I

Post n°1 pubblicato il 04 Agosto 2006 da Larka4

I

 

Lui adorava dipingere durante la notte. Faceva in modo che le sue tele venissero illuminate da una debole luce proveniente da una piccola lampada. Non sfruttava mai la luce naturale tranne per osservare le sue stesse opere.

Talvolta, durante il giorno, mentre osservava quei dipinti, coglieva un’incompiutezza o l’imperfezione di qualche particolare. Quando calava la notte, tentava di rimediare a tutti quei dettagli artistici che lui stesso definiva come “errori”. Il suo spirito era così instabile che i suoi tentati rimedi gli apparivano fallimentari e senza volerlo tutti i suoi quadri facevano la medesima fine: venivano abbandonati uno sopra l’altro in un angolo della camera e venivano ricoperti con un bianco, vecchio, strappato lenzuolo.

“Non essere mai soddisfatti: l’arte è tutta qui” aveva detto lo scrittore francese Jules Renard, lui inconsapevolmente aveva trasformato la sua insoddisfazione in un’arte. Un’arte che non lo soddisfava ma compiaceva tutti.

Amava dipingere corpi nudi e imperfetti di amanti giovani o anziane: poco importava. Sullo sfondo di quei corpi sfumava una varietà di colori così intensa da formare un abisso dentro il quale gli stessi corpi rappresentati sprofondavano fino ad annullarsi. Quei corpi erano elementi figurativi totalmente slegati dai colori.

Finora solo due cose avevano senso nella sua vita, una di queste era la sua arte.

 

Aveva incominciato a disegnare accuratamente durante l’infanzia, forse all’età di cinque anni.

Provava piacere quando sua madre, per evitare di sentire i suoi pianti, lo tranquillizzava dandoli carta bianca e tempera. Si divertiva moltissimo con tutti i colori e finiva sempre a dipingere anche sulle pareti. Era piccolo ma tuttavia sapeva riconoscere come quel pezzo di carta fosse veramente limitato per esprimere tutte le sue sensazioni.

Qualsiasi genitore avrebbe rimproverato il proprio figlio vedendolo dipingere sulle pareti, tuttavia, Charlot, una bellissima donna di origine francese, non le importava. Si faceva travolgere dall’instabilità che le procuravano le bottiglie di cognac e rimaneva proiettata nelle sue emozioni, dimenticando il mondo circostante.

Fu la domestica a regalare, a quel bimbo di spiccata creatività, la prima tela.

 

Lui si chiamava Axel e aveva ventitrè anni. La sua carnagione chiarissima appariva talvolta come pallida. Aveva due occhi verdi bellissimi e profondi. Con essi era in grado di scrutare ogni forma vivente fino a smantellarne l’anima. Tuttavia quei bellissimi occhi difettavano di una capacità: erano legatissimi ad ogni particolare che si presentasse nel presente. Quel presente secondo dopo secondo si trasformava in passato e quegli occhi non erano in grado di osservare oltre, non erano in grado di immaginare il futuro.

Axel era ignaro della bellezza dei suoi occhi e non era cosciente di come essi avessero il potere di lasciare un’impronta nell’anima delle persone che scrutava.

Egli non sapeva e non voleva sapere. Inoltre, non voleva comprendere quale fascino esercitassero quelle due piccole pupille verdi nascoste dai suoi semilunghi, lisci capelli neri.

 

Ci sono persone che piombano nella nostra vita e senza rendercene conto sono in grado di sconvolgere tutto: i nostri progetti, i nostri desideri, i nostri schemi e paradossalmente anche la nostra stessa instabilità.

Queste persone possono decidere se continuare a rimanere o andarsene dalla nostra vita.

Solo nel momento in cui ci abbandonano scopriamo come esse abbiano lasciato una traccia indelebile nella nostra anima. Tuttavia loro non ne sono consapevoli e continuano imperterrite a percorrere il lungo scorrere della loro vita. Probabilmente ogni tanto si fermano a cercare nei loro gesti la traccia che noi abbiamo lasciato in loro o forse vanno avanti in cerca di qualcosa di ignoto, in cerca di qualcosa di cui non possono immaginare l’esistenza.

Axel era una di quelle persone!

 

Axel incominciò a dipingere su tela all’età di dieci anni dopo aver visitato con la domestica il Musée Marmottan Monet di Parigi. Fu colpito dalla varietà di colori del Impression, soleil levant.

Quel quadro di Monet risalente al 1872, in cui emerge una foschia azzurra e appena emergono le forme dell’imbarcazione sullo sfondo, gli aveva permesso di cogliere l’impressione, la verosimiglianza dell’essenza presente in ogni cosa e in ogni forma vivente.

Uscito dalla mostra, Axel, come ogni bambino che desidera, ingenuamente chiese alla sua accompagnatrice di comprargli una tela. Egli dichiarò di voler diventare un artista proprio come Monet. Lei lo guardò sorpresa e senza neppure contraddirlo, o cercare di dargli una spiegazione dell’assurdità della sua idea, lo accontentò. Ella, probabilmente grazie al suo istinto materno e il suo fiuto da donna, era convita che la cosa migliore fosse permettere ad Axel di coltivare la sua passione.

