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« LE ORIGINI DELLE PRIGION...UN AUGURIO DI VERO CUORE... »

LE ORIGINI DELLE PRIGIONI  (parte II) 

Post n°41 pubblicato il 13 Dicembre 2007 da geko1963
 

E' contro questa giustizia vendicativa che nella seconda metà del XVIII secolo filosofi, giuristi, teorici del diritto si rivoltano. Occorre punire invece di vandicare. Il castigo deve avere l'umanità come misura, anche per i peggiori crimini. In questo contesto nasce il carcere come pena. Ma come si arriva a questo bisogno di addolcimento delle pene? Consideriamo Dei Delitti e Delle Pene di Cesare Beccaria (1764) e il Panopticon di Jeremy Bentham (1786) come due punti rappresentativi di questo movimento, come modelli dello spirito illuministico settecentesco. Per un verso, la razionalizzazione delle leggi come mezzo per impedire il caos e lo scandalo provocato delle pratiche punitive dell'ancien regime; per l'altro, la razionalizzazione delle pene nei termini di una definizione funzionale delle strutture che avrebbero accolto i criminali. In comune la razionalizzazione: il progresso morale di Beccaria, l'efficacia del dispositivo di Bentham. Nonostante lavorino a forma di sistemi punitivi molto diversi fra loro è identica l'efficacia razionale adattata all'anima sensibile dell'Illuminismo. Non è che Beccaria e Bentham siano i rivelatori di una nuova coscienza umanitaria e della giusta democrazia moderna; anzi, nel momento in cui denunciano le vecchie modalità punitive, si presentano "come difensori e fautori di un modo di punire moderno, scevro da ogni debolezza, rigoroso metodico, efficace" (Brossat, 2003). Non si tratta di punire meno, ma di punire meglio; non è più il sovrano che si vendica di chi non lo ha rispettato, ma tutto il corpo sociale che si difende da un nemico, da una minaccia interna. l'umanizzazione delle pene, la sensibilizzazione delle punizioni rispettano l'uomo ragionevole che obbedisce alla legge e non commette reati, osserva Foucault. Il cuore che si rispetta non è quello del criminale, ma quello di colui che punisce. Non si pratica più la vendetta rispetto al passato, ma la correzione di futuri atti criminosi. C'è da considerare che alla base del diritto di punire con il cuore troviamo il contratto sociale rousseauiano, in cui ogni uomo sacrifica al bene della società una porzione della sua libertà; è la somma di tutte queste porzioni che fanno la sovranità di una nazione, la giustificazione di uno Stato. Lo spirito illuminista ci dice che da qui sono nate (e si giustificano) le leggi, "colle quali uomini indipendenti ed isolati si unirono in società, stanchi di vivere in un continuo stato di guerra e di godere di una libertà resa inutile dall'incertezza di conservarla" (Beccaria, ediz. 1994). Abdicazione di una parte della libertà individuale per superare l'homo homini lupus hobbesiano e permettere la "difesa del deposito della salute pubblica dalle usurpazioni particolari". In questo spirito di giustizia, una giustizia dove le pene devono essere proporzionali ai reati, la crudeltà degli antichi supplizi è divenuta inutile, per certi aspetti controproducente. E crudele è tutto ciò che minaccia l'integrità dei corpi, che li mutila, ovvero che scrive la legge sui corpi. Quindi, in Beccaria troviamo insieme moralizzazione, medernizzazione e razionalizzazione di un sistema penale che si crede civilizzato, umanizzato. Insomma, il culmine di una evoluzione verso una giusta società di uomini liberi. Ma la sua critica all'ancien regime è quella di un utilitarista, di un uomo d'ordine figlio dell'Illuminismo che confonde oggettivazione e razionalizzazione dell'approccio al crimine con moderazione e umanizzazione. "[I]l fine delle pene non è di fomentare ed affliggere un essere sensibile, nè di disfare un delitto già commesso. (...) Il fine dunque non è altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini e di rimuovere gli altri dal farne uguali. Quelle pene dunque e quel metodo d'infliggerle deve essere prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sulle anime degli uomini, la meno tormentosa sul corpo del reo" (Beccaria, ediz. 1994).

Bentham e il suo Panopticon seguono la stessa linea. Sono l'efficacia e l'umanità (intesa come processo utile) delle pene che lo portano a concepire un dispositivo tecnico, un sistema "architetturale" capace di rieducare gli individui attraverso l'amministrazione della vigilanza. Una struttura circolare con una torre di controllo al centro e attorno alle celle, disposte in modo che il controllore possa guardare dentro le celle senza essere guardato. Le celle sono totalmente aperte allo sguardo pubblico, nel detenuto, che si sente osservato senza soluzione di continuità, deve crescere la paura dissuasiva dello stigma, allo stesso tempo devono essere rispettate condizioni umane di detenzione. Secondo Foucault, è questo il fine più importante del Panottico: "indurre nel detenuto uno stato cosciente di visibilità che assicura il funzionamento automatico del potere. Far si che la sorveglianza sia permanente nei suoi effetti, anche se è discontinua nella sua azione; che la perfezione del potere tenda a rendere inutile la continuità del suo esercizio" (Foucault, 1976). Contro l'eccesso di severità e di sofferenze corporali, Bentham stabilisce un dispositivo dove il potere è visibile, ma non verificabile e dove si coniuga la perfezione tecnica al valore morale, coniugazione che ancora oggi definisce la società del controllo (Deleuze, 1998). 

