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« PENSIERONESSUNA SICUREZZA SENZA ... »

Lettera aperta al Presidente della Repubblica.

Post n°83 pubblicato il 06 Giugno 2008 da geko1963
 

   Caro Presidente, sono reduce da una "due giorni" a Bruxelles per il settimo incontro che la Commissione Europea, tramite l’Eapn, promuove per le persone in povertà. Trecento persone provenienti da tutti gli Stati dell’Unione Europea che cercano di spiegarsi la povertà (dei tanti e, per converso, la ricchezza dei pochi) nella quale versano loro stessi e la stragrande maggioranza dei popoli dai quali provengono.

La presidenza dell’Unione ed anche il governo ospitante, per due giorni ogni anno ascoltano le fatiche, l’amarezza, a tratti anche la rabbia, ma pure le proposte per combattere la povertà. Ascoltano senza pretese, senza arroganze, senza giudizi facili, e ogni anno imparano qualcosa. Magari quando tornano in seno ai loro rispettivi governi dimenticano tutto, ma non si sa mai… qualcosa potrebbe anche restare nella loro memoria.

Ecco, la memoria, Presidente. È di questo che vorrei parlarti. Perché è davvero incredibile come essa sparisca, o subisca manipolazioni contorsionistiche, nella testa delle persone che in qualche modo si trovano ad occupare posti di potere. Tu che sei una persona saggia e sapiente non dovresti farti tirare dentro queste contese. Capisco che le trappole che ti parano attorno sono tante e che non è perciò facile evitarle tutte. Capisco anche la tua buonafede quando, malgrado te, sei obbligato a scivolarci dentro segnando anacronismi inaccettabili. Ti parlo, sommessamente, dal mio punto di vista che è quello di uno dei tanti poveri del nostro paese. Ho, infatti, sessantadue anni e non so cosa sia un conto corrente bancario o postale, non ho una casa, non ho figli, non ho famiglia, se non quella allargata… sulla strada.

Naturalmente mi considero un povero "fortunato" perché col lavoro riesco tuttavia a graffiare la vita, sopravvivendo dignitosamente. Pago l’affitto di un monolocale di periferia, la luce, l’acqua, il gas, la rata infinita di una macchina che mi serve per il mio lavoro e, facendo attenzione, arrivo a fine mese con qualche piccolo prestito che onoro con immediatezza col mensile successivo. Dei miei sessant’anni ho passato un terzo facendo il migrante (dal profondo sud al nord del paese), il secondo capitolo della mia vita l’ho passato in galera e l’ultimo lo sto trascorrendo - grazie all’accoglienza che ho riscosso da un gruppo di persone oneste che hanno scelto di restare sul terreno di chi fatica davvero a sopravvivere - a sostenere quanti, meno fortunati di me, non riescono neppure a graffiarla la vita.

Il motivo di questa mia lettera riguarda proprio il secondo capitolo della mia vita. I vent’anni di galera non li ho fatti per aver tentato di arricchirmi, ma per aver fatto parte di quel fenomeno di passione ideale e politica degli anni settanta che suppongo tu ricorderai. Un conflitto politico mai chiarito fino in fondo, preferendo invece la soluzione semplicistica delle forche caudine per i perdenti ed il sigillo di "terrorismo".

Giorni fa, per la commemorazione dell’anniversario della morte di Aldo Moro, tu hai sostenuto (per la seconda volta) che i "terroristi", anche se hanno pagato con la galera, devono restare "silenti", non devono fare i "tribuni" perché c’è… una "questione morale"!

Naturalmente, il mio pensiero corre alle "vittime" di quel conflitto che è bene ricordarle perché hanno pagato il prezzo maggiore. E quando parliamo di "vittime" intendiamo quelle che hanno pagato un prezzo. Alcune hanno pagato con la vita, altre sono sopravvissute morendo ogni giorno di nuovo, per anni, per decenni, da un lato e dall’altro della barricata! Onestà vorrebbe che si ricordassero tutte quelle "vittime" e non solo quelle più famose o di un solo versante della barricata. Senza cinismo parziale o opportunità politica. Ricordare, però, significa andare oltre le indagini giudiziarie per cercare una verità storica e politica accettabile, distaccata, onesta, ragionevole…

Caro Presidente, ora io ti chiedo: a fronte di chi sbagliando non paga nulla e anzi fa carriera politica ed istituzionale, chi per aver sbagliato ha pure pagato perché mai dovrebbe stare "silente"? Dove sta scritto? Non sarà che proprio nella Costituzione Repubblicana della quale tu sei il custode è sostenuto qualcosa di diametralmente opposto?

