pasqualezollaIl blog di Pasquale Zolla |
Messaggi di Aprile 2014
Post n°103 pubblicato il 30 Aprile 2014 da pasquale.zolla
1 Maggio: Festa del lavoro o della memoria del lavoro? Il Primo Maggio è un giorno di festa e lotta per rivendicare i diritti dei lavoratori. Nacque nel 1886 negli Stati Uniti ad opera del presidente Cleveland per commemorare la repressione nel sangue di una manifestazione di operai che chiedevano maggiori diritti. Altri protendono che l’origine della Festa risale ad una manifestazione organizzata, sempre negli USA, dai Cavalieri del Lavoro a New York il il 5 settembre 1882, che in seguito venne tramutata in una manifestazione a cadenza annuale nel giorno del Primo Maggio, grazie anche alle organizzazioni sindacali che suggerirono tale giorno. In Europa la festività fu introdotta per la prima volta nel 1889 a Parigi, durante il congresso della Seconda Internazionale. In Italia la Festa venne soppressa durante il ventennio fascista in cui si preferì festeggiare il 21 di aprile, coincidente con il Natale di Roma. Nel 1947 la ricorrenza venne funestata dalla banda di Salvatore Giuliano che a Portella della Ginestra (Pa) sparò sul corteo uccidendone undici lavoratori e ferendone circa cinquanta. Oggi più che Festa del Lavoro o dei Lavoratori possiamo dire di festeggiare la memoria del lavoro e dei disoccupati, grazie anche ai tanti ministri del lavoro che con le loro trovate hanno fatto si che il giorno dedicato alla festa dei lavoratori rappresenti una enorme disparità con i 365 giorni sacrificati alla disoccupazione. Augurandoci che da questo Primo Maggio 2014 le cose possano cambiare in meglio. Oggi, però, ci tocca festeggiare IL GIORNO DELLA MEMORIA DEL LAVORO! 1Magge: jurnate d’a mammòrje d’a fatike
Ȯgge festjà ‘a fatike ‘n’Italje
éje kume festjà u kumbbljanne
d’a pròbbete fegghjòle ‘mmaggenarje
viste k’a sukkupazzjòne ‘a face
da patróne, pekkuje u prime
de Magge sarrà ‘n’ata jurnate
a’ mammòrje addedekate.
Se celebbrarrà ‘a fatike ka
nubbeletave l’ummene è nenn’i
stutave nd’a ndeffrènze de jurne
ngunzestènde sèmbbe ùuàle; kuèlla
fatike ka nu dritte éve (è ghéje!)
è prjèzze déve (è ddace!) pekkè
pe l’ummene nge stace pane cchjù
saprite de kuille ka se prukurèjene
k’a pròbbete fatike, pure si éje
de póke kunde pekkè òggnè fatike
‘na mane dace a megghjurà ‘a sucetà.
1 Maggio: giornata della memoria del lavoro
Oggi in Italia festeggiare il lavoro
è come festeggiare il compleanno
della propria ragazza immaginaria
visto che la disoccupazione la fa
da padrona, per cui il primo
Maggio sarà un’altra giornata
dedicata alla memoria.
Si celebrerà il lavoro che
nobilitava gli uomini e non li
spegneva nel torpore di giorni
noiosi sempre uguali; quel
lavoro che un diritto era (ed è!)
e gioia dava (e dà!) perché
per gli uomini non c’è pane più
saporito di quello che si procurano
con il proprio lavoro, anche se è
molto umile perché ogni lavoro
contribuisce al benessere della società.
