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Messaggi di Aprile 2014

1 Maggio: Commemorazione del lavoro che non c'è

Post n°103 pubblicato il 30 Aprile 2014 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

1 Maggio: Festa del lavoro o della memoria del lavoro?

Il Primo Maggio è un giorno di festa e lotta per rivendicare i diritti dei lavoratori. Nacque nel 1886 negli Stati Uniti ad opera del presidente Cleveland per commemorare la repressione nel sangue di una manifestazione di operai che chiedevano maggiori diritti.

Altri protendono che l’origine della Festa risale ad una manifestazione organizzata, sempre negli USA, dai Cavalieri del Lavoro a New York il il 5 settembre 1882, che in seguito venne tramutata in una manifestazione a cadenza annuale nel giorno del Primo Maggio, grazie anche alle organizzazioni sindacali che suggerirono tale giorno.

In Europa la festività fu introdotta per la prima volta nel 1889 a Parigi, durante il congresso della Seconda Internazionale.

In Italia la Festa venne soppressa durante il ventennio fascista in cui si preferì festeggiare il 21 di aprile, coincidente con il Natale di Roma.

Nel 1947 la ricorrenza venne funestata dalla banda di Salvatore Giuliano che a Portella della Ginestra (Pa) sparò sul corteo uccidendone undici lavoratori e ferendone circa cinquanta.

Oggi più che Festa del Lavoro o dei Lavoratori possiamo dire di festeggiare la memoria del lavoro e dei disoccupati, grazie anche ai tanti ministri del lavoro che con le loro trovate hanno fatto si che il giorno dedicato alla festa dei lavoratori rappresenti una enorme disparità con i 365 giorni sacrificati alla disoccupazione.

Augurandoci che da questo Primo Maggio 2014 le cose possano cambiare in meglio. Oggi, però, ci tocca festeggiare IL GIORNO DELLA MEMORIA DEL LAVORO!


1Magge: jurnate d’a mammòrje d’a fatike

Ȯgge festjà ‘a fatike ‘n’Italje

éje kume festjà u kumbbljanne

d’a pròbbete fegghjòle ‘mmaggenarje

viste k’a sukkupazzjòne ‘a face

da patróne, pekkuje u prime

de Magge sarrà ‘n’ata jurnate

a’ mammòrje addedekate.

Se celebbrarrà ‘a fatike ka

nubbeletave  l’ummene è nenn’i

stutave nd’a ndeffrènze de jurne

ngunzestènde sèmbbe ùuàle; kuèlla

fatike ka nu dritte éve (è ghéje!)

è prjèzze déve (è ddace!) pekkè

pe l’ummene nge stace pane cchjù

saprite de kuille ka se prukurèjene

k’a pròbbete fatike, pure si éje

de póke kunde pekkè òggnè fatike

‘na mane dace a megghjurà ‘a sucetà.

1 Maggio: giornata della memoria del lavoro

Oggi in Italia festeggiare il lavoro

è come festeggiare il compleanno

della propria ragazza immaginaria

visto che la disoccupazione la fa

da padrona, per cui il primo

Maggio sarà un’altra giornata

dedicata alla memoria.

Si celebrerà il lavoro che

nobilitava gli uomini e non li

spegneva nel torpore di giorni

noiosi sempre uguali; quel

lavoro che un diritto era (ed è!)

e gioia dava (e dà!) perché

per gli uomini non c’è pane più

saporito di quello che si procurano

con il proprio lavoro, anche se è

molto umile perché ogni lavoro

contribuisce al benessere della società.

 
 
 

Post N° 102

Post n°102 pubblicato il 27 Aprile 2014 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II Santi per la Chiesa

Ma per Dio e gli uomini lo erano fin dal giorno della loro dipartita

Domenica, 27 aprile 2014, giorno della divina Misericordia, Angelo Giuseppe Roncalli e Karol Wojtyla sono stati innalazati agli onori degli altari da Papa Francesco.

La data scelta per la loro Canonizzazione non è avvenuta a caso perché Papa Wojtyla (Giovanni Paolo II) è morto proprio alla vigilia di detta festa che, tra l’altro, era stata istituita da lui stesso.

