Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

Messaggi di Gennaio 2011

Chimica ed Arte: il Verde di Parigi

Post n°76 pubblicato il 28 Gennaio 2011 da paoloalbert

Ambientandoli in periodo vittoriano, ho parlato poco tempo fa di certi singolari avvelenamenti il cui colpevole era il verde di Parigi.
Forse val la pena di conoscere meglio questo interessante pigmento inorganico, che non è solo servito ad avvelenare la gente, ma è stato molto più utile per rasserenarne lo spirito! Impossibile? Seguitemi...

Chimicamente questo composto colorante è un sale di rame e sappiamo che quasi tutti i sali di rame o sono azzurri o sono verdi. Un pigmento per essere utilizzabile deve essere del tutto insolubile in acqua e per quanto possibile inalterabile nel tempo, quindi in pratica i sali di rame effettivamente adatti allo scopo sono molto pochi.
La reale composizione di questo sale doppio non è sempre esattamente definita poichè può variare leggermente a seconda del metodo di preparazione, ma si assume che corrisponda alla formula 3Cu3(AsO3)2.Cu(C2H3O2)2, ovvero tre molecole di arsenito legate ad una molecola di acetato di rame.

Non è un colorante antichissimo (nemmeno rinascimentale per intenderci), ma fu inventato verso la fine del '700; il suo successo fu però rapido e divenne diffusissimo nella pittura ottocentesca per la sua tonalità brillante e nello stesso tempo naturale.
Si otteneva a quei tempi esponendo lastre di rame a vapori di aceto (CH3-COOH) ed all'azione dell'anidride arseniosa As2O3, oppure con altri metodi, ma ottenendo alla fine una bella polvere verde dai numerosi nomi più o meno di fantasia; eccone alcuni:

verde di Parigi, verde di Schweinfurt, verde imperiale, verde di Vienna, verde pappagallo, verde smeraldo, verde mitis, verde di Lipsia, verde patentato, verde nuovo... credo che bastino! Il fatto che siano così numerosi è chiara testimonianza del suo grande successo commerciale.

Molto simile al verde di Parigi è il verde di Scheele, al quale manca però la componente acetica ed è pertanto arsenito di rame CuHAsO3; anch'esso non ha sempre una ben definita composizione poichè i rapporti tra arsenico, rame e molecole d'acqua legate dipendono dal metodo di preparazione.
Sono tutti composti molto velenosi, ed è curioso il fatto che il verde di Parigi prende il nome dal fatto che nel secolo romantico veniva impiegato per la derattizzazione delle suggestive fogne di Parigi (consiglio molto di andarle a visitare!).

Altro impiego poco conosciuto di questo colorante fu la lotta contro la zanzara anofele durante la bonifica dell'Agro Pontino negli anni '30, quando la malaria era una malattia endemica diffusissima in tanti parti d'Italia.

In ambito artistico era uno dei verdi preferiti da Cezanne, Van Gogh e altri artisti di quella splendida età pittorica che fu l'impressionismo.
Si dice addirittura che le malattie di questi due pittori (ma chissà di quanti altri!) derivassero anche da un cronico avvelenamento da arsenico e mercurio (quest'ultimo sotto forma del rosso vermiglione, HgS).

Alla fine i tempi sono cambiati, ha prevalso il buon senso ed il verde di Parigi è stato totalmente bandito dall'uso e sostituito da pigmenti meno pericolosi, fino ad arrivare a metà del secolo scorso alle ftalocianine di rame dalle varie tonalità e del tutto inalterabili nel tempo (ved. nel blog un po' più indietro) .
Cercare oggi in commercio il verde di Parigi è naturalmente un'impresa impossibile. però se proprio lo volete vedere eccolo qui sotto:

 

Verde di Parigi

 

Lo accompagno volentieri con un quadro di Cezanne e uno di Monet, nei quali, ci giurerei, l'acetoarsenito di rame è il protagonista fondamentale. E poi dicono che la Chimica e l'Arte non vanno d'accordo...

