Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

Messaggi di Agosto 2011

La viscida Muresside... parte seconda.

Post n°126 pubblicato il 31 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Eccoci finalmente alla fase sperimentale del saggio della muresside: cosa ci serve?
Un po' di caffeina e dei buoni ossidanti, come l'acqua ossigenata o un clorato alcalino, ed ammoniaca per concludere.
Il test è facilissimo e viene bene, fatto salvo naturalmente che nel lab ci sia ogni volta tutto ciò che occorre al caso in gioco (risolvere questo problema per un lab hobbistico di chimica organica è estremamente più difficile di quanto possa sembrare, ma questo è un altro discorso, al quale ho già accennato in passato).


Test 1

- porre in una capsula una piccola puntina di spatola di caffeina con circa 4-5 volte il suo peso di clorato di sodio o potassio, mescolare e ricoprire la miscela con un paio di ml di HCl concentrato.
Si ha svolgimento di cloro ed ossidazione della base xantinica.
Mettere la capsula in bagno d'acqua bollente e lasciar evaporare; si forma alloxantina giallo-arancio (mescolata a NaCl).
Aggiungendo un paio di gocce di ammoniaca si nota la colorazione rosso violacea del purpurato di ammonio, cioè della muresside.

Muresside 1 
Residuo dell'ossidazione con NaClO3

Muresside 2 
Aggiunta di qualche goccia di ammoniaca

Muresside 3 
Tracce di alloxantina su carta da filtro esposte ai vapori di ammoniaca

Test 2

- porre in una capsula una piccola puntina di spatola di caffeina e aggiungere 1 ml di HCl al 10% e 1 ml di acqua ossigenata al 30%.
Evaporare a bagnomaria come nel caso precedente, ottenendo un residuo giallo aranciato.
Con una traccia di ammoniaca diluita si ottiene l'intensa colorazione della muresside.

Muresside 4 
Residuo dell'ossidazione con H2O2

Muresside 5 
Aggiunta di un paio di gocce di ammoniaca diluita

Muresside 6 
Fase finale

Come si vede il test viene benissimo e la colorazione purpurea è molto evidente; chi non avesse a disposizione la caffeina potrebbe estrarne un po' dal tè (anche senza purificarla) e fare un test ancora più "ruspante" sul prodotto alimentare: oso sperare che qualche anonimo e incognito volontario prima o poi lo farà.

Per concludere, ringrazio l'amico  Marco per avermi dato lo spunto per questo lavoretto in due puntate.

 
 
 

La viscida Muresside... parte prima.

Post n°125 pubblicato il 29 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Quando (è passato un bel po' di tempo?) frequentavo con gli amici di scuola il laboratorio di chimica organica, ogni tanto usciva da parte di qualcuno la battuta:

-LA MUREXIDE, LA MUREXIDE! indicando con finto ribrezzo il soffitto o una parete del lab. -E' vero, è vero, eccola là che scivola, rispondeva qualcun altro con risibile orrore...

Per capire questo apparente linguaggio di pazzi occorre sapere che noi intendevamo per "murexide" un immaginario quanto immondo mollusco, rosso e viscido, schifosamente pronto a cadere nel becker delle analisi...
Si sa, le giovanili fantasie non hanno limiti, e tutto così per ridere, magari per sdrammatizzare la ricerca di qualche famigerato doppio legame.

Tutto ciò sarebbe forse caduto nell'oblio dei ricordi se qualche tempo fa, senza sapere questi precedenti, l'amico Marco (ecco il link al suo blog, per i pochi che non lo conoscessero) non mi mandasse via e-mail, indovinate un po' che cosa... il classico saggio analitico per i prodotti xantinici: proprio la prova della MURESSIDE!
Ma che meraviglia, mi son detto, lo faccio subito in onore dei vecchi tempi!

Ma cosa diavolo è la muresside? Ci vuole una brevissima introduzione...