Era stato beatificato da Benedetto XVI il primo maggio 2011 senza attendere i cinque anni dalla morte, normalmente richiesti dalla Chiesa.

Papa Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli), il Papa del Concilio Vaticano II, è stato beatificato il 3 settembre 2000 proprio da Giovanni Paolo II e, tra l’altro, per essere proclamato santo, dopo la beatificazione, avrebbe dovuto compiere un secondo miracolo, ma Papa Francesco lo ha elevato Santo con la formula del “pro grazia!”

Due Papi che si sono posti al servizio della Chiesa e della pace promuovendo con autenticità la dignità dell’uomo.

Entrambi, oggi divenuti Santi, hanno goduto di una sorta di privilegio: la dispensa dei cinque anni per Wojtyla e la “pro grazia” per Roncalli che, per divenire Santo, avrebbero dovuto accertarsi di un secondo miracolo.

Questo è avvenuto onde fare un’unica cerimonia per la loro Canonizzazione.

Il primo miracolo di Papa Wojtyla venne riconosciuto da Papa Ratzinger che lo proclamò beato nel 2011: riguardava la guarigione dal morbo di Parkinson di suor Marie Simon Pierre Normand; il secondo ha avuto come protagonista una donna del Costarica, colpita da una grave lesione cerebrale, avvenuto nel 2011.

Tra l’altro la donna era presente in Piazza San Pietro e ha portato il calice contenente il sangue di Papa Giovanni Paolo II.

A Papa Giovanni XXIII è stato riconosciuto un solo miracolo che risale al 1966 e riguarda una religiosa ricoverata a Napoli per la perforazione dello stomaco dovuta ad un’ulcera gastrica: Suor Caterina Capitani. Non essendo stato riconosciuto un secondo miracolo, pur essendoci una ventina di casi di guarigioni dovute alla sua intercessione, si è optato, come già detto, per la santificazione pro grazia.

È stata una festa di grande gioia per i cattolici di ogni parte del mondo perché il primo (Papa Roncalli) ha messo in moto il processo di aggiornamento della Chiesa e il secondo (Papa Wojtyla) ha esercitato la sua influenza non solo come instancabile evangelizzatore, ma anche sulla scena mondiale giocando un ruolo decisivo nella caduta del comunismo.

Entrambi, comunque, fin dalla loro dipartita, sono stati ritenuti Santi dalla gente comune non per eventuali miracoli ma per come si erano posti tra la gente e con la gente vivendo intensamente quel Vangelo della buona novella che ci ha fatto conoscere della venuta di Gesù tra noi per liberarci dai mali di questo mondo!


27 abbrile: duje Pape Sande

Ki kréde dind’a Ddìje, nda tutt’i luke

véde siggne d’a ‘Mmóre Suje è dd’a

Meserekòrdje Suje. Ki nge kréde,

véde nd’i ssckefèzze d’u munn’a pròue

ka Ddìje ne nge stace. Ȯggnèttande,

kuanne i kòse ne nvanne akkume

vularrìje, me kapetéje de kréde

dind’a nu Ddìje tuttekuande mìje

ka ce l’ave perzunalmènde kemmè,

ma Pape Rungalle è Ppape Vùjetile

me sònne sèmbbe pjaciute pekkè

èvene bbune, sembbateke ma tuste

ò’ stèsse timbb’è ssòpattutte p’a ggènde

èrene d’ammóre chjìne. Lóre hanne

ngarnate u Vangéle d’a bbóna nùuèlle.

Ȯgge nenn’éje ‘a Cchjìse ka l’ave

fatte Sande, ma Ddìj pekkè rrumanè

ce putèssere ghèsse de sèmbbje de vite

a kkuje ce putè ‘sperà. Sande Ggiùuànne

XXIII è Ggiùuànne Pavele sekònne

a ‘llate a nuje sèmbbe arrumanite

pe ce kunnuce ke ‘m’mane sóp’a strate

d’a ‘Mmóre è dd’a Meserekòrdje de Ddìje.