Cezanne 

Monet

 
 
 

Divagazioni tra reagenti e acido nitrico

Post n°75 pubblicato il 23 Gennaio 2011 da paoloalbert

In un laboratorio di chimica sperimentale bene organizzato, i reagenti (quelli che le persone comuni chiamano "le sostanze"), dovrebbero essere talmente numerosi da rasentare l'assurdo, per permettere (almeno in teoria) di progettare una qualsiasi reazione che capitasse di dover fare.
E' evidente che questo caso limite non esiste, tanto meno nella realtà hobbistica come la mia, nella quale i reagenti presenti, pur essendo un discreto numero, sono sempre inesorabilmente di gran lunga meno numerosi di quelli che vorrei.
Può succedere che ci sia magari una bottiglietta contenente una sostanza rara ed esotica e contemporaneamente che manchi un reagente importante e fondamentale; ma in fin dei conti, non essendoci alcuna finalità professionale, tutto fa parte del gioco, il quale è destinato a far sempre a pugni con le scarse risorse disponibili!
Dicevo dunque dei reagenti: ci sono delle sostanze che in qualsiasi laboratorio chimico non possono mancare; sostanze senza le quali nemmeno si comincia a parlare di chimica.
Ma quali sono le più importanti?
Se dovessi per forza sceglierne solo tre sulle migliaia possibili direi: acido solforico, acido cloridrico, acido nitrico.
La perfetta Triade! Un lab senza questi acidi sarebbe come un panificio che pretendesse di fare il pane senza acqua, farina e lievito...

E' possibile farsi in casa questi acidi? La risposta è sicuramente NO per l'acido solforico, SI' per gli altri due, ma il lavoro è conveniente solo per casi particolari.
Per esempio, un caso particolare per certe reazioni organiche è la necessità di avere acido nitrico concentratissimo (circa al 95-96%) mentre commercialmente lo si trova comunemente al 65-67%; come risolvere il problema?
O lo si compra (opzione totalmente esclusa, l'HNO3 al 96% è molto costoso!) oppure... lo si fa. Ecco come:

 

Acido nitrico

 

Materiale necessario:

- Potassio nitrato KNO3
- Acido solforico H2SO4
- vetreria opportuna

Stavolta occorre fare una sottolineatura sul termine "opportuna": la vetreria deve essere categoricamente "normalizzata", ovvero di qualità e con tutti i giunti di vetro smerigliato di dimensioni standard, per assicurare una tenuta perfetta; niente deve essere di gomma, plastica o materiali non resistenti alla potentissima aggressività dell'acido nitrico concentrato. La semplice reazione da sfruttare sarà la seguente:

KNO3 + H2SO4 --> KHSO4 + HNO3

- In un pallone da 500 ml introdurre 100 g di KNO3 e 100 ml (184 g) di H2SO4 concentrato. L'acido solforico è in grande eccesso (quasi il doppio) rispetto alla quantità stechiometrica e serve per trattenere il più possibile l'acqua derivante dalla decompozione dell'acido nitrico. Agitare brevemente il pallone e chiudere immediatamente predisponendo il tutto per la distillazione, con adatto termometro e refrigerante Liebig.Acido nitrico 1
Scaldando cautamente a piccolissima fiamma la miscela acido/sale si osserverà lo sviluppo di biossido d'azoto NO2 (o ipoazotide, un gas colore rosso bruno dovuto alla parziale decomposizione dell'HNO3) e pian piano superati di poco gli 80° l'acido formatosi comincerà a condensare nel refigerante e nella beuta di raccolta come un liquido giallino.
E' opportuno collegare con un tubetto siliconico la codetta di sfiato del beccuccio del Liebig ad un recipiente di neutralizzazione contenente una soluzione di NaOH, in modo che nell'ambiente non venga rialsciato alcun vapore acido.

Acido nitrico 2Tutto deve potere essere svolto con la massima tranquillità e sicurezza.
Durante la distillazione la temperatura tende a salire fin oltre i 100°; smettere la distillazione quando si sono raccolti poco più di 35 ml di HNO3; questo si presenta come un liquido giallo (il colore deriva dagli ossidi d'azoto che contiene in soluzione) fumante all'aria, estremamente irritante, corrosivo e pericoloso, da trattarsi quindi con le massime precauzioni, e va conservato in una bottiglia con tappo smerigliato.

 

Acido nitrico 3

Il peso di 10 ml esatti è stato di 15 g, quindi l'acido ottenuto in questo modo ha densità 1,5 - corrispondente ad una concentrazione del 96%, esattamente come mi ero proposto di ottenere.

 

 

Quest'acido mi è poi servito per la nitrazione dell'anidride ftalica (ved. luminol); il rimanente servirà per altre nitrazioni toste, nei casi in cui è difficile introdurre un nitrogruppo -NO2 in una molecola se non si ha a disposizione HNO3 quasi al 100%.

