Blog
Un blog creato da pasquale.zolla il 17/04/2012

pasqualezolla

Il blog di Pasquale Zolla

 
 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Febbraio 2021 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
1 2 3 4 5 6 7
8 9 10 11 12 13 14
15 16 17 18 19 20 21
22 23 24 25 26 27 28
 
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 1
 

Messaggi di Febbraio 2021

Femminicidio in tempo di pandemia

Post n°361 pubblicato il 26 Febbraio 2021 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Femminicidio: meccanismo acuito dalla pandemia

L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia ha aumentato maggiormente il rischio di violenza sulle donne in quanto, quasi sempre, questa viene consumata all’interno delle mura domestiche.

Troppe donne hanno perso la vita per mano di compagni, amici, familiari a causa di una mano armata dall’odio verso le donne. Stiamo assistendo a una recrudescenza di sessismo, razzismo, misoginia.. È qualcosa di palpabile di cui la società è tremendamente pregna e che sono aumentati nel corso della pandemia.

Il Covid-19 ha reso evidenti quali e quanti sono ancora i limiti che impediscono una piena realizzazione del ruolo della donna nella nostra società. È necessario investire sull’educazione e soprattutto aiutare gli uomini, che si macchiano

di queste violenze, a prendere consapevolezza.

È necessario che istituzioni e politica facciano fronte comune per contrastare il seme del male che cresce in maniera incontrollata nelle nostre famiglie, a scuola, sul lavoro, nelle istituzioni.

Oltre alla volontà politica di contrasto alla violenza, occorrono risorse da destinare a progetti di sensibilizzazione e formazione che accompagnino uomini e donne nel percorso della vita.

Abbiamo bisogno di partire dall’abc delle relazioni, dai concetti più elementari, imparando fin da piccoli strumenti utili per riconoscere ed esprimere le emozioni, condurre i rapporti sani e liberi, gestire i conflitti, elaborare rabbia e frustrazione.

Cominciamo col dire a chi amiamo: Ti voglio bene, col significato di: Voglio il tuo bene. Sarà il primo passo per combattere la violenza sulle donne, mostrandoci veramente loro amico.


Te vòghje béne

Te vòghje béne. Trè sèmblece paróle

‘a kuje degnetà ‘nnarrevable éje.

Avastarrìje u dì a tuttekuande kuille

ka béne vulime pe file da tòrce

dà a rembiande è remurze. U béne éje

fatte de kulure è rerute juste,

mane tése p’ajutà, rècchje ka sèndene

è passe ka, kuanne sperdute se éje,

ce arrepòrtene sóp’a strata juste.

Éje penzà k’u kòre, vjaggià k’a mènde

è sènde ke l’alme. Spisse se dice te

vòghje béne skurdanne ka segnefekéje

vòghje u béne tuje. Sènza ‘mmidje, sènza

judizje, sènza gujìsme. Arrekurdamece

ka ce stace sèmbe nu kraje è u kambà

sèmbe dace ‘n’ata uppurtenetà  pe fà

béne i kòse, ma si se sbaghje è u presènde

tuutekuille éje k’arrumane, sendì

dece pjaciarrìje: Te vòghje béne!

 

 

Ti voglio bene

Ti voglio bene. Tre semplici parole

la cui dignità è inarrivabile.

Basterebbe dirlo a tutti quelli

che amiamo per filo da torcere

dare a rimpianti e rimorsi. Il bene è

fatto di colori e sorrisi giusti,

mani tese per aiutare, orecchie che ascoltano

e passi che, quando si è smarriti,,

ci riportano sulla strada giusta.

È pensare con il cuore, viaggiare con la mente

e  ascoltare con l’anima. Spesso si dice ti

voglio bene dimenticando che significa

voglio il tuo bene. Senza invidia, senza

giudizio, senza egoismo. Ricordiamoci

che c’è sempre un domani e la vita

dà sempre un’altra opportunità per fare

bene le cose, ma se si sbaglia e il presente

è tutto ciò che resta, sentir

dire piacerebbe: Ti voglio bene!

 


 

 

 

 
 
 

Nulla: costruzione logica, astrazione

Post n°360 pubblicato il 23 Febbraio 2021 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Il Nulla: parto dell’immaginazione

Il nulla è un concetto filosofico, non una realtà fisica né tantomeno qualcosa di sperimentale. Deve intendersi come assenza di essere, cioè non esistenza.

Parmenide, un filosofo della Magna Grecia nato intorno a 2500 anni fa, fu il primo a rendersi conto della differenza

assoluta tra l’essere e il nulla e la espresse in modo lapidario, con parole che sono diventate storiche:

l’essere è, e non è possibile che non sia…

(il non essere) non è, ed è necessario che non sia

In altre parole, il nulla è una costruzione logica, un’astrazione, un parto dell’immaginazione, un concetto limite. Per alcuni la ricerca del nulla può essere addirittura un esercizio spirituale, in cui ogni oggetto o soggetto empirico viene artificialmente eliminato dalla scena della coscienza. Ma alla fine di questo esercizio di rimozione resta sempre almeno la coscienza che pensa il nulla, come aveva appunto pensato Parmenide: l’essere non è possibile che non sia; il non essere non è, in nessun caso.


U ‘ssulute besugne d’u ‘nutele

Nu jurne nu allive de nu fesòfele

decìje ò’ majèstre suje ka tuttekuande

u nzegnaminde suje assemeghjave

kungentrarze sóp’a kòse ‘nutele È kuille

i respunnìje ke nu ‘sèmbje: ’A tèrre éje

ambje è smesurate. Ma de kuèlla subrefice

ògnè òme aùse skitte pòke cendimetre.