Laddove il diritto monarchico puniva attraverso una cerimonia di sovranità, i giuristi riformisti desiderano la riqualificazione del soggetto giuridico; laddove giocavano le forze del sovrano, svolge il suo ruolo disciplinare il corpo sociale. In questo momento, la questione è di sapere come mantenere il terrore senza violentare i corpi. Terrorizzare il crimine e il potenziale criminale, affermando una distanza della violenza espressa nel corpo, diventando piuttosto un'impressione sull'anima. La crescente sensibilità del soggetto moderno alla violenza viva e diretta (che comunque non esclude altre forme di violenza) ci porta all'affermazione dei dispositivi di isolamento, reclusione ed esclusione.

Tuttavia, se Beccaria e gli altri giuristi riformatori del XXIII, XIX secolo sostenevano comunque l'incompatibilità tra il carcere ed una buona giustizia (perchè sanziona non solo il criminale, ma tutta la sua famiglia e perchè comunica e diffonde lo stesso male che doveva punire), come arriviamo alla supremazia del carcere in quanto pena? Con tutte le critiche e gli ovvi fallimenti di questa istituzione, ancora oggi punire significa sostanzialmente imprigionare. "Quando si cammina in un corridoio, mani dietro la schiena, testa bassa, ritmo imposto, dritti lungo il muro, il nemico assicura un controllo su di noi che va al di là di qualsiasi punizione corporale brutale che sia", ci racconta Benasayang (2005), arrestato in Argentina nel 1975, quando aveva 21 anni, dopo il colpo di Stato militare di Vileda. Oltre a rendere esplicita la violenza che comporta il carcere, l'autore fa riferimento allo stretto controllo corporale a cui sono sottomessi i detenuti, in modo da "farti entrare la prigione in testa".

Nel periodo dei Lumi è stata la scoperta del corpo (atomo individuale nella società) come oggetto e bersaglio del potere a caratterizzare il nuovo potere disciplinare: il corpo che si manipola, che si allena, che obbedisce, che si modella. D'accordo con l'analisi di Foucault, questa scoperta dell?Uomo-Macchina si è sviluppata in due direzioni: quella anatomo-metafisica, iniziata con Cartesio e proseguita da schiere di medici e filosofi, e quella tecnico-politica, costituita da tutto un insieme di leggi, regolamenti militari, scolastici, ospedalieri che hanno avuto lo scopo di addestrare il corpo per renderlo utile, sottomesso e docile. E' questo minuzioso controllo delle operazioni corporali (ritmo imposto, distribuzione degli individui nello spazio, regolamentazione di ogni movimento, etc.), in un rapporto docilità-utilità che Foucault chiama "le discipline", che probabilmente caratterizza ancora l'esercizio del potere disciplinare nelle società tardo-moderne.

 
 
 
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HASTA SIEMPRE COMANDANTE GUEVARA

Il potere ha sempre paura delle idee e per arginare la lotta degli sfruttati comanda la mano di sudditi in divisa e la penna di cervelli sudditi. Assassinando vigliaccamente il Che lo hanno reso immortale, nel cuore e nella testa degli uomini liberi. Negli atti quotidiani di chi si ribella alle ingiustizie. Nei sogni dei giovani di ieri, di oggi, di domani!     

 

ART.1 L. 26 LUG 1975, N. 354

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.

Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono copnsiderati copevoli sino alla condanna definitiva.

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reiserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. 

ART. 27 COSTITUZIONE

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalla legge (La pena di morte non è più prevista dal codice penale ed è stata sostituita con la pena dell'ergastolo)

 

TESTI CONSIGLIATI

Sociologia della devianza, L. Berzano e F. Prina, 1995, Carocci Editore.
Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza,
E. Goffman, Edizioni di Comunità, 2001, Torino.
Condizioni di successo delle cerimonie di degradazione
, H. Garfinkel.
Perchè il carcere?,
T. Mathiesen, Edizioni Gruppo Abele, 1996, Torino.
Il sistema sociale,
T. Parsons, Edizioni di comunità, 1965, Milano.
Outsiders. saggi di sociologia della devianza,
Edizioni Gruppo Abele, 1987,
Torino. La criminalità, O. Vidoni Guidoni, Carocci editore, 2004, Roma.
La società dei detenuti, Studio su un carcere di massima sicurezza,
G.M. Sykes, 1958. Carcere e società liberale, E. Santoro, Giappichelli editore, 1997, Torino.

 

 

 

 


 

 

 

 

 
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