Tutto ha origine da sostanze biologiche naturali o derivate chiamate acido urico, purina e xantina:

Acido urico   purina    Xantina

Acido urico                    Purina                 Xantina

per esempio il derivato trimetilico della xantina è la notissima caffeina del caffè

 

Caffeina

 

che con le sorelle quasi gemelle teobromina (del cacao) e teofillina (del tè) costituiscono le cosiddette basi xantiniche.

In questi derivati xantinici per ossidazione l'anello imidazolico (quello pentagonale di sinistra) viene distrutto dando origine ad una miscela di allossana e acido dialurico,

 

Allossana          Acido dialurico

Allossana                                   Acido dialurico

i quali possono condensare per formare alloxantina


Alloxantina

 

A sua volta l'alloxantina, in presenza di ammoniaca, forma il sale d'ammonio dell'acido purpurico intensamente colorato in rosso purpureo, detto finalmente... muresside!
(Dice qualcosa il nome Murex degli antichi?)

Ecco la reazione finale, che porta dalla alloxantina alla muresside.

 

Alloxantina muresside

 

E' interessante notare che tutti questi nomi pittoreschi dei derivati dell'acido urico vennero scelti per la maggior parte da Wohler e Liebig secondo particolari ragionamenti in un tempo in cui era quasi impossibile intuirne le strutture ed il metodo per determinare il contenuto di azoto era così soggetto ad errori da dare risultati incerti.
Col tempo questi nomi storici sono riusciti a permanere anche a dispetto della moderna nomenclatura ed ora li ritroviamo ancora sulla cresta dell'onda, riassuntivi di altrimenti troppo lunghi termini IUPAC.

La muresside è stata perfino usata per un breve periodo nella seconda metà dell'ottocento come colorante per lana e seta; si partiva addirittura dal guano del Cile, estraendone l'acido urico, trasformandolo in --> allossana, --> ac. dialurico, --> ecc. --> ecc., un lavoraccio insomma... poi sono arrivati i coloranti derivati dall'anilina e simili e la simpatica muresside è ricaduta in oblio, relegata in qualche prova di laboratorio o rivissuta in qualche strambo blog, come questo.

Nella prossima puntata arriveremo finalmente alla fase sperimentale, che ci confermerà in pratica il senso di tutti questi discorsi.

 
 
 

I signori Marne, Kedde e gli oleandri...

Post n°124 pubblicato il 21 Agosto 2011 da paoloalbert

L'ottavo Carnevale della Chimica, ospitato questa volta sul blog Knedliky ha come tema "La chimica delle sostanze bioattive": quale migliore occasione per provare e riferire un paio di test qualitativi che avevo in mente da una montagna di tempo?

 

Oleandro

 

Da noi, ed in tutto il Mediterraneo,  non c'è persona che non sappia che l'oleandro è una pianta velenosa; certo non dev'essere così dappertutto perchè sembra che specialmente in Sud Africa, dove questa bella pianticella non è autoctona, vi sono molti casi di avvelenamento, soprattutto fra i bambini (la fame dev'essere tanta per riuscire a biascicare queste amarissime foglie...).
Effettivamente l'oleandro (Nerium oleander) è MOLTO velenoso, dato che una sola foglia può essere mortale per un bambino piccolo e poche lo sono altrettanto per un adulto.
Per persone con problemi di cuore, e per animali particolarmente sensibili come le pecore, una dose di foglie di soli 0,5 mg/Kg (una foglia grande pesa mediamente 500 mg) può essere letale!
Il principio attivo è un glicoside cardiotossico, l'oleandrina, quasi identica ai molto più noti glicosidi digitalina e digitossina, derivati dall'altro bellissimo vegetale a nome Digitalis purpurea; ecco qui sotto le formule dell'olendrina e della digitossina:

   Oleandrina       Digitossina

 

 

 

 

L'oleandrina pura si presenta come una polvere bianca cristallina, insolubile in acqua, molto amara. Nella pianta dell'oleandro, specialmente nelle foglie, è contenuta per circa lo 0,08% -