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Post n°102 pubblicato il 27 Aprile 2014 da pasquale.zolla
Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II Santi per la Chiesa Ma per Dio e gli uomini lo erano fin dal giorno della loro dipartita Domenica, 27 aprile 2014, giorno della divina Misericordia, Angelo Giuseppe Roncalli e Karol Wojtyla sono stati innalazati agli onori degli altari da Papa Francesco. La data scelta per la loro Canonizzazione non è avvenuta a caso perché Papa Wojtyla (Giovanni Paolo II) è morto proprio alla vigilia di detta festa che, tra l’altro, era stata istituita da lui stesso. Era stato beatificato da Benedetto XVI il primo maggio 2011 senza attendere i cinque anni dalla morte, normalmente richiesti dalla Chiesa. Papa Giovanni XXIII (Angelo Giuseppe Roncalli), il Papa del Concilio Vaticano II, è stato beatificato il 3 settembre 2000 proprio da Giovanni Paolo II e, tra l’altro, per essere proclamato santo, dopo la beatificazione, avrebbe dovuto compiere un secondo miracolo, ma Papa Francesco lo ha elevato Santo con la formula del “pro grazia!” Due Papi che si sono posti al servizio della Chiesa e della pace promuovendo con autenticità la dignità dell’uomo. Entrambi, oggi divenuti Santi, hanno goduto di una sorta di privilegio: la dispensa dei cinque anni per Wojtyla e la “pro grazia” per Roncalli che, per divenire Santo, avrebbero dovuto accertarsi di un secondo miracolo. Questo è avvenuto onde fare un’unica cerimonia per la loro Canonizzazione. Il primo miracolo di Papa Wojtyla venne riconosciuto da Papa Ratzinger che lo proclamò beato nel 2011: riguardava la guarigione dal morbo di Parkinson di suor Marie Simon Pierre Normand; il secondo ha avuto come protagonista una donna del Costarica, colpita da una grave lesione cerebrale, avvenuto nel 2011. Tra l’altro la donna era presente in Piazza San Pietro e ha portato il calice contenente il sangue di Papa Giovanni Paolo II. A Papa Giovanni XXIII è stato riconosciuto un solo miracolo che risale al 1966 e riguarda una religiosa ricoverata a Napoli per la perforazione dello stomaco dovuta ad un’ulcera gastrica: Suor Caterina Capitani. Non essendo stato riconosciuto un secondo miracolo, pur essendoci una ventina di casi di guarigioni dovute alla sua intercessione, si è optato, come già detto, per la santificazione pro grazia. È stata una festa di grande gioia per i cattolici di ogni parte del mondo perché il primo (Papa Roncalli) ha messo in moto il processo di aggiornamento della Chiesa e il secondo (Papa Wojtyla) ha esercitato la sua influenza non solo come instancabile evangelizzatore, ma anche sulla scena mondiale giocando un ruolo decisivo nella caduta del comunismo. Entrambi, comunque, fin dalla loro dipartita, sono stati ritenuti Santi dalla gente comune non per eventuali miracoli ma per come si erano posti tra la gente e con la gente vivendo intensamente quel Vangelo della buona novella che ci ha fatto conoscere della venuta di Gesù tra noi per liberarci dai mali di questo mondo! 27 abbrile: duje Pape Sande Ki kréde dind’a Ddìje, nda tutt’i luke véde siggne d’a ‘Mmóre Suje è dd’a Meserekòrdje Suje. Ki nge kréde, véde nd’i ssckefèzze d’u munn’a pròue ka Ddìje ne nge stace. Ȯggnèttande, kuanne i kòse ne nvanne akkume vularrìje, me kapetéje de kréde dind’a nu Ddìje tuttekuande mìje ka ce l’ave perzunalmènde kemmè, ma Pape Rungalle è Ppape Vùjetile me sònne sèmbbe pjaciute pekkè èvene bbune, sembbateke ma tuste ò’ stèsse timbb’è ssòpattutte p’a ggènde èrene d’ammóre chjìne. Lóre hanne ngarnate u Vangéle d’a bbóna nùuèlle. Ȯgge nenn’éje ‘a Cchjìse ka l’ave fatte Sande, ma Ddìj pekkè rrumanè ce putèssere ghèsse de sèmbbje de vite a kkuje ce putè ‘sperà. Sande Ggiùuànne XXIII è Ggiùuànne Pavele sekònne a ‘llate a nuje sèmbbe arrumanite pe ce kunnuce ke ‘m’mane sóp’a strate d’a ‘Mmóre è dd’a Meserekòrdje de Ddìje.