Quanto ai "tribuni" forse volevi intendere che può dare fastidio che dei sopravvissuti, ancorché reduci dalle galere, possano aver mantenuto una lucidità che consente loro di dire qualcosa di valido a fronte della moda fatta di consumati luoghi comuni che ci sentiamo scodellare quotidianamente dai mass media tutti protesi verso il… pensiero unico. Con buona pace per la "pluralità" (…)! E che dire della "morale", caro Presidente?

A te sembra morale che uno come Totò Cuffaro, condannato per mafia (sia pure in primo grado di giudizio) faccia il senatore della Repubblica? Ti sembra morale che un intero Parlamento sia nominato da quattro segretari di partito scavalcando con disinvoltura la sovranità popolare? Ti sembra morale l’ormai comprovata collusione tra politica e mafie?

Ti sembra morale che di fronte alla strage quotidiana di lavoratori non vi sia neppure un responsabile di queste stragi che si faccia un solo giorno di galera? Ti sembra morale che Calisto Tanzi, dopo aver letteralmente raggirato milioni di risparmiatori, con la complicità delle banche, se ne stia comodamente a casa sua mentre le banche continuano la loro opera di strozzinaggio? Ti sembra morale che Cesare Previti, dopo aver concorso alla ruberia di mille miliardi di vecchie lire di denaro pubblico abbia fatto una sola settimana di eroica galera, ed alcuni dei mandanti comprovati di quella ruberia non hanno fatto neppure un giorno di galera?

Ti sembra morale che decine di parlamentari, più di un ministro, e persino il Presidente del Consiglio, abbiano subito condanne, o sono inquisiti, o con reati gravissimi abbiano riscosso la "prescrizione", per aver tentato (qualche volta riuscendoci) di arricchirsi facendosi corrompere, o corrompendo, o riscuotendo mazzette di denaro?

Ti sembra morale che milioni di ragazzi dopo aver completato l’intero ciclo scolastico vadano avanti elemosinando contratti di lavoro indecenti della durata di qualche mese? Ti sembra morale che l’ultra secolare esperienza liberalsocialista sia spazzata via dalla rappresentanza parlamentare? Ti sembra morale che le nostre prigioni siano sempre piene di tossicodipendenti e di migranti per i quali i nuovi padroni del vapore vaneggiano di… buttare via le chiavi? Ti sembra morale che tutto, proprio tutto, come diceva Carlo Marx qualche secolo fa, debba essere ridotto a "mercanzia" da comprare e vendere, compresa la coscienza delle persone, soprattutto se povere?

Ti sembra morale il clima razzista riproposto per i Rom ed i migranti, dopo i lavavetri ed i mendicanti? Ti sembra morale l’avvelenamento ambientale tirato in modo irreversibile dall’ingordigia (che non sa più digerire) del profitto? Ti sembra morale che, tolta qualche corporazione forte, nessuno più in questo paese si sente rappresentato istituzionalmente lasciando al proprio destino persino gli invalidi gravi e gli anziani fragili?

Ti sembra morale che una sparuta minoranza predatrice di questo paese, pasciuta e foraggiata sempre di più, scateni la guerra tra i poveri restando a "distanza da casta" e consegnando il furore imbecille della "tolleranza zero" all’esercito della camorra che illumina le notti napoletane (la tua terra!) coi falò della spazzatura e delle baracche degli zingari? Ti sembra morale che decine di bambini da zero a tre anni crescano rinchiusi dentro le celle delle nostre carceri?

Devo continuare? La morale, caro Presidente, è un valore indivisibile e tu lo sai bene: vale sempre e per tutti o non vale mai e per nessuno! A meno che non si voglia parlare della "doppia morale" e anche questa, purtroppo, è diventata di moda, al punto che ognuno ha la sua, e alcuni non ce l’hanno proprio!

Non vale, pertanto, che tu ora voglia infierire contro i "terroristi" di quarant’anni fa (alcuni dei quali sono ancora in galera), ai quali almeno dovresti riconoscergli che non si sono arricchiti, vivono umilmente e di piccole cose sbarcando il lunario col lavoro e dopo aver pagato un prezzo davvero salato con decenni di galera (alcuni di loro non sono neppure sopravvissuti). Non vale neppure che alcuni di loro non debbono avere qualcosa di utile da dire e da dare, nonostante tutto. E lo sa solo il cielo quanto la deriva di questo nostro paese ne abbia bisogno, ora più che mai!