Come tutte le sostanze bioattive di origine naturale, tutte queste sostanze sono state usate in medicina, nella fattispecie come potenti cardiostimolanti, in dosi ben controllate a causa della loro elevata tossicità.
Ma mentre la digitalina ha degli effetti più costanti e prevedibili, l'impiego dell'oleandrina è molto più problematico, tanto che in pratica (a parte Russia e Cina) è stata pochissimo usata dalla nostra farmacopea.
Per la modalità di azione biochimica di queste sostanze rimando ad informazioni facilmente reperibili e che esulano dalle finalità di questo blog; aggiungo solo che gli effetti di avvelenamento da parte dell'oleandrina sono forti disturbi a livello gastrointestinale e generale, ma soprattutto gravissimi scompensi cardiaci (bradicardia, tachicardia, aritmia, ecc.) ed a carico del SNC.

Dopo questa allegra e consolante introduzione sulle belle e pericolose proprietà della figlia dell'oleandro, me ne torno nel campo strettamente più consono a questo blog: quello sperimentale, che non manca mai.
Nella foto in apertura si vede un piccolo ma rigoglioso Nerium, con le fogliette pronte per "l'analisi" (in realtà non è stato lui a far da cavia, ma un suo simile molto più "dotato"...).

Seguendo una procedura presente in rete, ma che qui volutamente non riporto (è uno specifico brevetto del 1948) ho isolato un concentrato di oleandrina di qualche mg, sufficiente per le prove confermative che avevo intenzione di fare.
La cristallizzazione della sostanza pura è molto difficile e occorrerebbe operare su quantità maggiori di "materia prima" di quelle che ho usato io: per ora accontentiamoci ampiamente!
Volevo fare due test qualitativi sull'oleandro, molto diversi: quello col reattivo di Marne e quello col reattivo di Kedde.

Il reattivo di Marne si prepara in questo modo:
- sciogliere 1 g di di ioduro di cadmio in una sol. bollente di 2 g di ioduro di potassio in 6 ml di acqua e poi mescolare con 6 ml di soluzione satura di KI; forma un precipitato con diversi alcaloidi.

Il reattivo di Kedde si prepara in questo modo:
- sciogliere 0,3 g di acido 3,5-dinitrobenzoico in 1 ml di etanolo e aggiungere al momento dell'uso 1 ml di NaOH 2N; con cardenolidi (come l'oleandrina) produce una intensa colorazione dal rosso al blù-violetto, che pian piano svanisce.

 

Test n. 1:

Oleandrina 2


Foto sopra: soluzione diluitissima di oleandrina in etanolo, limpida
Trattamento della medesima con 5 gocce del reattivo di Marne, si nota (in realtà molto meglio che in foto) l'intorbidamento.

 

Test n. 2

Oleandrina 3

Foto sopra: nel pozzetto a sinistra soluzione diluitissima di oleandrina in etanolo
A destra, trattamento della medesima con 5 gocce del reattivo di Kedde
Il colore del pozzetto in alto si sta già attenuando, fatto tre minuti prima del'altro.

                                     ---°°°OOO°°°---

I test qui sopra ripagano piacevolmente le MOLTE ore trascorse a preparare tutto e confermano quello che già si sapeva: entrambi risultano positivi all'oleandrina, c.v.d.
Evviva, alla salute di Nerium e della figlioletta!


(E a proposito di reattivi: a presto con la sintesi dell'acido 3,5-dinitrobenzoico, fatto per l'occasione...).

 
 
 

Cobalto, reazione di Blomstrand

Post n°123 pubblicato il 19 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Ecco un altro piccolo intermezzo, facile facile, scaturito giocando d'estate con i sali di cobalto.

