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CHIMICA sperimentale

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La chimica ed un lontano processo

Post n°142 pubblicato il 11 Novembre 2011 da paoloalbert

Noi siamo ormai avvezzi per sovradosaggio mediatico ad ogni sorta di notizie di cronaca nera, tanto che non ci facciamo quasi più caso (se non nell'immediato), come drogati che devono aumentare sempre la dose di sostanza per risentirne gli effetti, i quali ben presto svaniscono.
Un tempo, neanche tanto lontano, diciamo fino agli anni '50, non era così: un caso giudiziario in cui fossero magari implicati personaggi di un certo livello poteva alimentare commenti e fazioni pro o contro per degli anni se non addirittura per decenni.

Nel 1840, in Francia, avvenne un fatto di cronaca che scosse l'opinione pubblica quasi quanto quello che mezzo secolo dopo sarebbe stato "il caso Dreyfus": fu il processo Lafarge.
Tutta la vicenda sarebbe troppo lunga da raccontare, quindi mi limiterò a dire solo l'essenziale.
I protagonisti sono Marie Capelle e Charles Lafarge, rispettivamente moglie e marito ed appartenenti alla ricca borghesia parigina; a questi si aggiungeranno altri attori importantissimi sotto il profilo di questa storia, e si aggiungeranno (in tema col mio blog!), dal punto di vista "chimico".

Marie Capelle fu accusata pochi mesi dopo le nozze di aver avvelenato il marito con l'arsenico, e condannata fortunosamente solo all'ergastolo e non alla pena capitale; in pratica ciò cambiò poco il suo destino perchè, pur graziata dodici anni dopo, morì appena fuori di prigione.
Ma andiamo in ordine.
La condanna scaturì da una palese serie di errori giudiziari, che scagionando il vero colpevole (che aveva ordito una diabolica macchinazione ai danni di Marie), tenne purtroppo conto solo dell'innamoramento del pubblico ministero per la sua tesi accusatoria, rigettando tutti gli elementi che a questa non fossero allineati.

[La storia si sa non ha tempo, e la situazione è spesso rivissuta in chiave moderna e non solo in ambito giudiziario... Mai ammettere un proprio errore, nemmeno dinanzi alla più palese delle evidenze!]

Elementi determinanti per l'esito del processo a Marie furono quindici perizie medico legali eseguite sul corpo della vittima, allo scopo di evidenziare o meno la presenza di arsenico; quattordici furono del tutto negative, ma la quindicesima (se una cosa la si vuol trovare, prima o poi la si trova!) rilevò "tracce" dell'elemento... e tanto bastò all'accusa e alla giuria.
La vera chiave di volta fu che la quindicesima perizia portava la firma niente meno che di Mateu Josep Bonaventura Orfila!

Orphila, di origini spagnole, era in quel periodo all'apice della fama in Francia e all'estero, membro di un'infinità di istituzioni prestigiose, insomma con un biglietto da visita lungo... mezzo metro!
Un vero luminare in tanti campi, autore di opere di Chimica medica, di Medicina legale e specialmente del famoso "Traitè des poisons", letto e pubblicato in più edizioni in tutta Europa e che fa considerare l'illustre professore come il vero fondatore della tossicologia moderna.
Le sue opinioni erano quindi come oracoli e difficilmente potevano essere contestate da esperti meno titolati; questa posizione psicologica fu sufficiente a neutralizzare tutti gli altri pareri opposti riguardo le perizie medico legali.
Perfino quella del chimico Francois Raspail, che all'epoca godeva nell'ambiente accademico di quasi altrettanta fama dell'illustre avversario.

La questione "arsenico sì-arsenico no" degenerò alla fine quasi in un aperto duello Orfila-Raspail sui metodi di indagine chimica per la ricerca dell'arsenico, che aveva come indiretto protagonista l'inglese James Marsh, inventore solo quattro anni prima di un metodo ultrasensibile per la ricerca del velenoso metalloide.
L'apparecchio di Marsh (del quale parlerò prossimamente) permetteva di rilevare quantità talmente piccole di arsenico (circa un decimillesimo di milligrammo!) che sembrava togliere ogni dubbio alle analisi.
Ma allora, perchè Orfila sbagliò?

Paradossalmente proprio per l'eccessiva sensibilità del metodo Marsh, che rivelò sì le tracce di arsenico nelle analisi tossicologice, ma che non provenivano dai resti di una vittima per avvelenamento ma dalla insufficiente purezza dei reagenti
usati dall'eminente tossicologo in occasione delle prove.
Questo fu appurato in seguito, di fronte ad una commissione nominata dall'Accademia delle Scienze di Parigi, per dirimere la questione una volta per tutte; in quell'occasione Raspail dichiarò nella foga oratoria che avrebbe rivelato la presenza di arsenico perfino nei braccioli della poltrona del presidente della Corte d'Assise!... mentre Orfila non fu in grado di riprodurre la stessa analisi che aveva portato alla condanna dell'imputata.

Ma intanto Marie Capelle era e restava in carcere, nonostante tutte le prove le fossero favorevoli; fu alla fine liberata dall'accanimento giudiziario (mai ammettere i propri errori! mai mollare l'osso azzannato...) grazie all'influenza politica di Luigi Napoleone, nel 1852. Pochi mesi dopo morì di tisi, che aveva contratto in prigione.

Ecco come ancora una volta una perizia che sembra esclusivamente tecnica può rivelarsi drammatica a tutti gli effetti (nel pro e nel contro!) se eseguita con leggerezza, con poca professionalità, o, infinitamente peggio in ambito giudiziario, partendo da tesi preconcette.

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