 

 
 
 

Un bel soffritto di cipolla

Post n°74 pubblicato il 16 Gennaio 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

In questo blog capita talvolta uno strampalato "chef" chimico che va a preparare le sue indigeste ricette (magari a base di 2-naftalensulfonato sodico o peggio!) e poi tenta di propinarle a quei benevoli commensali che si prestano agli esperimenti, non so con quanto successo...
Oggi però il cuoco ha giurato che farà veramente il suo mestiere, e ci preparerà un delizioso soffritto di cipolla per servire di base a chissà quali manicaretti!

La plebea cipolla, insieme all'aristocratico scalogno, al porro gentile e all'erba cipollina, fa parte delle 500 specie del genere Allium; sono tutti ortaggi antichi, le cui benefiche proprietà sono troppo note perchè sia il caso di approfondirle in questa sede.
Tutti sanno però che il prezzo di questa salutare bontà è il pianto!

Ecco, e te pareva! dirà qualcuno, vedrai che ricadiamo inesorabilmente nella chimica e adesso salterà fuori la storia del perchè la cipolla fa piangere chi la taglia.
Indovinato! Ma non fatemene una colpa, s'è capito che questo non è un blog di cucina!
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Allora, veniamo al sodo, perchè si piange?
Gli oli volatili che contribuiscono a dare alle verdure del genere Allium i loro sapori distintivi contengono una classe di molecole organiche complesse contenenti zolfo nella loro particolare struttura.

(Spero sia sottinteso che non si intende "zolfo" in quanto elemento, ma che esso è combinato chimicamente a formare sostanze con caratteristiche peculiari che con l'elemento non hanno niente a che vedere.
Siccome buona parte della chimica sta in questo concetto, forse non è inutile ripeterlo).

Ma quella particolare molecola di cui dicevo non è sufficiente: ci vuole qualcos'altro, tipicamente biologico.
Quando si affetta l'Allium cepa, ovvero la volgare cipolla, è chiaro che si va a rompere le pareti cellulari provocando uno sconvolgimento interno: le sostanze contenute nel citoplasma della cellula, che sono poi quelle che danno l'aroma e la caretteristiche organolettiche di questa sanissima verdura, vengono traumaticamente messe in contatto con due enzimi, l'allinasi e la sintasi LFS, che normalmente alloggiano in opportuni vacuoli ben isolate dal resto.
Il contatto di questi enzimi con gli aminoacidi solforati provoca in pochi secondi una serie di reazioni fra le quali quella che ci interessa dà origine al rilascio di acido propenilsulfenico:

 

Cipolla reazioni

 

Successivamente questa sostanza per rapido riarrangiamento (riarrangiamento si ha quando in una molecola cambiano di posto certi atomi o gruppi di atomi rispetto alla posizione di partenza) porta alla formazione di... (rullino i tamburi): 

propanetiale solfossido! La sostanza lacromogena.

Questa tioaldeide è un gas reattivo e irritante, che stimolando i neuroni sensoriali degli occhi agisce come un agente di lacrimazione e di bruciore, al quale reagiscono le ghiandole lacrimali generando liquido allo scopo di tentare di diluire il fastidioso agente chimico estraneo.

Ci sono vari e più o meno fantasiosi consigli per cercare di evitare questo piccolo inconveniente a cui va incontro ogni brava massaia alle prese con un soffritto di cipolla; sono consigli che magari si provano una volta ma che poi nessuno per fretta e semplicità mette in pratica.

Quindi vai tranquillo cuoco: zac-zac-zac, una bella affettatina senza starci proprio sopra con gli occhi, olio quanto basta, uno spicchietto d'aglio e un rametto di rosmarino... e lasciamo pure che il povero propanetiale sulfossido tenti anche lui di fare il lavoro di difesa per il quale è stato creato.

Stavolta "Buon appetito" non è fuori luogo come l'ultima volta, vero?

 
 
 

Sintesi del 2-Naftalensolfonato sodico

Post n°73 pubblicato il 15 Gennaio 2011 da paoloalbert

Bando alle ciance, oggi lo chef ha un raptus hard e propone a tutti i commensali un piatto di chimicaccia da stomaco buono:
il 2-naftalensolfonato sodico.
E' come un piatto di fagioli col lardo: o piace o non piace, senza tanti sofismi.
(In realtà lo chef non è così grossolano, ma ha un remoto secondo fine: l'idea di tentare di trasformarlo in futuro in qualcosa di più sfizioso: il beta-naftolo... ma se ne riparlerà).