 

27 aprile: due Papi Santi

Chi crede in Dio, ovunque

vede segni del Suo Amore e della

Sua Misericordia. Chi non crede,

scorge nelle brutture del mondo la prova

che Dio non esiste. Ogni tanto,

quando le cose non vanno come

vorrei, mi capita di credere

in un Dio personale

che ce l’abbia personalmente con me,

ma Papa Roncalli e Papa Wojtyla

mi sono sempre piaciuti perché

erano buoni, simpatici ma austeri

allo stesso tempo e soprattutto per la gente

erano prodighi d’amore. Loro hanno

incarnato il Vangelo della buona novella.

Oggi non è la Chiesa che li ha

 fatto Santi, ma Dio perché restare

ci potessero essere di esempio di vita

a cui poterci ispirare. Santi Giovanni

XXIII e Giovanni Paolo II

restate sempre al nostro fianco

per condurci con mano sulla strada

dell’Amore e della Misericordia di Dio.

 


 

 

 
 
 

Onoriamo i caduti nel giorno dell'Anniversario della Liberazione dell'Italia

Post n°101 pubblicato il 24 Aprile 2014 da pasquale.zolla

25 Aprile: Anniversario della liberazione d’Italia

La festa della Liberazione viene festeggiata in Italia il 25 aprile di ogni anno.

È un giorno simbolo del termine della seconda guerra mondiale e dell’occupazione dell’Italia da parte della Germania nazista, nonché del ventennio fascista.

Il movimento della Resistenza fu caratterizzato dall’impegno unitario di uomini, donne, soldati, sacerdoti, operai, lavoratori, contadini, socialisti, cattolici, comunisti, cioè da gente di diverse idee politiche, di fede religiosa e classi sociali che si impegnarono in prima persona, rischiando la propria vita, per porre fine al regime fascista e fondare una democrazia basata sul rispetto dei diritti umani e della libertà individuale, senza distinzione di razza, di idee, di sesso e di religione.

La data del 25 aprile venne assunta come giornata simbolo delle celebrazioni, che ogni anno avvengono in tutte le città d’Italia, in quanto le città di Torino e Milano in detto giorno del 1945 furono le ultime ad essere liberate.

Oggi, purtroppo, il sangue di tanti giovani martiri viene calpestato da gente secessionista che vorrebbe ritornare ai tempi delle dittature quando erano pochi a fare il bello e il cattivo tempo.

Riusciranno gli italiani a farsi abbindolare dai tanti falsi profeti che promettono benessere lontani da Roma ladrona?

È un dubbio amletico che va sciolto solo con l’impegno ad avere gli occhi aperti, anche perché questi falsi profeti siedono sulle panche di Enti e dello stesso Parlamento italiano a grattarsi la pancia e a fare i propri comodi, per poi turlupinarci in tv con slogan dei “ladri” politici in quel di Roma!

Gridiamo in coro, come i nostri giovani che hanno sacrificato la loro vita per Unire e non dividere l’Italia: “ITALIA: VOGLIO VIVERE SOTTO LA TUA BANDIERA!”

 

 

Lebbertà: kuande sì kustate

Sciòssce u vinde d’a mòrte sóp’è tòmbbe

d’i tanda uagghjunastre ka kandanne:

«Lebberame l’Italje, kambbà vulime

d’a bbannira Tuje arravugghjate!»,

se sònne mbbeggnate, perdènn’a vite,

pe funnà ‘na demukrazzìje bbasate

sóp’ò respitte d’i dritte umane

è dd’a lebbertà de ggnune. A llóre

murì ne mbburtave, pekkè nge stéve

(è nne nge stace!) nu bbéne cchjùmmègghje

d’a lebbertà p’a kuale avvaléve

‘a péne de saggrefekarze. Gògge, 25

d’abbrile, d’ò kambbesande dind’a ndò

arrepusèjene kuilli uagghjunastre

s’agavezéje kuillu kavete vinde

de lebbertà, mminze kum’ò nzine

de palòmme ka pe l’arje se ne vanne,

dind’a fjure d’akkue de lune. Mò tòkke

a nnuje fa ssì ka nd’a jummarèlle

d’i rekurde chjéne de lagreme è ffatike

nz’assekkenéje kuillu fjóre ka se

ngurgedaje de sanghe è dd’akkuarèlle

nda nu abbrile bbèll’assaje kuanne

u munne u fjate andrattenìje

a ‘nnand’ò vinde d’a lebbertà purtate

d’è figghje d’a Resestènzze. I vuce

lóre ògge arretòrnene a kkandà

kum’a kkuanne ‘a vite s’arrapéve

sóp’è vòkke lóre ke rerute è ucchje

seréne de krjature nzin’è mamme!