27 aprile: due Papi Santi Chi crede in Dio, ovunque vede segni del Suo Amore e della Sua Misericordia. Chi non crede, scorge nelle brutture del mondo la prova che Dio non esiste. Ogni tanto, quando le cose non vanno come vorrei, mi capita di credere in un Dio personale che ce l’abbia personalmente con me, ma Papa Roncalli e Papa Wojtyla mi sono sempre piaciuti perché erano buoni, simpatici ma austeri allo stesso tempo e soprattutto per la gente erano prodighi d’amore. Loro hanno incarnato il Vangelo della buona novella. Oggi non è la Chiesa che li ha fatto Santi, ma Dio perché restare ci potessero essere di esempio di vita a cui poterci ispirare. Santi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II restate sempre al nostro fianco per condurci con mano sulla strada dell’Amore e della Misericordia di Dio.
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Post n°101 pubblicato il 24 Aprile 2014 da pasquale.zolla
25 Aprile: Anniversario della liberazione d’Italia La festa della Liberazione viene festeggiata in Italia il 25 aprile di ogni anno. È un giorno simbolo del termine della seconda guerra mondiale e dell’occupazione dell’Italia da parte della Germania nazista, nonché del ventennio fascista. Il movimento della Resistenza fu caratterizzato dall’impegno unitario di uomini, donne, soldati, sacerdoti, operai, lavoratori, contadini, socialisti, cattolici, comunisti, cioè da gente di diverse idee politiche, di fede religiosa e classi sociali che si impegnarono in prima persona, rischiando la propria vita, per porre fine al regime fascista e fondare una democrazia basata sul rispetto dei diritti umani e della libertà individuale, senza distinzione di razza, di idee, di sesso e di religione. La data del 25 aprile venne assunta come giornata simbolo delle celebrazioni, che ogni anno avvengono in tutte le città d’Italia, in quanto le città di Torino e Milano in detto giorno del 1945 furono le ultime ad essere liberate. Oggi, purtroppo, il sangue di tanti giovani martiri viene calpestato da gente secessionista che vorrebbe ritornare ai tempi delle dittature quando erano pochi a fare il bello e il cattivo tempo. Riusciranno gli italiani a farsi abbindolare dai tanti falsi profeti che promettono benessere lontani da Roma ladrona? È un dubbio amletico che va sciolto solo con l’impegno ad avere gli occhi aperti, anche perché questi falsi profeti siedono sulle panche di Enti e dello stesso Parlamento italiano a grattarsi la pancia e a fare i propri comodi, per poi turlupinarci in tv con slogan dei “ladri” politici in quel di Roma! Gridiamo in coro, come i nostri giovani che hanno sacrificato la loro vita per Unire e non dividere l’Italia: “ITALIA: VOGLIO VIVERE SOTTO LA TUA BANDIERA!”
Lebbertà: kuande sì kustate Sciòssce u vinde d’a mòrte sóp’è tòmbbe d’i tanda uagghjunastre ka kandanne: «Lebberame l’Italje, kambbà vulime d’a bbannira Tuje arravugghjate!», se sònne mbbeggnate, perdènn’a vite, pe funnà ‘na demukrazzìje bbasate sóp’ò respitte d’i dritte umane è dd’a lebbertà de ggnune. A llóre murì ne mbburtave, pekkè nge stéve (è nne nge stace!) nu bbéne cchjùmmègghje d’a lebbertà p’a kuale avvaléve ‘a péne de saggrefekarze. Gògge, 25 d’abbrile, d’ò kambbesande dind’a ndò arrepusèjene kuilli uagghjunastre s’agavezéje kuillu kavete vinde de lebbertà, mminze kum’ò nzine de palòmme ka pe l’arje se ne vanne, dind’a fjure d’akkue de lune. Mò tòkke a nnuje fa ssì ka nd’a jummarèlle d’i rekurde chjéne de lagreme è ffatike nz’assekkenéje kuillu fjóre ka se ngurgedaje de sanghe è dd’akkuarèlle nda nu abbrile bbèll’assaje kuanne u munne u fjate andrattenìje a ‘nnand’ò vinde d’a lebbertà purtate d’è figghje d’a Resestènzze. I vuce lóre ògge arretòrnene a kkandà kum’a kkuanne ‘a vite s’arrapéve sóp’è vòkke lóre ke rerute è ucchje seréne de krjature nzin’è mamme! Libertà: quanto sei costata Soffia il vento della morte sulle tombe dei tanti giovani che cantando: «Liberiamo l’Italia, vogliamo vivere avvolti dalla Tua bandiera!», si sono impegnati, perdendo la vita, per fondare una democrazia basata sul rispetto dei diritti umani e della libertà individuale. A loro non importava morire, perché non c’era (e non c’è!) un bene migliore della libertà per la quale valeva la pena di sacrificarsi. Oggi, 25 aprile, dal cimitero ove riposano quei giovani si alza quel caldo vento di libertà, immenso come grembi di colombe in volo, fra fiori di acqua di luna. Ora tocca a noi far sì che nel fiume dei ricordi colmo di lacrime e fatica non dissecchi quel fiore che si nutrì di sangue e di rugiada in uno stupendo aprile quando il mondo trattenne il respiro davanti al vento di libertà portato dai figli della Resistenza. Le voci loro tornano a cantare come quando la vita si apriva sulle loro bocche con sorrisi e occhi sereni di fanciulli in grembo alle mamme!