Questo metallo forma una miriade di complessi con i più svariati anioni: uno di questi, abbastanza insolito, è il sale di Blomstrand, ovvero cobaltocianato di potassio K2[Co(OCN)4] dall'intenso e bel colore blù-azzurro.
La formazione del colore è una delle reazioni dell'analisi qualitativa classica durante il riconoscimento dell'anione cianato -OCN (naturalmente vale anche l'azione complementare: si può ricercare il cobalto usando un cianato, ma di solito si preferisce il saggio di Vogel, usando non un cianato ma un tiocianato).

E' interessante notare che i quattro amici idrogeno, ossigeno, carbonio e azoto si combinano tra loro (quando in rapporto 1:1:1:1) in tre modi diversi, dando origine ai tre acidi isomeri, instabili allo stato libero

- acido cianico H-O-C≡N
- acido isocianico H-N=C=O
- acido fulminico H-O-N=C

L'acido cianico è quello del cianato di potassio KOCN di questo post; è un sale di uso poco comune, che si forma oltre che per ossidazione del cianuro alcalino KCN anche in un bel modo che vedremo qualche altra volta.

L'acido isocianico è importante per certi isocianati organici (come il famigerato metilisocianato di Bophal CH3-N=C=O) impiegati per sintesi industriali per la produzione di pesticidi o polimeri.

L'acido fulminico è conosciuto in pratica solo per il suo sale di mercurio Hg(ONC)2, il più noto esplosivo innescante, ora quasi completamente sostituito da altre sostanze.

(Per completezza, ci sarebbe anche il trimero acido (iso)cianurico C3H3O3N3, ma non usciamo troppo dal seminato...).

Tornando al tema del giorno, il complesso colorato K2[Co(OCN)4] si forma facilmente trattando l'acetato di cobalto con cianato di potassio, secondo la reazione:

Co(Ac-O)2 + 4 KOCN --> K2[Co(OCN)4] + 2 K(Ac-O)

Se la quantità di acqua è grande il colore blù scompare perchè lo ione complesso si dissocia nei suoi componenti e rimane solo il tenue rosa del cobalto Co++

[Co(OCN)4]-- --> Co++ + 4 OCN-

Aggiungendo ancora cianato (oppure etanolo) l'equilibrio si ri-sposta a sinistra.

Le foto mostrano i due colori:

 

Blomstrand 1

Blomstand 2

 

 

 

 

 

 

sol. di acetato di cobalto                complesso con KOCN

oppure diluizione con acqua           oppure aggiunta di etanolo.

 

Come dicevo all'inizio, giochetti estivi di poco impegno!

 
 
 

Edgar Degas ed una passeggiata in collina

Post n°122 pubblicato il 13 Agosto 2011 da paoloalbert

E' incredibile come la mente possa, partendo da uno stimolo qualsiasi, mettersi a girovagare in un milione di agganci, solo con un po', diciamo così, di "predisposizione".
Mi è capitato qualche giorno fa di passeggiare lungo una amena stradicciola, immersa a sua volta in un alrettanto piacevole ambiente collinare e vedere, guarda là, un bel gruppo di argentee pianticelle di Artemisia Absinthium.

Come si sa, quest'erba era la fondamentale materia prima per la produzione del famoso liquore Absinthe (Assenzio), tanto caro agli intellettuali del decadentismo francese di fine ottocento ed ai pittori di quel periodo, e mi permette di giustificare l'apparentemente incongrua associazione tra il famoso pittore delle ballerine e la mia passeggiata in collina.

Ho preso una pianticella piccolina e l'ho trapiantata provvisoriamente in un vaso, in attesa di più consona collocazione nel giardino di casa: ecco la foto:

 

Assenzio


Sull'assenzio ci sarebbe da scrivere fin che si vuole, sia per quanto riguarda la medicina popolare che sul famoso liquore bohemienne, ma non voglio ripetere cose già note e rimando a questi soli due link, che mi sembrano esaustivi quanto basta e fatti bene link1 e link2.

