Nessun miglioramento del mercato del lavoro globale all'orizzonte. Il peggioramento delle condizioni registrato l'anno scorso, il quinto consecutivo dall'inizio della crisi, è destinato ad aggravarsi ulteriormente, secondo quanto ha previsto l'Organizzazione internazionale del lavoro nel suo rapporto sui trend globali dell'occupazione.
Nel 2012 in tutto il mondo si sono aggiunti 4 milioni disoccupati, raggiungendo così quota 197 milioni, senza contare i 39 milioni di scoraggiati usciti del tutto dal mercato del lavoro. E il tasso di disoccupazione salir ancora nonostante un moderato aumento della produzione nel biennio 2013-2014, poiché l'entit della crescita non sar sufficiente a risolvere il problema.
L'Ilo ha stimato un numero di disoccupati in crescita di 5,1 milioni nel 2013 e di altri 3 milioni nel 2014. Si prevede che il numero globale di disoccupati crescer ancora fino a circa 210,6 milioni nei prossimi cinque anni, con il tasso di disoccupazione globale che rester al 6% fino al 2017.
La responsabilit di tale previsione deve essere ricercata negli squilibri macroeconomici aggravati dalle misure di austerit adottate da molti Paesi per risanare i conti, nonché dalla maniera indecisa e incoerente con la quale le istituzioni politiche hanno affrontato la crisi.
I programmi di austerit fiscale spesso hanno infatti contemplato tagli diretti all'occupazione e ai salari, colpendo in modo diretto il mercato del lavoro. A pesare sono stati anche l'incoerenza tra le politiche fiscali e monetarie adottate in diversi Paesi e un approccio frammentario ai problemi del settore finanziario e del debito sovrano, soprattutto nell'area euro.
L'indecisione dei politici di diversi Paesi ha creato quindi un'incertezza sulle condizioni future e rafforzato la tendenza delle aziende ad aumentare le riserve di capitale o pagare dividendi piuttosto che espandere la capacit produttiva e assumere nuovo personale, ha dedotto l'organizzazione.
Questa crisi del mercato del lavoro è stata avvertita maggiormente dai giovani, una categoria colpita soprattutto in Europa. A livello globale sono 73,8 milioni i giovani attualmente senza lavoro ed è probabile che a questi si aggiunga un altro mezzo milione entro il 2014. Questa difficolt in prevalenza giovanile non era mai stata osservata nei precedenti rovesci economici ciclici, ha osservato l'Ilo.
Più nel dettaglio, il tasso di disoccupazione giovanile, gi cresciuto al 12,6% nel 2012, è previsto in crescita al 12,9% entro il 2017. Attualmente il 35% dei giovani disoccupati sono rimasti senza lavoro per sei mesi o più nelle economie avanzate; nel 2007 erano il 28,5% e come conseguenza un numero crescente di giovani sono diventati scoraggiati e hanno lasciato il mercato del lavoro.
Nei Paesi europei, dove questo problema è particolarmente grave, il 12,7% dei giovani risulta non occupato, né impegnato in attivit di studio o formazione, un tasso salito di quasi due punti dall'inizio della crisi. Queste lunghe fasi di disoccupazione e scoraggiamento, "all'inizio della carriera di una persona", avverte l'Ilo, "danneggiano anche le prospettive di lunghe termine, dato che le abilit professionali e sociali si erodono e non viene costruita un'esperienza di lavoro di valore".
Per l'International Labour Organization questo quadro poco incoraggiante impone alle istituzioni politiche decisi interventi strutturali che rilancino la crescita e l'occupazione. Superando l'incertezza politica, dovranno dunque essere adottate nell'immediatezza politiche più coerenti e prevedibili, che sostengano il reddito per far crescere i consumi e che riformino il sistema finanziario per restituire alle banche la loro funzione propria di sostenere gli investimenti e fornire credito.
In secondo luogo, superata l'incertezza, è necessario coordinare le misure di stimolo a sostegno della domanda e della creazione di posti di lavoro. I tentativi scoordinati di promuovere la competitivit in molti Paesi europei, accompagnati dalle misure di austerit , non hanno fatto altro che aumentare i rischi di una spirale deflazionistica fatta di salari più bassi, consumi più deboli e domanda asfittica. Quindi che il ritmo del consolidamento fiscale andrebbe adeguato all'effettiva forza dell'economia.
Le (Parigi: - ) altre due aree di intervento cruciali sono interventi strutturali nel campo della formazione, che consentano di riavvicinare domanda e offerta di lavoro, e misure specifiche per promuovere l'occupazione giovanile, diminuendo gli squilibri con le condizioni contrattuali delle generazioni più anziane, favorendo l'attivit d'impresa e stringendo i rapporti tra educazione e mondo del lavoro.
Dati un po' più incoraggianti giungono dall'Ocse, che ha stimato un tasso di occupazione nell'area al 65% nel terzo trimestre 2012, invariata rispetto al trimestre precedente e di 0,2 punti percentuali in più rispetto a un anno fa. L'organizzazione di Parigi ha però sottolineato come il livello sia inferiore dell'1,5% rispetto al periodo pre-crisi.
Il tasso è rimasto stabile negli Stati Uniti (al 67,1%, dopo un aumento per quattro trimestri consecutivi) ed è aumentato in Giappone (di 0,3 punti percentuali al 70,7%) dopo due trimestri di stabilit . L'occupazione è invece scesa in Canada (di 0,2 punti percentuali al 72,1%) dopo due trimestri consecutivi di crescita.
Riguardo l'area euro, l'Ocse ha rilevato un tasso di occupazione al 63,8%, invariato rispetto al trimestre precedente ma di 0,4 punti percentuali in meno di un anno fa. L'Italia è il Paese europeo con il tasso di occupazione più basso (56,8%, stabile rispetto al trimestre precedente e in calo dello 0,1% rispetto all'analogo periodo del 2011) dopo la Grecia (50,4%, comunque in calo rispetto al 55% di un anno fa) e la Spagna (55% contro il 56,9% del terzo trimestre 2011).
L'Ocse ha rilevato inoltre grandi differenze nei tassi di occupazione degli uomini (73,1%) e delle donne (57,1%). A partire dal secondo trimestre del 2008, il tasso di occupazione nell'area Ocse è diminuito del 2,6% per gli uomini e di soli 0,5 punti percentuali per le donne. Mentre questo riflette in parte una crescita della disoccupazione maschile, la differenza principale è dovuta ai tassi di partecipazione della forza lavoro che, nel corso del periodo, sono scesi dello 0,7% per gli uomini ma aumentati dello 0,9% per le donne.