 
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II

Post n°2 pubblicato il 04 Agosto 2006 da Larka4

II

 

21 ottobre 2005 - Milano

Dopo una lunga notte trascorsa a dipingere il corpo di una delle sue amanti, Rebecca, Axel si addormentò alle sei del mattino.

A quell’ora la città sembrava risvegliarsi. Le foglie gialle e secche lasciavano spogli gli alberi e si poggiavano sul grigiore del marciapiede. Un lieve vento le spostava disperdendole per le vie della città. Il sole lottava inutilmente per liberarsi dalle fittizie nuvole. Gli edicolanti alzavano le saracinesche e disponevano i quotidiani. Gli uccelli, come ogni mattina, cinguettavano fino a disturbare chiunque tentasse di guadagnare qualche minuto di sonno prima di alzarsi e prepararsi per una nuova giornata lavorativa.

Tuttavia Axel non si accorgeva di nulla. Aveva poggiato il capo su un piccolo cuscino quadrangolare e aveva disteso il corpo sul divano disposto vicino alla sua tela.

Egli aveva abbandonato Rebecca nel letto. Riteneva che fosse un atteggiamento scorretto ed irrispettoso dormirle accanto. Lui non dormiva vicino a nessuna amante. Talvolta questo suo comportamento veniva frainteso. Le donne, infatti, credevano che fosse ingiusto essere lasciate sole dopo una relazione sessuale, non comprendevano che forse quell’abbandono, in realtà, era un segno di rispetto. In quel momento, esse avrebbero dovuto comprendere che tutto è stato un puro divertimento e che sarebbe inutile farsi illusioni. Avrebbero dovuto capacitarsi a riconoscere che la solitudine è la migliore compagna dopo una relazione sessuale e che essa è meglio di qualsiasi amante ipocrita e bugiardo.

Axel, non si preoccupava dei pensieri altrui. Era convinto che fosse sufficiente avere l’auto-consapevolezza che quelle donne non erano un semplice oggetto sessuale ma pura fonte d’ispirazione. Esse non lo potevano condurre al raggiungimento della stabilità, della compiutezza.

Quelle donne davano un senso alla sua arte ma non dimostravano quale potesse essere la finalità di questa.

 

Alle sei e mezza Rebecca si svegliò. Uscì dalla camera da letto e si recò in salotto per dare un’occhiata fuggitiva alla tela in cui era stata rappresentata. Non riusciva a comprenderla, non le importava come fosse. L’arte era solo un pretesto. Lei desiderava Axel e non riusciva a realizzare come costui fosse totalmente indifferente nei suoi confronti.

Si vestì lentamente e tentando di non far rumore uscì dalla camera ed andò in cucina per prepararsi un tè caldo. Lasciò la teiera sul fuoco e ritornò in salotto per vedere Axel mentre dormiva.

Non voleva svegliarlo ma ciò fu inevitabile. Si avvicinò a lui e dolcemente con le dite gli accarezzò le labbra.

Lui si svegliò spaventato come se fosse stato un frastuono a interrompere il contenuto latente del suo sogno. Aprì gli occhi e con uno sguardo di disprezzo fissò Larka. Non doveva osare. Lui non tollerava quelle affettività da un’amante e tanto meno non tollerava che qualcuno potesse interrompere il suo profondo sonno. La spinse debolmente lontano da sé e si alzò senza dire una parola.

Andò in bagno e spogliatosi si fece una doccia. L’acqua scendeva sul suo corpo nudo. Il grande tatuaggio sul petto, un grosso drago color fucsia con denti e coda verdi, sembrava prendere vita ogni volta che sospirava, ogni volta che una goccia d’acqua gli attraversa il corpo. I suoi addominali scolpiti sembravano esser tratteggiati da un disegnatore.

Uscì dalla doccia e dopo essersi asciugato e infilato i boxer neri, gironzolando come uno straniero in terra ignota, raccolse i primi indumenti che trovò dispersi in casa e li indossò.

 

- Io esco, spero di non trovarti qui quando torno! – pronunciando quelle parole, Axel si diresse verso la porta e se ne andò.

Rebecca rimase lì. Sola. Meravigliata. Disgustata. Non riusciva a credere a quello che aveva sentito. Non riusciva a comprendere che potessero realmente esistere persone prive di sensibilità come Axel. Era ferita, delusa e dentro di lei il desiderio si era trasformato in repulsione ma soprattutto in disprezzo. Desiderava ribellarsi a quell’invito obbligato, desiderava alzargli le mani per rivendicare l’orgoglio di tutte le donne sfruttate come oggetto sessuale. Ma lui non le aveva dato il tempo. Era fuggito. A lei non rimaneva altro che andarsene.

Controllò che non si fosse dimenticata qualche cosa per la casa. Aveva fretta, voleva fuggire e ormai aveva deciso che non sarebbe mai più tornata in quell’abitazione. L’umiliazione era troppo grande. Non avrebbe permesso mai più a nessuno di trattarla in tal modo.

 

Axel salì in auto.