Assaggiare una foglietta di assenzio non è per niente piacevole (naturalmente ho provato di persona) perchè contiene una sostanza dalle positive caratteristiche antiinfiammatorie ma che è amarissima: l'absintina; mia nonna materna, che nulla sapeva di chimica ma che di decotti orrendi se ne intendeva, aveva ragione, il gusto è veramente orribile!
Ecco la formula di questa sostanza, sintetizzata in laboratorio solo nel 2004;

 

Absintina

 

per pura curiosità e a mio rischio e pericolo metto pure il nome ufficiale IUPAC:

(1R,2R,5S,8S,9S,12S,13R,14S,15S,16R,17S,20S,21S,24S)-12,17-dihydroxy-3,8,12,17,21,25-hexamethyl-6,23-dioxaheptacyclo[13.9.2.0 1,16.02,14.04,13.05,9.020,24]hexacosa-3,25-diene-7,22-dione


Bello e semplice, vero?

Oltre all'absintina, l'assenzio contiene il famoso tujone


Tujone


che, a torto o a ragione ha decretato innanzitutto la messa fuori legge del liquore per quasi un centinaio d'anni, e poi, passata la moda bohemienne, la sua rapida autoestinzione già dai primi anni del '900.

Questo chetone terpenoide è stato demonizzato come il responsabile del degrado umano di persone che sul finire del secolo XIX° erano preda sicuramente molto più dell'etanolo assunto in quantità da alcoolista impenitente che della misera quantità di tujone presente nella verde bottiglia della Pernod, se ci si fosse limitati ad un consumo "normale" senza arrivare ai limiti dell'assunzione cronica.

Come per ogni sostanza, prima di esprimere spicce considerazioni qualitative, approfondiamo l'argomento sulla tossicità della sostanza medesima dal punto di vista quantitativo (la DL50 e la quantità effettivamente ingerita sono i dati che contano!) e poi traiamone le personali conclusioni.

In ogni modo, forte della sua ormai inattaccabile fama "trasgressiva", il liquore all'assenzio ormai liberalizzato è tornato recentemente di moda in qualche locale un po' snob; anche vicino a casa mia c'è uno di quei pub, frequentati dagli amanti delle ore piccole, che sfoggia un cartello che furbescamente recita: "qui si serve l'assenzio originale...".
Quanto questo liquore sia simile a quello dell'originale  scapigliatura parigina è tutto da verificare.
Ma anche se non lavorasse il tujone, ben lavora la suggestione durante le cerebrali procedure di preparazione della "trasgressiva" bevanda...

Per finire gustiamoci questa famosissima opera di Edgar Degas.

Degas


Qualche anno fa, al Museo d'Orsay avevo fatto le stesse arzigololate associazioni di idee di oggi, ma in senso inverso: dal quadro di Degas passavo al tujone e da questo all'artemisia; oggi, dalla pianticella passo al tujone, e da questo agli stralunati personaggi del quadro di Degas... tutto passeggiando qua e là in collina.

 
 
 

Il DDT, sintesi di un simbolo

Post n°121 pubblicato il 05 Agosto 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Se tu non fossi proprio giovanissimo e qualcuno ti dicesse: pensa ad un insetticida antimosche, antizanzare, antitutto... pensa ad un classico insetticida da dare con il vecchio spruzzatore a pompetta... tu a cosa penseresti? Tempo di riflessione mezzo secondo: al DDT!
(A casa mia un tempo usare questo spruzzatore con il DDT si chiamava "dare il flit" ed era la gioia di noi bambini riempire la pompetta di acqua e dare il flit dovunque!).

Questa sostanza, ora proibita per le sue capacità di accumulo nei tessuti animali superiori, per la sua lunga persistenza e per la tossicità verso gli animali acquatici, ha svolto miracoli nella lotta alla malaria ed è una delle sostanze che veramente hanno cambiato il mondo, dal suo pratico impiego nel 1939 agli anni sessanta e oltre.
Ebbe anche il paradossale merito di aver fatto nascere il movimento ambientalista!
DDT è l'acronimo di Dicloro-Difenil-Tricloroetano [1,1,1-tricloro-2,2-bis(p-clorofenil)-etano] e fu scoperto dal chimico austriaco Othmar Zeidler nel 1874; ma l'impiego su vasta scala si ebbe solo a partire dal 1939 per opera di P.H.Muller, per controllare l'endemicità della malaria che mieteva milioni di vittime in tutto il mondo.