Libertà: quanto sei costata

Soffia il vento della morte sulle tombe

dei tanti giovani che cantando:

«Liberiamo l’Italia, vogliamo vivere

avvolti dalla Tua bandiera!»,

si sono impegnati, perdendo la vita,

per fondare una democrazia basata

sul rispetto dei diritti umani

e della libertà individuale. A loro

non importava morire, perché non c’era

(e non c’è!) un bene migliore

della libertà per la quale valeva

la pena di sacrificarsi. Oggi, 25

aprile, dal cimitero ove

riposano quei giovani

si alza quel caldo vento

di libertà, immenso come grembi

di colombe in volo,

fra fiori di acqua di luna. Ora tocca

a noi  far sì che nel fiume

dei ricordi colmo di lacrime e fatica

non dissecchi quel fiore che si

nutrì di sangue e di rugiada

in uno stupendo aprile quando

il mondo trattenne il respiro

davanti al vento di libertà portato

dai figli della Resistenza. Le voci

loro tornano a cantare

come quando la vita si apriva

sulle loro bocche con sorrisi e occhi

sereni di fanciulli in grembo alle mamme!


 

 

 

 

 

 
 
 

La Pasqua del Signore sia la Pasqua dell'Italia e degli Italiani

Post n°100 pubblicato il 19 Aprile 2014 da pasquale.zolla

Pasqua: Il trionfo della vita

La Pasqua è la festa più importante della cristianità e racchiude tutto il mistero e il fascino pasquale dalla croce alla vita.

La settimana santa ci fa ripercorrere le ultime tappe della vita di Gesù sulla terra: l’istituzione dell’Eucarestia nel giorno del giovedì santo; la Via Crucis con la processione e la morte del Figlio di Dio nel giorno del venerdì santo e il ritorno alla vita, la Resurrezione, nel giorno della domenica di Pasqua.

Gesù si immola per liberare gli uomini dal peccato originale, per riscattarli e salvarli, mentre con la Resurrezione ci mostra il risveglio nella vera vita alla fine del nostro tempo, quando ognuno di noi affiderà nelle mani del Padre la propria anima.

La parola Pasqua significa passaggio (aramaico: Pasha); un passaggio che da sempre ha accompagnato il progresso e la vita dell’intera umanità nel corso della sua esistenza terrena e si è vestita di diversi simboli e significati.

Nei culti pagani, ad esempio, e nelle tradizioni popolari e dei contadini il passaggio era riferito alla natura: dall’inverno alla primavera con, in alcuni casi, l’accensione di falò nei campi per indicare il passaggio dal buio alla luce; per gli ebrei, invece, è il passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla liberazione grazie alla nuova alleanza tra Dio e il suo popolo prediletto, mentre per i cristiani, come già detto, è il passaggio dalla morte di croce alla vita eterna.

Anche i simboli pasquali sono intrisi di detti significati!

La luce è quella portata non solo dal Salvatore, ma anche dalla nuova stagione; l’agnello rappresenta il Cristo morto in croce che vince la morte; le uova, la rinascita di tutte le cose create perché associate al grande mistero della vita.

Secondo antiche culture la stessa nascita dell’universo sarebbe legata al concetto di uovo cosmico. A tal proposito si legga la leggenda di Ofione che viene avvolta, mentre danza, da un serpente che la mette incinta e partorisce un grande uovo che darà inizio al mondo!

Lo stesso scambio delle uova ha avuto origine fin dai tempi dell’antico Egitto, in Persia, in Cina e nella Grecia dei grandi filosofi in occasione dell’equinozio di primavera perché aveva il gesto simbolico della fecondità e della generazione.

Durante il Medioevo, in occasione della Pasqua, i nobili le regalavano ai loro servi in segno di riconoscenza.

Anche la colomba, consumata ai giorni nostri come dolce alla fine del pranzo pasquale, è simbolo di pace e di salvezza.