Era incredibile come quell’auto gli trasmettesse la sensazione di poter dominare il mondo,  l’emozione di poter vedere lo scorrere delle scene della propria vita in pochi secondi, la consapevolezza che nulla è per sempre perché tutto finisce e potrebbe terminare quando meno ce lo si aspetta. Probabilmente era logico che lui provasse tutto ciò, d'altronde la sua era un’auto che pochissimi potevano permettersi. Essa era una bellissima, nera Porsche 911 Carrera 4S. Un auto del valore di novantaseimila settecentoventotto euro, un’auto con un motore a tremila ottocentoventiquattro centimetri cubi di cilindrata, sei cilindri e in grado di compiere quattro mila seicento giri in un minuto.

Tuttavia i dati relativi al motore ad Axel non interessavano. Lui adorava quell’auto perché riteneva che il design di questa fosse l’unica cosa perfetta al mondo. Profili e linee precise, telaio aderente al terreno, sportiva, sedili confortevoli concentrazione dell’essenziale, equipaggiamento in pelle. Quell’auto, proprio come il dipinto di Monet, era in grado di cogliere l’essenza.

 

Accese il motore e partì. Non aveva nessuna meta, voleva solo fuggire ma ciò era impossibile. Controllò che ore fossero: sette e un quarto. Orario perfetto. Sarebbe andato da lei.

Si fermò davanti a un bar, scese dall’auto e entrò. Bevve un cappuccino scuro e si mangiò una brioche al cioccolato. Prima di pagare ordinò un caffé molto ristretto e una brioche vuota da portare via.

Risalì in macchina e ricominciò a guidare mentre la sua mente, senza alcuna censura, aveva dato l’avvio a un flusso incontrollabile di pensieri.      

 
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III

Post n°3 pubblicato il 04 Agosto 2006 da Larka4

III

 

Monica stava ancora dormendo. Si svegliò quando si accorse che qualcuno tentava di infilare delle chiavi nella porta del suo appartamento.

Si alzò dal letto e si recò ad aprire la porta, anticipando così Axel.

- Ehi…ciao – disse lei, sorridendogli e guardandolo con quegli occhi scuri illuminati.

- Ciao piccolina, ti ho portato la colazione!

Axel le diede un bacio sulla fronte e mise in tasca la copia di chiavi. Lei lo fece entrare e andarono entrambi a sedersi sul divano.

 

Monica e Axel si conoscevano da sempre. Il destino gli aveva uniti a causa della svolta che la vita delle loro madri aveva preso.

Charlot, prima di diventare un’alcolizzata, era una carissima amica della madre di Monica. Le due donne trascorrevano insieme una quantità di tempo così lunga da risultare indefinita. Facevano ogni cosa insieme, condividevano ogni emozione, intraprendevano qualsiasi attività che desideravano.

Si erano conosciute in un giardino durante un pomeriggio: Charlot, incinta del secondo figlio, stava cercando di far giocare Axel che aveva tre anni; Beatrice, la madre di Monica, tentava di far addormentare la figlia neonata. Le due donne sembravano non riuscir a raggiungere i loro obbiettivi materni. Sedute una accanto all’altra su una panchina, incominciarono a dialogare.

Da quel giorno sembrava che vivessero in simbiosi, eppure erano due donne completamente diverse nell’aspetto fisico. Ciò che le univa era il disprezzo per l’esistenza. Charlot era molto curata, elegante, esile, alta. Aveva due bellissimi occhi verdi (il più bel regalo che potesse fare a suo figlio) e capelli castani morbidi come la seta ma tanto ribelli da assumere movimenti ondulatori impossibili da regolare. Era debole caratterialmente. Mascherava tale debolezza criticando ogni forma che le si presentasse di fronte e ogni comportamento altrui. Si dimenticavano tutto, non riusciva ad assumersi nessuna responsabilità e il suo unico interesse era il puro divertimento. Lei amava ridere, vivere, giocare. Proprio durante i suoi giochi si accorse di essere incinta di Axel. Era molto giovane, economicamente precaria e non sapeva neanche dove fosse finito il padre di suo figlio.

La fortuna di Charlot fu l’incontro con un vecchio uomo milionario. Riuscì a sposarlo dopo pochi mesi dal loro primo incontro. Lui era divenuto padre non solo di Axel ma anche di Charlot. Sfortunatamente, la visione della bella famigliola non durò a lungo in quanto l’uomo se ne andò: si sa più si è avanti con l’età più la morte è alle porte. Nel testamento l’unico erede fu Axel, allora minorenne. Alla maggiore età, egli potè usufruire di tutto il denaro.

Charlot, pochi mesi dopo la morte del marito e dopo il più grande dolore che una madre potesse subire, cadde in una forte depressione e incominciò a bere. Incominciò a disprezzare la sua vita. Essa era un fallimento, non aveva più nulla cui attaccarsi. Non aveva lavoro in grado di intraprendere per più di tre mesi, non aveva marito, non aveva denaro da gestire in modo indipendente, non aveva neanche una vera amica o almeno credeva di avercela.