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Post n°100 pubblicato il 19 Aprile 2014 da pasquale.zolla
Pasqua: Il trionfo della vita La Pasqua è la festa più importante della cristianità e racchiude tutto il mistero e il fascino pasquale dalla croce alla vita. La settimana santa ci fa ripercorrere le ultime tappe della vita di Gesù sulla terra: l’istituzione dell’Eucarestia nel giorno del giovedì santo; la Via Crucis con la processione e la morte del Figlio di Dio nel giorno del venerdì santo e il ritorno alla vita, la Resurrezione, nel giorno della domenica di Pasqua. Gesù si immola per liberare gli uomini dal peccato originale, per riscattarli e salvarli, mentre con la Resurrezione ci mostra il risveglio nella vera vita alla fine del nostro tempo, quando ognuno di noi affiderà nelle mani del Padre la propria anima. La parola Pasqua significa passaggio (aramaico: Pasha); un passaggio che da sempre ha accompagnato il progresso e la vita dell’intera umanità nel corso della sua esistenza terrena e si è vestita di diversi simboli e significati. Nei culti pagani, ad esempio, e nelle tradizioni popolari e dei contadini il passaggio era riferito alla natura: dall’inverno alla primavera con, in alcuni casi, l’accensione di falò nei campi per indicare il passaggio dal buio alla luce; per gli ebrei, invece, è il passaggio dalla schiavitù dell’Egitto alla liberazione grazie alla nuova alleanza tra Dio e il suo popolo prediletto, mentre per i cristiani, come già detto, è il passaggio dalla morte di croce alla vita eterna. Anche i simboli pasquali sono intrisi di detti significati! La luce è quella portata non solo dal Salvatore, ma anche dalla nuova stagione; l’agnello rappresenta il Cristo morto in croce che vince la morte; le uova, la rinascita di tutte le cose create perché associate al grande mistero della vita. Secondo antiche culture la stessa nascita dell’universo sarebbe legata al concetto di uovo cosmico. A tal proposito si legga la leggenda di Ofione che viene avvolta, mentre danza, da un serpente che la mette incinta e partorisce un grande uovo che darà inizio al mondo! Lo stesso scambio delle uova ha avuto origine fin dai tempi dell’antico Egitto, in Persia, in Cina e nella Grecia dei grandi filosofi in occasione dell’equinozio di primavera perché aveva il gesto simbolico della fecondità e della generazione. Durante il Medioevo, in occasione della Pasqua, i nobili le regalavano ai loro servi in segno di riconoscenza. Anche la colomba, consumata ai giorni nostri come dolce alla fine del pranzo pasquale, è simbolo di pace e di salvezza. La Bibbia ce la presenta con un ramoscello di ulivo nel becco per rappresentarci lo Spirito Santo che si riconcilia con l’uomo, mentre nel periodo pasquale rappresenta il sacrificio del Cristo che ha come esito finale la riconciliazione fra Dio e l’uomo. Al di là di tutto, comunque, la nostra Pasqua sia la gioia di credere e testimoniare la nostra fede in Gesù che è venuto ad abitare in mezzo a noi e che ci ha amato sino alla morte di croce. Pertanto facciamo della nostra vita il centro propulsore capace di amare, di incontrare il mondo e la vita con rispetto e amore, per amare tutti e tutto. Buona Pasqua a tutti!