La Bibbia ce la presenta con un ramoscello di ulivo nel becco per rappresentarci lo Spirito Santo che si riconcilia con l’uomo, mentre nel periodo pasquale rappresenta il sacrificio del Cristo che ha come esito finale la riconciliazione fra Dio e l’uomo.

Al di là di tutto, comunque, la nostra Pasqua sia la gioia di credere e testimoniare la nostra fede in Gesù che è venuto ad abitare in mezzo a noi e che ci ha amato sino alla morte di croce.

Pertanto facciamo della nostra vita il centro propulsore capace di amare, di incontrare il mondo e la vita con rispetto e amore, per amare tutti e tutto.

Buona Pasqua a tutti!


 

Paskuele:   d’a kròce a’ renasscete 
Da ‘na fólle festande akkugghjute,
da luvére rrè Gesù attrasìje
a Jerusalèmme: glurefekate
è bbeneditte nda òggnè passe suje
è pparóle. Ma dind’u kóre suje
ggià akkanusscéve u vulére
d’u Patre: è ppròbbete a llà Ghisse
destemunjaje k’a vit’a sscèlta suje.
‘Na sscèlte ka dòppe póke jurne
u kunnucìje a ghèsse rennegate
d’è stèsse desscipule suje, a ghèsse
processate sènza kólp’è sevezzjate
ke ‘na vjulènze ka ùuàle nn’hav’avute.
È ttutte succiudìje sótt’a l’ucchje
d’a Mamma suje. Nu celizzje ka Ghisse
kanusscéve, k’have cerkate d’allundanà
nd’a l’urte d’i vulive: «Patre, si vuje
da mè allundane stu kalece…»
ma ka dòppe agave accettate,
respettanne è avvrazzann’a kròce
ka u Patre éve misse sóp’a strata suje:
«Tuttavìje ne nzìje fatte u mìje,
ma u vulére tuje!» Ggesù
kanusscéve kuille ka i spettave:
ma sscegghjìje kuèlla kròce, sscegghjìje
d’amarle. ‘A veretà éje ka kuèlle
nenn’ére ‘a fine è kkuèlla sscèlte
d’avvrazzà ‘a kròce suj’u rennìje
libbere. Libbere d’accettà kuilli
nzulte, libbere de fjatà ‘a fatighe
dòppe òggnè skrujatate, libbere
d’amà òggnè singul’òme ka u éve
kunnannate a kuèlla fine. Pe ppò
akkugghjìrl’a vrazze apèrte ‘na vóte
a’ vite turnate. Nzeguime ke kuragge
stu sèmbje, nd’u sscègghje pe libbere
cce sendì; putime a ‘kkussì kunne ce rènne
d’i suffrènze ka u Seggnòre ci’addummanne
de ‘ccettà è dde purtà ke prjèzze; tennime
‘na mane ò’ tatucce ka male stace,
sustenime k’i grazzjune i krestjane
k’avvecine ce stanne è i ffedame
a Mmarìje ka prùuàje, ke celizzje
de mamme, avvecin’ò figghje stà
pure nd’I mumènne defficel’assaje
Ka u Seggnòre a’ vite turnate éve
‘a grazzje ce arrjaléje de sendì
dinde de nuj’a vite nda Ghisse turnate.

Pasqua: dalla croce alla resurrezione

Accolto da una folla festante,

Gesù entrò da vero re

a Gerusalemme: osannato

e benedetto in ogni suo passo

e parola. Eppure nel suo cuore

già conosceva la volontà

del Padre: e proprio lì Lui

testimoniò con la vita la sua scelta.

Una scelta che dopo pochi giorni

lo condusse ad essere rinnegato

dai suoi stessi discepoli, ad essere

processato senza colpa e seviziato

con una violenza che non ha avuto eguali.