Beatrice, invece, era una donna apparentemente soddisfatta. Lei, reggeva il peso della sua vita in tutte le sue forme: lavoro, casa, famiglia…si vantava in continuazione delle sue riuscite imprese in tutti i settori. Sebbene dentro di sé fosse triste e la cogliessero in continuazione momenti di malinconia, davanti alle persone dimostrava di essere felice. Era una donna di media statura, un po’ carnosa, trascurata, capelli biondi ricci e occhi scuri. 

L’amicizia fra Beatrice e Charlot durò per tutta l’infanzia dei loro figli, forse non era realmente un rapporto profondo poiché nel momento del bisogno Beatrice abbandonò Charlot senza nessuno scrupolo. Beatrice cercava sempre una finalità o un motivo di esistenza nei rapporti che istaurava. In Charlot aveva trovato la possibilità di spendere soldi altrui per togliersi i suoi sfizi, aveva trovato la disponibilità di un autista senza stipendio. Quando morì il marito di Charlot, tutto questo venne a mancare e di conseguenza non esisteva più alcuna ragione di starle accanto.

Tuttavia i due bimbi trascorsero moltissimo tempo insieme. Il loro rapporto era particolare, sembrava caratterizzato da una sorta di telepatia. Riuscivano a comprendersi con il solo sguardo, riuscivano a prevedere il desiderio dell’altro senza dialogare. Talvolta tendevano ad isolarsi dagli altri bimbi per rimanere soli, magari in silenzio, senza giocare: lui dipingeva, lei sfogliava pagine di libri affascinata e ignara di ciò che ci fosse scritto.

Il rapporto tra Axel e Monica era al di là di ogni fratellanza, di ogni amicizia, di ogni amore. Erano  sempre lì, in qualsiasi coincidenza la loro vita presentasse. Allo stesso punto di partenza e di fine: inseparabili, silenziosi, appassionati.

Monica era la prima cosa che aveva senso nella vita di Axel.

Il loro rapporto non aveva alcuna finalità. Stavano insieme perché lo volevano e basta. Nulla è più meraviglioso del desiderio, di qualsiasi natura esso sia, e della sua realizzazione.

 

Ci sono coloro che pretendono tutto o danno tutto per ricevere qualcosa in cambio. Ci sono coloro che ti guardano negli occhi e senza alcun rispetto mentono spudoratamente. Ci sono coloro che, per paura, rimangono legati al passato senza comprendere come il futuro possa essere migliore anche solo per il semplice fatto che è ignoto a tutti.

Fortunatamente, però, ci sono anche coloro che riescono a donare tanto affetto solo perché lo desiderano.

 

Appena Axel si sedette sul divano, notò il libro appoggiato sul tavolo antistante: Al di là del bene e del male di Nietzsche. Lo prese delicatamente e contemporaneamente fissava Monica mentre faceva colazione. Lei era assorta nei suoi pensieri, tuttavia sentiva gli occhi di Axel. Le piaceva esser osservata da lui, solo da lui. Gli sguardi, infatti, provocavano in lei un senso di inquietudine. Le ricordavano i rimproveri della madre, la severità da cui era fuggita. Lo sguardo di Axel era puro amore, conforto, affetto, rispetto.

Axel aprì il libro e ad alta voce lesse la prima frase che trovò: “Ciò che si fa per amore è sempre al di là del bene  e del male”. Richiuse il libro e non commentò, quell’aforisma sembrava cogliere la loro essenza.

- Senti un po’, non è che tutto quel leggere ti dà alla testa?!

Monica sorrise e continuò a bere il suo caffé senza rispondere.

- Casa tua è già piccolina e i libri occupano molto posto. Arriverai un giorno che non saprai più dove metterli!

Effettivamente in casa di Monica c’erano solo libri disposti qui e là senza alcun ordine. Erano troppi, di vari autori, di vari generi. Lei, inoltre, ne incominciava minimo tre contemporaneamente e quando li terminava provava piacere nel lasciarli in disordine. Era come se essi le parlassero, come se la facessero sempre sentire in compagnia. Ne lasciava qualcuno sul tavolo, qualcuno sul divano, sul comodino, sugli scaffali, nella libreria, sulla lavatrice…dappertutto.

Monica sorrise nuovamente ma questa volta gli rispose:

- Leggere apre la mente, e poi non ti preoccupare per lo spazio. Quando non saprò più dove mettere i libri lì porterò da te…tanto tu hai così tante camere libere che potresti regalarmene una!!

Axel, senza riflettere, sorrise e le rispose:

- Scherzi?!? Guarda che io a te regalerei la villa intera!! Basta chiedere!!

   A che ora devi essere al lavoro? Ti accompagno volentieri…

- No, oggi non vado! Ti sei dimenticato che giorno è?!?

Axel impallidì. Si ricordò cosa accadde tre anni fa. Si ricordò come per la prima volta avesse sentito il vuoto totale, di come per la prima volta nulla al mondo potesse consolarlo e di come neanche la sua arte fosse stata in grado di procurargli rifugio. Aveva tentato di rimuovere quel giorno, di farsi una nuova vita. Non c’era riuscito. Vedeva sempre le stesse immagine ogni volta che fissava un punto nel vuoto, sognava sempre le stesse immagini e si svegliava spaventato. Nessuno psicologo era riuscito a fargli superare quel trauma. Era naturale: aveva visto suo fratello morire davanti i suoi occhi. L’avevano assassinato. Un colpo di pistola. Non era un errore.