Paskuele: d’a kròce a’ renasscete Da ‘na fólle festande akkugghjute, da luvére rrè Gesù attrasìje a Jerusalèmme: glurefekate è bbeneditte nda òggnè passe suje è pparóle. Ma dind’u kóre suje ggià akkanusscéve u vulére d’u Patre: è ppròbbete a llà Ghisse destemunjaje k’a vit’a sscèlta suje. ‘Na sscèlte ka dòppe póke jurne u kunnucìje a ghèsse rennegate d’è stèsse desscipule suje, a ghèsse processate sènza kólp’è sevezzjate ke ‘na vjulènze ka ùuàle nn’hav’avute. È ttutte succiudìje sótt’a l’ucchje d’a Mamma suje. Nu celizzje ka Ghisse kanusscéve, k’have cerkate d’allundanà nd’a l’urte d’i vulive: «Patre, si vuje da mè allundane stu kalece…» ma ka dòppe agave accettate, respettanne è avvrazzann’a kròce ka u Patre éve misse sóp’a strata suje: «Tuttavìje ne nzìje fatte u mìje, ma u vulére tuje!» Ggesù kanusscéve kuille ka i spettave: ma sscegghjìje kuèlla kròce, sscegghjìje d’amarle. ‘A veretà éje ka kuèlle nenn’ére ‘a fine è kkuèlla sscèlte d’avvrazzà ‘a kròce suj’u rennìje libbere. Libbere d’accettà kuilli nzulte, libbere de fjatà ‘a fatighe dòppe òggnè skrujatate, libbere d’amà òggnè singul’òme ka u éve kunnannate a kuèlla fine. Pe ppò akkugghjìrl’a vrazze apèrte ‘na vóte a’ vite turnate. Nzeguime ke kuragge stu sèmbje, nd’u sscègghje pe libbere cce sendì; putime a ‘kkussì kunne ce rènne d’i suffrènze ka u Seggnòre ci’addummanne de ‘ccettà è dde purtà ke prjèzze; tennime ‘na mane ò’ tatucce ka male stace, sustenime k’i grazzjune i krestjane k’avvecine ce stanne è i ffedame a Mmarìje ka prùuàje, ke celizzje de mamme, avvecin’ò figghje stà pure nd’I mumènne defficel’assaje Ka u Seggnòre a’ vite turnate éve ‘a grazzje ce arrjaléje de sendì dinde de nuj’a vite nda Ghisse turnate.
Pasqua: dalla croce alla resurrezione Accolto da una folla festante, Gesù entrò da vero re a Gerusalemme: osannato e benedetto in ogni suo passo e parola. Eppure nel suo cuore già conosceva la volontà del Padre: e proprio lì Lui testimoniò con la vita la sua scelta. Una scelta che dopo pochi giorni lo condusse ad essere rinnegato dai suoi stessi discepoli, ad essere processato senza colpa e seviziato con una violenza che non ha avuto eguali. E tutto avvenne sotto gli occhi di sua Madre. Un dolore che Lu conosceva, che ha cercato di allontanare nell’orto degli ulivi: «Padre, se vuoi allontana da me questo calice …» ma che poi ha accettato, rispettando e abbracciando la croce che il Padre aveva posto sulla sua strada: «Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà!» Gesù conosceva ciò che l’aspettava: ma scelse quella croce, scelse di amarla. La verità è che quella non era la fine e quella scelta di abbracciare la sua croce lo rese libero. Libero di accettare quegli insulti, libero di respirare la fatica dopo ogni frustata, libero di amare ogni singolo uomo che l’aveva condannato a quella fine. Per poi accoglierlo a braccia aperte una volta risorto. Seguiamo con coraggio questo esempio, nello scegliere per liberi sentirci; possiamo così renderci conto delle sofferenze che il Signore ci chiede di accettare e portare con gioia; tendiamo una mano al fratello che soffre, sosteniamo con la preghiera le persone che ci sono vicine e affidiamole a Maria che provò, con dolore di madre, a stare accanto al figlio anche nei momenti più difficili. Che il Signore risorto ci conceda la grazia di sentire dentro di noi la sua resurrezione.