E tutto avvenne sotto gli occhi

di sua Madre. Un dolore che Lu

conosceva, che ha cercato di allontanare

nell’orto degli ulivi: «Padre, se vuoi

allontana da me questo calice …»

ma che poi ha accettato,

rispettando e abbracciando la croce

che il Padre aveva posto sulla sua strada:

«Tuttavia non sia fatta la mia,

ma la tua volontà!» Gesù

conosceva ciò che l’aspettava:

ma scelse quella croce, scelse

di amarla. La verità è che quella

non era la fine e quella scelta

di abbracciare la sua croce lo rese

libero. Libero di accettare quegli

insulti, libero di respirare la fatica

dopo ogni frustata, libero

di amare ogni singolo uomo che l’aveva

condannato a quella fine. Per poi

accoglierlo a braccia aperte una volta

risorto. Seguiamo con coraggio

questo esempio, nello scegliere per liberi

sentirci; possiamo così renderci conto

delle sofferenze che il Signore ci chiede

di accettare e portare con gioia; tendiamo

una mano al fratello che soffre,

sosteniamo con la preghiera le persone

che ci sono vicine e affidiamole

a Maria che provò, con dolore

di madre, a stare accanto al figlio

anche nei momenti più difficili.

Che il Signore risorto

ci conceda la grazia di sentire

dentro di noi la sua resurrezione.


 

 
 
 

La settimana Santa: il trionfo dell'Amore attraverso il sacrificio della vita

Post n°99 pubblicato il 12 Aprile 2014 da pasquale.zolla

La Domenica delle Palme

Con la Domenica delle Palme inizia la solenne celebrazione della Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la crocifissione, morte e sepoltura e infine la sua Risurrezione.

I Vangeli narrano che Gesù, giunto con i discepoli a Betfage, vicino Gerusalemme, era la sera del sabato, mandò due di loro nel villaggio a prelevare un’asina con un puledro e condurli da lui.

Il Vangelo di Matteo (21, 1-11) dice che questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria (9, 9): «Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma».

I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme.

Qui la folla numerosissima, radunata dalle voci dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente rendevano onore a Gesù esclamando: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!»

A questa festa che metteva in grande agitazione la città, partecipavano, come in tutte le manifestazioni di gioia di questo mondo, i tanti fanciulli che correvano avanti al piccolo corteo agitando i rami e rispondendo, a quanti domandavano: «Chi è costui?». «Questi è il profeta Gesù da Nazareth di Galilea».

In ricordo di questo, la liturgia della Domenica delle Palme, si svolge iniziando da un luogo al di fuori della chiesa dove il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma portati dai fedeli.


Si hanno notizie della benedizione delle palme a partire del VII secolo in concomitanza con la crescente importanza data alla processione. Questa è testimoniata a Gerusalemme dalla fine del IV secolo e quasi subito fu introdotta nella liturgia della Siria e dell'Egitto.


Dumèneke d’i palme

Kuanne tra de nuje sì vvenute,

kume nd’i kunde a ndò ‘a ‘mmóre

strambalate sumegghjanze kréje,

arrekunussciute ne nd’avime,

pure pekkè sóp’a kuillu ciucce

n’òme kume a nnuje parive.

Ke palme è kkacchje de vulive

akkugghjute t’avime, ma nn’avime

kapite ‘a ‘mmóre ka purtate

t’éve tra nuje è kkum’a nnuje

t’ive fatte. Pe skuvrì u bbéne

ka ce purtave, ngròce t’avime

misse. Mò, Seggnóre, nzinghece

‘a vére sufferènze, pekkè

krjate ne nzime state p’i péne

ma pe ghèsse de prjèzze chjìne.

Mbunnece nd’a l’alme ‘a fórza

tuje pe rènne méne pesande

u pise nustre pe jì òdelà

ke pacènz’è ammóre, a ‘kkussì

ka nd’i kure nustre u règgne

d’u Patre tuje pòzza reséde.

 

 

Domenica delle palme

Quando tra noi sei venuto,

come nei racconti in cui l’amore

strane somiglianze crea,

non ti abbiamo riconosciuto,

anche perché su quell’asino

sembravi un uomo come noi.

Con palme e rami di ulivo

ti abbiamo accolto, ma non abbiamo

capito l’amore che portato

ti aveva tra noi e come noi

ti eri fatto. Per scoprire il bene

che ci portavi, sulla croce ti abbiamo

messo. Ora, Signore, insegnaci

la vera sofferenza, perché

non siamo stati creati per i dolori

ma per essere felici.

Infondici nell’anima la forza

tua per rendere meno pesante

il nostro peso per andare oltre

con pazienza e amore, così

che nei nostri cuori il regno

del Padre tuo vi possa risiedere.

 

 



 
 
 
 

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