- Lo so benissimo oggi che giorno è. Non c’era bisogno che tu me lo ricordassi!! E allora?!? Ricordo, ricordo e con questo cosa cambia?!? Nulla farà resuscitare Paolo, nulla punirà quell’assassino…non si può tornar indietro con il tempo! Dovresti fartene una ragione anche tu. Paolo non c’è più! E io sono stanco di vedere la sua immagine accanto a me ogni secondo, in ogni mio gesto. Voglio dimenticare e non ci riesco!- Axel non si accorse di come la sua espressione cambiò e di come il suo tono di voce si fosse trasformato in urla. Le sue parole furono accompagnate da un ininterrotto pianto.

Monica si alzò e andò ad abbracciarlo. Sembrava un bambino.

- Forse dovresti venire con me al cimitero. Lo so anch’io quanto è doloroso, so benissimo che certe cose non si superano mai! Però con il dolore puoi conviverci: devi alleviarlo. Accompagnami al cimitero! Starai meglio! Fidati!- gli disse dolcemente.

Seguì un lungo silenzio che fu interrotto dall’uscita del cane di Monica da sotto il tavolo.

 

Wolf era un trovatello. Forse non fu una coincidenza che quel cane fosse stato trovato il giorno del funerale di Paolo. Anzi per raccontarla correttamente era stato proprio il cane a scegliere Monica come padrone.

Wolf era un incrocio tra un Pastore Belga nero e un lupo, aveva un pelo semilungo grigio scuro e occhi di ghiaccio. Qualcuno l’aveva abbandonato nel parcheggio di un supermercato. Aveva qualche mese, forse due. Ogni passante tentasse di avvicinarsi a lui finiva per ritrovarsi un morso sul braccio. Non permetteva a nessuno di toccarlo e talvolta, a determinate persone, ringhiava senza che fosse provocato.

Il funerale di Paolo fu celebrato il 23 ottobre 2002. La cerimonia sembrava interminabile. Prima di tornare a casa, Monica dovette passare al supermercato per comprare qualche verdura per la convivente ammalata. Erano circa le sei del pomeriggio. Stava male, e non riusciva a vedere nulla davanti a sé poiché aveva gli occhi pieni di lacrime. Uscita dal supermercato, non si accorse di quel piccolo batuffolo che si muoveva dietro la sua ombra. Pensava a Paolo e ai momenti trascorsi con lui. Camminava lentamente e quel piccolo cane –lupo la seguiva con meticolosità e silenzio. Monica non si accorse neanche che il cane – lupo era riuscito a oltrepassare velocemente il portone del palazzo in cui abitava. Solamente davanti all’ascensore si accorse di lui. Non pronunciò una parola e come se fosse stato sempre suo, lo raccolse da terra e, tenendolo stretto fra le sue braccia, lo portò a casa. Da allora Wolf non si separò mai da Monica. La seguiva ovunque, obbediva solo ai suoi comandi, la consolava nei momenti di crisi, la difende di fronte ai pericoli, non si faceva accarezzare da nessun altro se non da lei.

 

Wolf andò a colpire con il muso il ginocchio di Monica. Voleva attenzione.

Monica baciò lievemente le labbra di Axel e lo accompagnò a sedersi sul divano.

- E tu cosa vuoi?!? Non lo conoscevi neanche Paolino!- quasi aspettasse una risposta, Monica, con gli occhi anche lei pieni di lacrime, si rivolse al suo bellissimo lupetto.

Accadde una cosa stranissima. Come se il dolore avesse penetrato il cuore di quel cane, Wolf si avvicinò ad Axel e alzò la mano di questi sulla sua testa: per la prima volta si fece accarezzare. Successivamente, si allontanò e andò ad aprire con la zampa un cassetto del comodino posto accanto al letto della camera da letto di Monica. Da esso prese con la bocca una maglietta estiva da uomo, color azzurro e la portò a Monica e Axel.

Quella maglietta: Monica la teneva con cura come un ricordo di Paolino. Nell’assurdità Wolf conosceva meglio di chiunque quel ragazzo che non aveva mai visto.

Monica e Axel si guardarono negli occhi perplessi.

 
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IV

Post n°4 pubblicato il 04 Agosto 2006 da Larka4

IV

 

Monica non era bella o almeno non lo era quanto tutte le altre ragazze.

All’apparenza sembrava una ragazza introversa. In realtà quella era la sua arma di difesa che fin da piccola le serviva per evitare le sofferenze, almeno quelle superflue. Levato quello scudo si poteva ammirare la sua vera natura. Era dolce, disponibile, estroversa con gli amici. Talvolta appariva scontrosa e ipercritica. Chi la conoscesse, era ben lungi nel credere le sue frasi erano opinioni o giudizi formulate per colpire il prossimo, esse delineavano perfettamente la verità nascosta dietro ogni cosa.

