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« Vita dell'Istituto e ra...Nicola ci ha provato »

I figli hanno colpa?

Post n°71 pubblicato il 26 Febbraio 2008 da geko1963
 

Sono un detenuto del carcere di Udine e, come tanti detenuti di altri carceri, credo di avere un problema in comune con i detenuti padri. Quante volte avremmo voluto vedere i nostri figli, ma la paura di fargli del male e creare loro dei traumi ci ha frenato nelle nostre migliori intenzioni! Loro sono bambini, e quale padre riuscirebbe a resistere al desiderio di scavalcare quel piccolo muretto che li separa nell’area dei colloqui? Invece di stringere solo una mano, poterli abbracciare per trasmettere tutto il calore che solo un padre può dare a un figlio. Già il tempo è poco, almeno, poterlo passare in maniera dolce e decorosa per entrambi, contribuirebbe a rassicurarli dell’affetto che si prova nei loro confronti. E allora a questo punto mi sorge spontanea una domanda: vale più il diritto di un detenuto o di un minore? Quest’ultimo è un essere umano senza alcuna colpa: perché far scontare a un figlio la pena del padre? Eppure avviene proprio così: umilianti perquisizioni, attese interminabili per i colloqui, luoghi inidonei a vivere liberamente e serenamente, per un paio d’ore, un avvicinamento alle figure genitoriali, punti di riferimento importantissimi per la crescita dei minori. Io sono un padre: mio figlio ha 13 anni e finora, nei cinque mesi di reclusione, non ho avuto il coraggio di fargli vivere l’esperienza traumatica dei Colloqui. Il prezzo da pagare sarebbe stato insopportabile: pensare a quello che mio figlio avrebbe potuto provare solo a mettete piede nella struttura dove io risiedo. Non esiste un luogo, anche lontanamente, idoneo a facilitare i riavvicinamenti. Le procedure sono macchinose e, spesso, l’applicazione della normativa si fa talmente rigida, a mio avviso, da divenire intollerabile, visto che non è applicata sul detenuto ma su un essere libero e innocente. Già nei colloqui con mio padre (persona anziana che non ha mai avuto problemi con la giustizia) ho potuto sperimentarla.

                                                                  un detenuto a Udine

 
 
 
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IL MITO

 

HASTA SIEMPRE COMANDANTE GUEVARA

Il potere ha sempre paura delle idee e per arginare la lotta degli sfruttati comanda la mano di sudditi in divisa e la penna di cervelli sudditi. Assassinando vigliaccamente il Che lo hanno reso immortale, nel cuore e nella testa degli uomini liberi. Negli atti quotidiani di chi si ribella alle ingiustizie. Nei sogni dei giovani di ieri, di oggi, di domani!     

 

ART.1 L. 26 LUG 1975, N. 354

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.

Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono copnsiderati copevoli sino alla condanna definitiva.

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reiserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. 

ART. 27 COSTITUZIONE

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalla legge (La pena di morte non è più prevista dal codice penale ed è stata sostituita con la pena dell'ergastolo)

 

TESTI CONSIGLIATI

Sociologia della devianza, L. Berzano e F. Prina, 1995, Carocci Editore.
Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza,
E. Goffman, Edizioni di Comunità, 2001, Torino.
Condizioni di successo delle cerimonie di degradazione
, H. Garfinkel.
Perchè il carcere?,
T. Mathiesen, Edizioni Gruppo Abele, 1996, Torino.
Il sistema sociale,
T. Parsons, Edizioni di comunità, 1965, Milano.
Outsiders. saggi di sociologia della devianza,
Edizioni Gruppo Abele, 1987,
Torino. La criminalità, O. Vidoni Guidoni, Carocci editore, 2004, Roma.
La società dei detenuti, Studio su un carcere di massima sicurezza,
G.M. Sykes, 1958. Carcere e società liberale, E. Santoro, Giappichelli editore, 1997, Torino.

 

 

 

 


 

 

 

 

 
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