(Altra piccola digressione: Carlo Levi in "Cristo si è fermato a Eboli" descrive magistralmente questa terribile situazione di endemicità nella nostra Lucania degli anni '30).


Da tempo volevo provare la sua sintesi, la quale sempre inesorabilmente si arenava contro la necessità di utilizzare l'acido clorosolfonico HOClSO2 come reagente indispensabile, il quale, oltre che molto tosto da usare (ma questo è il problema minore...) è assai problematico da reperire.
Navigando in rete, dove se si è perseveranti nella ricerca si trova tutto, o quasi, ho scoperto che l'acido clorosolfonico NON è indispensabile.
Anche qui, per uno sporcaprovette impenitente come chi scrive, mezzo secondo di riflessione: caspita che colpaccio, proviamo questa storica condensazione!
Detto fatto, ecco la reazione di massima e la procedura.

 

DDT 1

 

Materiale occorrente:

- cloralio idrato CCl3-C(OH)2
- clorobenzene C6H5-Cl
- acido solforico
- isopropanolo
- vetreria opportuna

DDT 2In una beuta da 100 ml con tappo smerigliato, porre 4 g di idrato di cloralio [aldeide tricloroacetica idrata CCl3-CH(OH)2 ] in 4,2 ml di clorobenzene, riscaldando leggermente fino a soluzione completa. Porre su agitatore magnetico e aggiungere lentamente 66 g (36 ml) di acido solforico concentrato.

La miscela diventa subito leggermente lattiginosa; mescolare sempre per un'ora circa e poi lasciar riposare fino al giorno successivo, con tappo ermeticamente chiuso.
Il liquido assume colore giallastro.

DDT 3Mescolare ancora e lasciar riposare ulteriori 4 giorni o anche più, mescolando ogni tanto il liquido giallino torbido.
Si trova alla fine formato un solido sul fondo della beuta immerso in un liquido giallo carico. Aprire cautamente il tappo (attenzione ad eventuale sovrapressione!) e versare il contenuto in un becker da 600 ml pieno per un terzo di ghiaccio.
Mescolare, risciacquare bene la beuta e filtrare su buchner, trattenendo il solido nel becker e facendo passare prima tutto il liquido acido, biancastro anche oltre il filtro.

Risciacquare e lavare, cercando di spappolare bene il residuo solido con 30 ml di acqua, poi con 20 ml di soluzione al 5% di bicarbonato di sodio e poi con ulteriori 50 ml di acqua, usando sempre il filtro precedente e aspirando bene.

Ricristallizzare il prodotto da alcol isopropilico (80 ml isopropanolo + 20 ml acqua) e lasciar raffreddare lentamente. Filtrare e seccare all'aria. 

 

DDT

 

Resa 3,3 g (circa 46%) di DDT, compresa la discreta quantità dei suoi isomeri (il cloro è in -p, in -o e mix).
La resa non è eccelsa ma accettabilissima, visto il metodo semplice e che non richiede l'utilizzo della famigerata cloridrina solfonica.

Il DDT cristallizza (con questo sistema) in piccolissimi aghetti perfettamente bianchi, lanosi e leggerissimi, insolubili in acqua, di odore leggero ma persistente e caratteristico, non spiacevole.

La bella molecola di questa sostanza (per "qualcuno" le molecole sono tutte belle ... e quelle di autosintesi lo sono ancora di più!) la possiamo ora mettere nella bottiglietta in mezzo a quelle che a pieno diritto hanno fatto la storia, come dicevo all'inizio.

 
 
 

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