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Post n°99 pubblicato il 12 Aprile 2014 da pasquale.zolla
La Domenica delle Palme Con la Domenica delle Palme inizia la solenne celebrazione della Settimana Santa, nella quale vengono ricordati e celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù, con i tormenti interiori, le sofferenze fisiche, i processi ingiusti, la salita al Calvario, la crocifissione, morte e sepoltura e infine la sua Risurrezione. I Vangeli narrano che Gesù, giunto con i discepoli a Betfage, vicino Gerusalemme, era la sera del sabato, mandò due di loro nel villaggio a prelevare un’asina con un puledro e condurli da lui. Il Vangelo di Matteo (21, 1-11) dice che questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato annunziato dal profeta Zaccaria (9, 9): «Dite alla figlia di Sion; Ecco il tuo re viene a te mite, seduto su un’asina, con un puledro figlio di bestia da soma». I discepoli fecero quanto richiesto e condotti i due animali, la mattina dopo li coprirono con dei mantelli e Gesù vi si pose a sedere avviandosi a Gerusalemme. Qui la folla numerosissima, radunata dalle voci dell’arrivo del Messia, stese a terra i mantelli, mentre altri tagliavano rami dagli alberi di ulivo e di palma, abbondanti nella regione, e agitandoli festosamente rendevano onore a Gesù esclamando: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Osanna nell’alto dei cieli!» A questa festa che metteva in grande agitazione la città, partecipavano, come in tutte le manifestazioni di gioia di questo mondo, i tanti fanciulli che correvano avanti al piccolo corteo agitando i rami e rispondendo, a quanti domandavano: «Chi è costui?». «Questi è il profeta Gesù da Nazareth di Galilea». In ricordo di questo, la liturgia della Domenica delle Palme, si svolge iniziando da un luogo al di fuori della chiesa dove il sacerdote benedice i rami di ulivo o di palma portati dai fedeli. Si hanno notizie della benedizione delle palme a partire del VII secolo in concomitanza con la crescente importanza data alla processione. Questa è testimoniata a Gerusalemme dalla fine del IV secolo e quasi subito fu introdotta nella liturgia della Siria e dell'Egitto. Dumèneke d’i palme Kuanne tra de nuje sì vvenute, kume nd’i kunde a ndò ‘a ‘mmóre strambalate sumegghjanze kréje, arrekunussciute ne nd’avime, pure pekkè sóp’a kuillu ciucce n’òme kume a nnuje parive. Ke palme è kkacchje de vulive akkugghjute t’avime, ma nn’avime kapite ‘a ‘mmóre ka purtate t’éve tra nuje è kkum’a nnuje t’ive fatte. Pe skuvrì u bbéne ka ce purtave, ngròce t’avime misse. Mò, Seggnóre, nzinghece ‘a vére sufferènze, pekkè krjate ne nzime state p’i péne ma pe ghèsse de prjèzze chjìne. Mbunnece nd’a l’alme ‘a fórza tuje pe rènne méne pesande u pise nustre pe jì òdelà ke pacènz’è ammóre, a ‘kkussì ka nd’i kure nustre u règgne d’u Patre tuje pòzza reséde.
Domenica delle palme Quando tra noi sei venuto, come nei racconti in cui l’amore strane somiglianze crea, non ti abbiamo riconosciuto, anche perché su quell’asino sembravi un uomo come noi. Con palme e rami di ulivo ti abbiamo accolto, ma non abbiamo capito l’amore che portato ti aveva tra noi e come noi ti eri fatto. Per scoprire il bene che ci portavi, sulla croce ti abbiamo messo. Ora, Signore, insegnaci la vera sofferenza, perché non siamo stati creati per i dolori ma per essere felici. Infondici nell’anima la forza tua per rendere meno pesante il nostro peso per andare oltre con pazienza e amore, così che nei nostri cuori il regno del Padre tuo vi possa risiedere.
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Inviato da: cassetta2
il 14/02/2024 alle 18:49
Inviato da: pasquale.zolla
il 25/11/2023 alle 12:53
Inviato da: cassetta2
il 19/11/2023 alle 17:05
Inviato da: pasquale.zolla
il 17/10/2023 alle 18:41
Inviato da: amorino11
il 25/07/2023 alle 19:11