Era di esile e di media statura, teneva i capelli ricci biondi sempre sciolti. In lei affascinava il contrasto fra il biondo e i suoi occhi scurissimi.

 

Axel e Monica restarono ore al cimitero e ne uscirono verso le due, proprio quando la città sembrava abbandonata . Salirono in macchina di lui e l’unica parola che si potesse sentire era la mutezza del silenzio. Nessuno osava infrangere il ricordo di quel ragazzo, nessuno osava chiedere cosa provasse l’altro.

Axel guidava. Sembrava esser trasportato dal suo inconscio. Trascurava i semafori, le precedenze, schivava le altre auto con abilità. Accelerava. Cento chilometri orari in meno di quattro secondi. Velocità massima: duecento ottanta chilometri orari. Non aveva alcun controllo, l’auto viaggiava senza alcun autista. Monica era spaventata. Urlava.

- Fermati! Ci ammazzi!

Axel teneva il volante con entrambe le mani, non la ascoltava. Era quasi impossibile immaginare di poter essere ancora vivi.

 

Si fermò davanti a un parco. Scese dall’auto e incominciò ad urlare. Monica stette qualche minuto in macchina. Non comprendeva cosa fosse successo, il suo animo era pieno di paura. Non poteva credere che fossero ancora vivi e che non avessero causato nessun incidente.

Scese dall’auto e trasportata dall’istinto impugnò le mani e corse contro Axel. Gli diede pugni su pugni nell’addome, sulle braccia! Urlava:

- Che cazzo ti è preso? Sei impazzito? Se vuoi morire sei liberissimo di farlo da solo!

Axel piangeva. Si accovacciò per terra e poggiò il capo sul ventre di lei. Seppe solamente rispondere con voce lieve:

- Scusami…

Stettero seduti nel parco per qualche ora.

Silenzio. E ancora silenzio fin quando Monica si alzò. Abbracciò e baciò Axel.

- Torniamo a casa, stare qui non ci serve a nulla!

Se stai male posso guidare io!

- Come fai? Hai già dimenticato Paolo? Come puoi essere così crudele ed indifferente?

Monica cercò di nascondere il suo nervosismo. Quelle domande apparivano come accuse ingiuste.

- Io non ho dimenticato proprio nulla. Ti sei per caso scordato che era il mio ragazzo?

Io vado avanti, non posso rimanere legata ai ricordi dolorosi.

Lo sai meglio di me che i ricordi lasciano tracce indelebili nell’anima. Noi tentiamo di rimuoverli ma essi riemergono in ogni nostro gesto. Sono parte di noi. Dovresti fare come me, abbracciarli e cogliere senza alcuna esitazione quell’occasione che ci permette di rialzarci e guardare il futuro in una prospettiva migliore.

Tutto avviene per un motivo e anche se non riusciamo a comprendere quale esso sia dobbiamo accettarlo.

Malgrado non ci sia più, io amo tuttora tuo fratello e, dal giorno della sua morte, il mio cuore non ha alcuno spazio per qualcun altro.

Guardo avanti progettando il mio futuro nel lavoro, all’università. Cerco di superare sempre ciò che mi fa male! Sai è solo apparenza. La morte di Paolo ha lasciato in me…non so come dire…dopo Paolo non mi sento più in grado di amare.

Vorrei che nella mia vita piombasse un ragazzo. Vorrei alzarmi ogni giorno con la sua immagine impressa nei miei pensieri e con il cuore a mille. Vorrei domandarmi incessantemente cosa stesse facendo mentre io mi ritrovo impegnata nei miei gesti quotidiani. Ma tutto ciò è impossibile! Sembra che quella fase chiamata amore non possa più appartenermi poiché il mio cuore è diventato così gelido e si ostina a rinchiudersi in una stanza vuota dalle buie pareti. Una stanza con una sola porta e con migliaia di lucchetti. È inaccessibile a chiunque e anche a me stessa.

Axel ascoltò silenziosamente e con interesse le parole di Monica. Improvvisamente il suo viso cupo incominciò ad illuminarsi. Axel incominciò a ridere senza alcun controllo.

Monica lo fissava attonita e facendo finta di essere offesa gli diede scherzosamente un altro pugno sull’addome.

- Perché ridi?

Axel smise e sorridendo le rispose:

- Forse questa è la prima bugia, anzi l’unica, che ti sento dire da quando ti conosco!

- Io non mento mai e lo sai benissimo! E dimmi un po’ su che cosa avrei mentito?!?

- Beh…per incominciare sul fatto che il tuo cuore è chiuso a chiunque. Non è come affermi. Anzi, è chiuso solo a te che fatichi sempre ad ammettere ciò che provi.

E poi sul fatto che aspetti un ragazzo che piombi nella tua vita affinché tu possa dedicarli ogni cosa! Questo ragazzo esiste già nella tua vita. Nolente o volente sono io e tu lo sai benissimo!

Monica evitò il suo sguardo e cambiò discorso:

- Ma quanto sei presuntuoso! Vabbè…andiamo dammi quelle chiavi!