"Tribuni"? Ne abbiamo talmente tanti sotto il naso, da recare gravi problemi persino al doppio stomaco dei ruminanti! Ma per comprendere queste cose, me ne rendo conto, bisogna stare nei luoghi giusti, nei luoghi veri, tra la gente, sulla strada, dove si fa l’esperienza necessaria, dove si capisce che il "sogno europeo" è ancora possibile (a differenza di quello americano ormai affogato nel sangue delle sue guerre) perché usa il linguaggio del "noi" collettivo, plurale e poliglotta, maschile, femminile e anche neutro, il "noi" sociale che soffoca e gioisce e che non taglia con la spada di Dio, né col laser del capitale i sapori dai saperi della vita.

I "tribuni" veri sono quelli che riempiono ogni giorno i teleschermi e le prime pagine di tutti i giornali, tutti protesi a fare la guerra ai poveri alimentando un clima politico di stampo razzista e dimostrando quantomeno un’inconsapevolezza davvero spaventosa! Sono questi i "tribuni" che hanno paura della diversità, che seminano la colpa e generano la paura brandendo il potere sulla pelle del tuo popolo!

Sono questi i "tribuni" che, tutti presi dagli interessi personali, familistici e amicali, ci stanno conducendo verso probabili nuovi spaventi! Dovresti, semmai, preoccuparti (e molto) di questi "tribuni" che ogni giorno offendono l’intelligenza e il buonsenso degli italiani costretti ormai alla vergogna di fronte al mondo!

No, Presidente, il tuo richiamo al "silenzio" e alla "morale" (per i "terroristi" di quarant’anni fa), per la passione civile ed il desiderio di giustizia che mi accompagnano da quando sono nato, è per me inaccettabile. Di più: m’indigna profondamente! Ho messo in discussione "i mezzi" da me usati in quella stagione violenta, senza farne mercato. Ma le ragioni ideali e sociali di allora mi accompagnano ancora. Sono quelle ragioni che mi portano ormai da diversi anni all’appuntamento di Bruxelles, e per strada tutti i giorni. La nuova stagione di "saldi delle coscienze" mi trova ancora fuori mercato e lontano millenni dai mercanti novelli tragicamente illusi di poter comprare e vendere tutto, proprio tutto! Ad ogni costo!

Bada, Presidente, non sto cercando di giustificare i miei errori e quelli dei miei compagni di strada, o scioccamente di glorificarmene, ma se devo essere costretto a scegliere tra chi sbagliando paga e chi sbagliando fa carriera, per dirla con Don Milani, i primi sono la mia patria i secondi i miei stranieri!

 

Beppe Battaglia

 
 
 
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IL MITO

 

HASTA SIEMPRE COMANDANTE GUEVARA

Il potere ha sempre paura delle idee e per arginare la lotta degli sfruttati comanda la mano di sudditi in divisa e la penna di cervelli sudditi. Assassinando vigliaccamente il Che lo hanno reso immortale, nel cuore e nella testa degli uomini liberi. Negli atti quotidiani di chi si ribella alle ingiustizie. Nei sogni dei giovani di ieri, di oggi, di domani!     

 

ART.1 L. 26 LUG 1975, N. 354

Il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona.

Il trattamento è improntato ad assoluta imparzialità, senza discriminazioni in ordine a nazionalità, razza e condizioni economiche e sociali, a opinioni politiche e a credenze religiose.

Negli istituti devono essere mantenuti l'ordine e la disciplina. Non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari.

I detenuti e gli internati sono chiamati o indicati con il loro nome.

Il trattamento degli imputati deve essere rigorosamente informato al principio che essi non sono copnsiderati copevoli sino alla condanna definitiva.

Nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reiserimento sociale degli stessi. Il trattamento è attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. 

ART. 27 COSTITUZIONE

La responsabilità penale è personale.

L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.

Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.

Non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalla legge (La pena di morte non è più prevista dal codice penale ed è stata sostituita con la pena dell'ergastolo)

 

TESTI CONSIGLIATI

Sociologia della devianza, L. Berzano e F. Prina, 1995, Carocci Editore.
Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza,
E. Goffman, Edizioni di Comunità, 2001, Torino.
Condizioni di successo delle cerimonie di degradazione
, H. Garfinkel.
Perchè il carcere?,
T. Mathiesen, Edizioni Gruppo Abele, 1996, Torino.
Il sistema sociale,
T. Parsons, Edizioni di comunità, 1965, Milano.
Outsiders. saggi di sociologia della devianza,
Edizioni Gruppo Abele, 1987,
Torino. La criminalità, O. Vidoni Guidoni, Carocci editore, 2004, Roma.
La società dei detenuti, Studio su un carcere di massima sicurezza,
G.M. Sykes, 1958. Carcere e società liberale, E. Santoro, Giappichelli editore, 1997, Torino.

 

 

 

 


 

 

 

 

 
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