di sociologia della devianza,
Edizioni Gruppo Abele, 1987,
Torino. La criminalità, O. Vidoni Guidoni, Carocci editore, 2004, Roma.
La società dei detenuti, Studio su un carcere di massima sicurezza,
G.M. Sykes, 1958. Carcere e società liberale, E. Santoro, Giappichelli editore, 1997, Torino.

 

 

 

 


 

 

 

 

 
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