 

Sodio naftalensulfonato 1

 

Veniamo subito al sodo, ecco cosa occorre:
- naftalene C10H8
- acido solforico
- sodio idrossido
- sodio cloruro
- vetreria opportuna

- in un pallone a due colli da 250 ml con applicato imbuto separatore e termometro che tocca quasi il fondo, introdurre 50 g di naftalina finemente macinata e riscaldare prima fino a fusione (80°) e poi piano piano fino a raggiungere la T di 160° (tolleranza di più o meno 5 gradi).
Dall'imbuto separatore far gocciolare lentamente, sempre agitando e in circa 5 minuti, 45 ml di H2SO4 conc., controllando che la temperatura si mantenga nel range previsto.
La miscela scurisce notevolmente; cessare il riscaldamento e tenerla in agitazione per altri 5 minuti.
[Non ho immagini per queste prime fasi].

Lasciar raffreddare e versare il prodotto in un becker da un litro contenente 500 ml di acqua, mescolando.
Se la solfonazione è stata corretta non si deve avere separazione di naftalina indecomposta ma tutto si deve sciogliere perfettamente (rimane una opalescenza dovuta ad una piccola quantità di 2-dinaftilsulfone C10H7-SO2-C10H7) insolubile).
Portare poco sotto l'ebollizione e neutralizzare la soluzione con NaOH al 20%; siccome c'è H2SO4 in eccesso ne serve una buona quantità e verso la fine procedere molto lentamente, senza far diventare basica la soluzione.
Portare all'ebollizione e se non si ha soluzione completa aggiungere lentamente acqua bollente fino ad avere una soluzione leggermente scura ma perfettamente limpida.


Sodio naftalensulfonato 2Lasciando raffreddare si ha abbondantissima separazione di 2-naftalensulfonato sodico, che essendo leggero e voluminoso fa quasi solidificare tutta la massa.
Filtrare su buchner (se è piccolo farlo in più passaggi) spremendo bene il prodotto, che rilascia l'acqua molto facilmente.
Ricristallizzare il prodotto come segue: preparare circa un litro di soluzione di NaCl al 10% ed in 500 ml di questa portata all'ebollizione sciogliere il prodotto mescolando energicamente; se non si scioglie tutto aggiungere ancora dell'acqua salata bollente, fino ad avere anche questa volta una soluzione limpida.
Filtrare come sopra, spremere il pù possibile e lavare appena appena con acqua ghiacciata e poi lasciar seccare all'aria.

Sodio naftalensulfonato 3Il 2-naftalensulfonato sodico si presenta sotto forma di squamette voluminose e leggere di colore leggermente beige e con una traccia odorosa del prodotto di partenza (ho detto una traccia, non deve puzzare di naftalina!).
La sintesi è abbastanza facile (ma attenzione alla T°!); rispettando le condizioni operative si riesce a rendere minima la solfonazione in posizione alfa (l'1-naftalensulfonato è più critico da fare) e non occorre alla fine separare gli isomeri.

La purificazione è discretamente lunga ma porta ad una buona quantità di prodotto e una volta tanto il costo è minimo (resa circa 55 g).

 

Sodio naftalensulfonato 4


Ricordo che la vera naftalina non è più usata come antitarme da tantissimo tempo; è stata sostituita dal 1-4-diclorobenzene Cl-C6H4-Cl il quale a sua volta è stato sostituito dalla molto più gradevole canfora C10H16O

That's all folks! Non è il caso di dire buon appetito... a meno che non ci sia in giro qualcuno che si chiama Eta Beta.

 
 
 

Ambientalismo vittoriano

Post n°72 pubblicato il 08 Gennaio 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Se dico "vittoriano", non vien subito da pensare a quel romantico periodo a cavallo tra la prima metà e la fine dell'ottocento?
Non par di vedere tutto quell'arco che va dai lanosi cappelli a cilindro fino alle solari pagliette belle epoque?
Il discorso di oggi si ambienta in questo periodo che ho così grossolanamente definito.

C'è da dire che le pareti delle case borghesi (specialmente inglesi) erano allora spessissimo ricoperte dalla tappezzeria, la cosiddetta "carta da parato": bene, facciamo finta ora che alla padrona di casa di una ipotetica dimora signorile del tempo piacesse una tappezzeria vivace, magari ad artistici fiorami, foglie e fregi come era di moda...