Ella, ridendo, allungò le braccia verso le mani di lui. Axel schivò le sue prese e alla fine disse:

- Ma sei pazza? Credi che io ti faccia guidare quello splendore d’auto? Ma sei fuori?! Con tutti i peli che fai alle altre auto? E comunque ora sei costretta a venire da me. Gli altri ci aspettano stasera e io ho voglia di farti un dipinto!

 

È inutile domandarsi quando una persona possa realmente ritenersi fortunata e felice. Probabilmente questo accade poiché il genere umano ha una natura così conflittuale e contraddittoria da rimanere sempre in uno stato di insoddisfazione.

Eppure in questa insoddisfazione si possono cogliere dei raggi luminosi che portano tanto piacere e riescono a strapparci un sorriso breve ma intenso.

Proprio in giornate come questa, dove il sole splende e il cielo sembra voler trasportare in lontananza le nuvole, diventa stupefacente alzare i propri occhi ed osservare con meraviglia quel caotico palcoscenico chiamato mondo.

Come una forza che pervade i nostri animi scopriamo che quel disordine non ci fermerà a nulla e che per sentirsi veramente felici e fortunati è sufficiente cogliere al volo l’emozione di ogni istante e rendersi conto che il più caotico mondo può apparire come il paradiso quando si ha qualcuno (leale e sincero) accanto

 
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V

Post n°5 pubblicato il 04 Agosto 2006 da Larka4

V

 

La villa di Axel era di tre piani e la sua ampiezza non era evidente poiché tutti quegli spazi che potessero creare inquietudine erano riempiti da qualche oggetto. In quell’illimitato spazio regnavano tre istanze: il disordine, l’arte e la malinconia.

Al pian terreno vi erano il salotto, un’ampia cucina abitabile, una camera per gli ospiti con un letto matrimoniale, una stanza buia per la pittura, un ripostiglio, un bagno piccolo e uno grande con doccia.

Nella camera degli ospiti Axel portava le sue amanti. Nessuno, tranne gli amici aveva accesso ai piani superiori.

Il secondo piano era costituito sempre da una camera dedita alla pittura. Vi erano, inoltre, la camera da letto di Axel, quella di Paolo e una biblioteca. Dalle camere si aveva accesso direttamente a dei servizi personali dotati di doccia e di una vasca con idromassaggio.

Al terzo piano c’erano la camera da letto di Charlot e del defunto patrigno di Axel, un servizio,  un’altra camera con un letto singolo, uno studio e una stanza in cui Axel era solito ad abbandonare i suoi dipinti.

 

Monica e Axel entrarono nella villa alle sei.

Monica sorrise maliziosamente e salì lentamente le scale a chiocciola recandosi così al piano superiore nella camera da letto di Axel.

Nella camera di Axel c’erano indumenti dispersi per terra, sulla sedia, sulla scrivania.

Il letto era a doppia piazza su di esso le lenzuola bianche erano aggrovigliate ai cuscini. Cuscini di diverse di diverse dimensioni: due piccoli, due medi, quattro grandi. Axel adorava i cuscini grandi: erano comodi e talvolta sembrava che li facessero compagnia. Essi occupavano lo spazio libero che, durante la notte, c’era nel suo letto.

Nessuna ragazza, nessuna donna si era mai infilata in quelle lenzuola. Nessuna aveva fatto compagnia ad Axel e a lui la solitudine non terrorizzava. L’unica che poteva emancipare quei momenti di solitudine era Monica. Per il resto del tempo ci furono sempre i cuscini.

Di conseguenza Monica era anche l’unica ragazza che venisse dipinta in quel luogo. Tutte, senza alcuna eccezione, venivano accomodate sul divano nella camera degli ospiti al piano inferiore.

 

Non comprendo per quale ragione la solitudine venga considerata come un male!

Lo spirito ha bisogno di essa (basta che non diventi condizione di vita!) per ritrovarsi  con sé, per liberarsi, per crescere affinché nulla possa danneggiarlo.

La solitudine non è altro che il riflesso indisturbato della nostra anima nello specchio. Solo quando la nostra anima è così spaventosa la solitudine ci appare anch’essa spaventosa.

 

Axel, dopo essersi levato la giacca, preparò la tavolozza dei colori e la sua tela. Monica si levò il suo lungo cappotto nero e lo appoggiò sulla sedia accanto alla finestra.

Si avvicinò al letto e, mentre fissava Axel, incominciò a sbottonarsi la sua camicia beige. Si sfilò la lunga gonna nera e la lasciò cadere per terra. Si levò la camicia: sotto non indossava nulla.

Axel le si avvicinò, le sfiorò delicatamente il viso e incominciò ad accarezzarla dolcemente per tutto il corpo. Le sue mani scesero lentamente fino ai fianchi. Con le dita tenne ai lati il suo perizoma nero e lentamente glielo tolse.

Axel si allontanò e ritornò ai suoi colori ad olio e alla sua tela.

Monica si sdraiò sul letto fra le lenzuola bianche. Distese le braccia ciascuna in senso opposto all’altra. Appoggiò una gamba sull’altra sul lato destro. Poggiò il viso sulla spalla destra e chiuse le palpebre dei suoi scurissimi occhi.

