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Post n°337 pubblicato il 27 Novembre 2020 da pasquale.zolla
Il pibe de oro Diego Armando Maradona è stato perfetto per Napoli. Era un argentino-napoletano, sembrava costruito per far innamorare questo popolo. È stato il riscatto del Sud perché una sua squadra non aveva mai vinto uno scudetto, non aveva mai vinto una Coppa Uefa, non era mai stata al centro dell'attenzione mondiale. Correva a giocare in un campo di patate ad Acerra per aiutare un ragazzino (1985) che aveva bisogno di un'operazione per salvarsi la vita a raccogliere soldi. Il presidente Ferlaino , non acconsentì alla sua richiesta e Maradona pagò una clausola di 12 milioni di lire per giocare in un campo di patate, fangoso, dicendo: "Si fottessero i Lloyd di Londra, io gioco lo stesso". Il doping, il vizio in cui lui cadde, non gli servì a migliorare le prestazioni, anzi la coca fu un tormento e una dannazione. Diventò per i napoletani un dio, un dio perché vinceva contro le squadre che impedivano sempre la vittoria. Maradona era il calcio e trascendeva il calcio, come tutto ciò che diventa simbolo; schiacciato completamente da una vita in cui era assediato. La Camorra ne comprese le debolezze, gli fornì il veleno, la coca, le escort, lo tenne sotto estorsione. In lui però c'era qualcosa che lo salvava sempre: la voglia di giocare a calcio, un corpo incomprensibilmente unico, che nonostante i vizi, il poco allenamento, quando entrava in campo non cadeva mai, non si fermava mai. Fu anche un uomo solo, il più solo del mondo, solo con quel talento che sempre lo salvava e sempre lo faceva riconciliare con la sua gente. Maradona non poteva che essere grande a Napoli proprio perché aveva quello spirito di riscatto e di slancio, di melodramma, che lo faceva riconoscere figlio di quella terra. Rispettò sempre il gioco del calcio e gli avversari. Giocava sempre, non cercava l'infortunio, non cercava di fuggire dalla partita, non cercava lo scontro. Veloce ed estroso, riusciva a tenere la palla incollata al piede tenendo lo sguardo alto, cosa che lo rendeva elegantissimo. Quando arrivò allo stadio per la prima volta, il San Paolo era pieno, come se ci fosse stata una finale. Non accadrà mai più a nessun giocatore, in nessun'altra parte d'Europa una cosa del genere. Un intero stadio pieno. Diego Armando Maradona è stato un uomo che non ha messo mai il suo talento al servizio di qualcosa. L'uomo si è venduto, il suo talento mai. Ed è il suo talento che aveva donato a Napoli. Poteva andare ovunque e invece è stato nella città che lo ha reso Dio e lo ha difeso. Una palla in mezzo al campo, due porte, l'intelligenza, il talento, la lealtà, la bravura. Tutto quello che era fuori dal campo lo potevi ottenere grazie a mediazione, con compromessi, ma in campo no. In campo le regole di fuori non valevano, altrove avevi bisogno d'aiuto, ma in campo no: in campo con le sue forze poteva farcela. Addio Diego e grazie per i momenti felici fatti passare non solo ai napoletani, ma all’intero Sud. Maradòne: u talinde kavecisteke chù granne d’u munne U talinde kavecisteke chjù granne d’u munne kustudute éje nda nu luke preffètte: u kurje tuje, Dighe Armanne Maradòne. U depòsete d’u trasòre, kuillu kufanètte d’òssere muskule è tènnene ka nghjude frubizje assaje kavecisteke, éje nzè stisse ‘na maravighje. Kuille ka haje fatte k’u pallòne nen l’have fatte maje nesciune è maje nesciune u faciarrà chjù. Fatte haje kòse ‘ccezjunale, tutte kuille ka ce stéve da fà l’haje fatte tu. Fatte haje d’a mberfezjòne ‘a perfezjòne. Pecceninne, gòmbje, didete a nascete d’u sòle strakkue, ndulènde è sbaghjate, vitteme de faveze kumbagne è d’a vulundà de jì òdelà d’ògnè rèvele, kagnate haje nu pallòne assaje sèmblece de kuje nda nu skrigne de bellizze. Kuanne kurrive k’a palle ò’ pite ò skartave i defenzure, parive tenè u pallòne ngullate è pite. Pulezzate haje u kavece da ògnè male è abbellute l’haje k’ògnè béne, pekkè dind’a tè kujengedèvene u jènje è ‘a tèkneke. È kumbagne tuje de skuatre nenn’haje maje fatte pesà ‘a suprjetà tuje. Nenn’haje maje addummannate de te passà ‘a palle ka ci’avarisse penzate tu. Nen uardave a tè stisse pekkè ire jeneruse è penzave a’ skuatre. Éje state addavaramènde bèlle te vedè jukà. Kréde ka n’avete kum’a tè deffecelmènde arreturnarrà a kalpestà i kambe de kavece ke nd’a stu sèkule.
Maradona: il talento calcistico più grande del mondo Il talento calcistico più grande del mondo è custodito in un luogo perfetto: il tuo corpo, Diego Armando Maradona. Il deposito del tesoro, quel cofanetto di ossa muscoli e tendini che racchiude innumerevoli malizie calcistiche, è in se stesso una meraviglia. Quello che hai fatto col pallone non l’ha fatto mai nessuno e non lo farà mai nessuno. Hai fatto cose straordinarie, tutto quello che c’era da fare l’hai fatto tu. Hai fatto dell’imperfezione la perfezione. Piccolo, gonfio, dedito ad albe stanche, svogliate e sbagliate, vittima di falsi amici e della volontà di andare oltre ogni regola, hai trasformato un pallone semplicissimo di cuoio in uno scrigno di bellezza. Quando correvi palla al piede o dribblavi i difensori, sembravi avere la palla incollata al piede. Hai ripulito il calcio da ogni male e lo hai abbellito con ogni bene, perché in te coincidevano il genio e la tecnica. Ai tuoi compagni di squadra non hai mai fatto pesare la tua superiorità. Non hai mai chiesto di passarti la palla che ci avresti pensato tu. Non guardavi a te stesso perché eri generoso e pensavi alla squadra. È stato veramente bello vederti giocare. Credo che un altro come te difficilmente tornerà a calcare i campi di calcio in questo secolo.
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