Poteva capitare, ed è effettivamente capitato in tante occasioni, che i signori abitanti di quella certa casa cominciassero ad avere strani sintomi, magari all'inizio semplici starnuti, poi tosse, lacrimazione, mal di gola, nausea, coliche, spasmi muscolari, diarrea, depressione, estrema debolezza...
Si capisce che tutti questi sintomi non erano concomitanti, ma apparivano in forma subdola, lenta ma sempre più invasiva, per arrivare a volte addirittura fino alle estreme conseguenze.
A volte succedeva a tutti i componenti della famiglia, altre volte magari solo a coloro che dormivano in una certa camera...

Cosa stava succedendo? Lo si è scoperto molto tempo dopo.

La fabbrica della carta da parati aveva usato per i propri pigmenti il bellissimo verde di Parigi (detto anche verde di Schweinfurt) oppure il verde di Scheele, due composti arsenicali allora molto in uso.
La presenza nella carta da parato di colle vegetali a base di amido, unita all'umidità dei muri ed a particolari condizioni favorevoli, avevano permesso lo sviluppo su quelle pareti di due microorganismi, il Penicillum brevicaule e il Penicillum divaricatum, che agendo per fermentazione sui composti arsenicali dei pigmenti avevano emesso minime ma pericolosissime tracce di arsina e alchilarsine; bastava che l'arsenico fosse presente in minime quantità (pochi ppm di As2O3 per mq) nella superficie della parete per rendere la stanza una insospettabile, lentissima ma micidiale camera a gas!
In Italia il problema fu studiato in particolare da Bartolomeo Gosio, e queste emanazioni furono da noi chiamate addirittura "gas di Gosio"!
Naturalmente quando la causa dei disturbi fu chiarita, l'impiego di queste sostanze fu proibito, anche se per qualcuno un po' troppo tardi...

Qualche formuletta si impone per capire meglio quella vittoriana tappezzeria:

- As, sua maestà l'Arsenico, un grigio semimetallo; è sempre lui il colpevole per definizione, è come il maggiordomo dei gialli delle barzellette!

- 3Cu(AsO2)2.Cu(CH3-COO)2, acetoarsenito di rame, detto verde di Parigi o di Schweinfurt, polvere di un bellissimo verde smeraldo, molto velenosa

- CuHAsO3, arsenito acido di rame, detto verde di Scheele, idem come sopra, con tonalità leggermente diversa

- As2O3, anidride arseniosa, è una polvere bianca e costituisce il terribile "arsenico" degli avvelenamenti delittuosi

- AsH3, arsina, un gas di odore agliaceo, velenosissimo

- (CH3-CH2)2=AsH, dietilarsina, liquido volatile, estremamente tossico e aggressivo

- (CH3)2=As-CH3, trimetilarsina, liquido volatile, idem come sopra

- (CH3)2-As-O-As-(CH3)2, ossido di cacodile, liquido di odore ripugnante, velenosissimo, di grande importanza storico-chimica, ma che ora non sto a dire.

Dopo queste amene considerazioni di tossicologia pre-ecologica, quando la sensibilità ambientale era zero con tutte le sue ovvie conseguenze, ce ne sarebbero da fare altre, ma girate di 180 gradi, verso un altro estremismo.

Mi riferisco a quella moda oggi dilagante di esibire la propria ignoranza scientifica vedendo quasi tutto ciò che ci circonda come tossico e cancerogeno.
Basta bruciare un cartone o possedere un vecchio termometro a mercurio che qualcuno ormai comincia a guardarti com'era guardato Gian Giacomo Mora nella Colonna infame... permettetemi di estremizzare un po' anch'io!

Ma che fastidiosi questi estremismi!
Non dico di preferire le mie verdi carte da parato, ma tra queste e un moderno eco-talebano... non saprei cosa scegliere.

 

 
 
 

Giro di boa

Post n°71 pubblicato il 04 Gennaio 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Accendo ora il computer e mi accorgo che il "contachilometri" ha intanto doppiato quella che per me era una lontanissima boa.

Non so chi sarà stato il decimillesimo ospite di questo blog nato quasi per caso giusto un anno fa... è certo che per chi trova un po' di diletto anche nello scrivere (oltre che nello sporcare provette!) è una buona soddisfazione constatare che qualcuno apprezza, o almeno partecipa benevolmente a quanto si fa e a quanto si dice.

Auguri rinnovati a questo ignoto decimillesimo amico!

 
 
 

Buon duemilaundici!

Post n°70 pubblicato il 01 Gennaio 2011 da paoloalbert

2011

 
 
 

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