 

Axel dipinse per mezz’ora. Il dipinto era già terminato.

Era incredibile come Monica fosse l’unica immagine che dipingesse con velocità, spontaneità e volontà.

La figura di Monica era esile e veniva rappresentata con assoluta precisione. Lo sfondo era costituito da un reciproco accostamento di colori freddi e colori caldi. Fra le varie tonalità nessuna aveva il sopravvento. Tutti i colori erano in perfetta armonia.

L’armonia di quel dipinto travalicava qualsiasi errore potesse esserci in esso.

 

Monica sembrava essersi addormentata.

Axel si avvicinò e con la mano sinistra incominciò a percorrere la via che va salendo dal piede alle cosce.

Monica aprì gli occhi. Sorrise. Si sedette e lo baciò intensamente. Gli accarezzò i capelli e gli tolse la felpa. Distendendosi sul letto lo portò a sé e accarezzandolo in mezzo alle gambe allungò le mani e gli sbottonò i jeans.

Lui avvicinò le sue labbra all’orecchio sinistro di lei e le sussurrò amorevolmente:

- Ti amo. -  Lei non rispose.

Ci volle veramente pochissimo per ritrovare entrambi nudi.

 
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Post N° 6

Post n°6 pubblicato il 05 Agosto 2006 da Larka4

A VOI CHE ENTRATE CHIEDO CORTESEMENTE DI LASCIARE UN VOSTRO COMMENTO CON IL VOSTRO PARERE

 
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VI

Post n°7 pubblicato il 07 Agosto 2006 da Larka4

VI

 

Quando Axel si addormentò, Monica tentò di slegarsi con delicatezza dal suo abbraccio.

Silenziosamente si alzò dal letto e raccolse i suoi indumenti. Si vestì rapidamente e andò ad osservare il dipinto.

Le compiacevano molto tutti quei colori dalle variegate tonalità. Osservava la sua immagine ritratta e tuttavia non si riconosceva in essa. Quella figura risultava essere troppo perfetta. Ella era convinta che l’arte fosse quella meravigliosa espressività in grado di creare personaggi privi di difetti, personaggi in cui appariva solo il lato piacevole: non aveva compreso che quell’immagine era il puro riflesso di come Axel la vedesse attraverso i suoi occhi verdi.

 

Monica cercò il cellulare nella sua borsa per vedere l’ora. Erano le otto e trenta: fra meno di mezz’ora avrebbero dovuto incontrare gli altri. Non le importava di cosa avrebbero pensato. Voleva solo trovare il modo di evitare qualsiasi discussione con Axel.

Si avvicinò alla scrivania, cercò carta e penna. Prese un foglietto bianco, e, impugnando la penna nera, lasciò che su di esso la sua mano desse contenuto alla sua scrittura quasi illeggibile:

<Solo i veri legami durano in eterno.>

Appese il foglietto con un pezzo di adesivo all’angolo superiore sinistro del dipinto.

Riprese la sua borsa e se ne andò.

Per giorni nessuno sarebbe stato in grado di rintracciarla. Lei voleva fuggire: ci era riuscita!

 

In alcuni momenti si ha bisogno di staccare la spina da tutto e da tutti. Nella maggior parte dei casi è la paura che conduce a tale necessità.

La paura di prendere una decisione, la paura di conoscere i propri sentimenti e le proprie emozioni, la paura di poter concretizzare i propri desideri, la paura di non poter essere all’altezza delle richieste altrui.

La fuga da ciò che ci circonda non è un male poiché, o per scelta o per costrizione, essa non è mai duratura. È la fuga da noi stessi che ci conduce all’autodistruzione.

 

Axel si svegliò quando il telefono incominciò a squillare ripetutamente. Si rivoltò nel letto fra le lenzuola, distese il braccio sinistro verso il comodino e alzò la cornetta:

- Pronto

- Ehi! Ma dove siete finiti? Che palle…siete sempre in ritardo.

Non era mica stata vostra l’idea di passare una nottata diversa in montagna?!? Non era mica stata vostra l’idea di guidare tutta la sera per trascorrere la notte in mezzo alle vipere?!!?

Porca puttana avete pure fatto piangere Cassandra…lo sai quanto quella scema soffra quando si parli di rettili?

E ora?!? Eh…ora abbiamo tutti portato il necessario e mancate solo voi! Bravi…siete dei fottutissimi stronzi!-

Davide urlava e Axel, ancora sonnolente, non aveva compreso una parola di quel monologo.

All’improvviso, colto da un passeggero malumore, Axel rispose bruscamente:

- Cazzo, ma che ore sono? Non sarà la fine del mondo! Cosa urli!?! -

Mentre parlava accese la lampada accanto al telefono e poi distese il braccio destro verso l’altra metà del letto. Era vuoto. Lei se ne era andata. Un’altra volta.

- Sono le dieci e un quarto, dovevamo partire alle nove e mezza. Ricordi? Mi spieghi che diavolo state combinando? –

Axel non sentì l’ultima frase poiché istintivamente aveva messo giù.

 
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Post N° 8

Post n°8 pubblicato il 14 Aprile 2007 da Larka4
 

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