Kuille sóp’a kuje i pite mètte nda kuillu

mumènde. ‘Mmagenìje ka tu live, tutte

A nu tratte, kuille ka l’òme nen stace

aùsanne. Kuistukkuà nvileke se trùuàrrà

nd’u ‘mmakande. Pe kuanda timbe sarrà

ngrade de servirze d’u sustègne ka prime

i vastave? È u allive i respunnìje ka kuillu

pòke de tèrre, nenn’i sarrìje servute chjù

a ninde. È u majèstre kungludìje ka kuillu

sèmbje u ‘ssulute besugne d’u ‘nutele revelave.

L’assoluta necessità dell’inutile

Un giorno un allievo di un filosofo

disse al suo maestro che tutto

il suo insegnamento sembrava

concentrarsi su cose inutili. E quegli

gli rispose con un esempio: La terra è

ampia e vasta. Ma di quella superficie

ogni uomo usa solo pochi centimetri.

Quelli su cui posa i piedi in quel

momento. Supponi che tu tolga, tutto

ad un tratto, ciò che l’uomo non sta

usando. Costui si troverà in bilico

nel vuoto. Per quanto tempo sarà

in grado di servirsi dell’appoggio che prima

gli bastava? E  l’allievo gli rispose che quel

poco di terra, non gli sarebbe servito più

a niente. E il maestro concluse che quello

esempio mostrava l’assoluta necessità dell’inutile.

 

 


 

 
 
 

Festa della pentolaccia

Post n°359 pubblicato il 19 Febbraio 2021 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

La pentolaccia

La pentolaccia, ai tempi della mia fanciullezza, era una festa che si svolgeva, generalmente, nelle case la seconda domenica di Quaresima, dove si ballava prima di rompere la pignata, riempita di noci, fichi secchi, fave e lupini.

Era una tradizione molto sentita a Lucera e lo è tutt’oggi soprattutto da chi, come me, è avanti negli anni. Tra l’altro molti miei ricordi sono legati al cortile di Santa Caterina dove il nostro amato Servo di Dio Padre Angelo Cuomo in detta ricorrenza faceva trovare delle pentole di terracotta appese ad un filo con dentro segatura e caramelle.

Un ricordo a me tanto caro perché la prima volta che vi partecipai c’erano un centinaio di ragazzi e, nel vedere quelle poche caramelle cadere ad ogni pignata rotta, pensai ad un miracolo perché per terra alla fine c’erano caramelle molto più che sufficienti per tutti.

Noi ragazzi, a turno, venivamo bendati e armati di bastone e su indicazione dei presenti che gridavano: Acqua, fuocherello, fuoco, ad indicare la distanza e la vicinanza della pignata da colpire, menavamo colpi a casaccio e a volte colpivamo dei ragazzi che non si distanziavano di qualche metro dalla corda con le pignate.

Oggi tale gioco lo si usa nelle feste dei compleanni dei bambini per rendere più movimentata e divertente la festa del bimbo festeggiato, perché per i bimbi vedere rotta una pignata colma di cioccolate e caramelle significa tuffarsi per terra per accaparrarsi la maggior quantità.

Ma vediamo quali sono state le origini di tale festa!

Per alcuni affondano nella storia della scoperta dell’America: si narra che, all’inizio del XVI secolo, i missionari spagnoli arrivati colà, utilizzarono la pignata per attirare i nativi alle loro cerimonie.

Sembra, invece, che gli indigeni avessero già una tradizione simile per celebrare il compleanno della divinità della guerra. Infatti alla fine dell’anno i sacerdoti aztechi collocavano nel tempio un recipiente di argilla adornato di piume colorate e pieno di piccoli tesori. Quando la pignata veniva rotta i tesori in essa contenuti cadevano ai piedi degli dei.

I Maya, invece, usavano praticare un gioco molto simile a quello della mia infanzia: i partecipanti al gioco, con gli occhi bendati, dovevano colpire un recipiente di argilla sospeso con una corda.

Furono, comunque, i missionari a trasformare questo gioco dandogli un significato religioso: il recipiemte di argilla decorato rappresentava Satana che doveva essere distrutto.

La pignata, che aveva sette coni, rappresentava i sette vizi capitali, ed era riempita di dolci e frutta che rappresentavano le tentazioni di abbondanza e i piaceri terreni.

Il partecipante bendato, invece, rappresentava la fede che, seppur cieca, vince il male e il bastone utilizzato per romperla simboleggiava la virtù.

Con il gioco della pignata la gente che vi partecipava era costretta ad alzare lo sguardo verso il cielo per vederla colpita, mentre era sospesa da una corda, aspettando il premio di ciò che in essa era contenuto. Una volta sotto il recipiente, le caramelle e la frutta che cadevano giù rappresentavano la giusta ricompensa per la fede mantenuta.

La festa della pignata venne introdotta in Europa nel XIV secolo e venne adattata alle celebrazioni della Quaresima.

‘A pegnate

‘A prime dumèneke de Kuarèsme

a Lucére se festjave  ‘a pegnate

nd’i kase andò nu geradiske stéve

p’abballà, Nge stèvene lukale

p’abballà è né balle de gruppe,

ma s’abballave u tanghe, pe ce se strènge

a’ uaghjòne, ‘a mazzurke, u valze è ‘a kuadrighje

k’i kòcchje ngirke kè a kumanne se skagnavene.

Prime d’arrevà mèzzanòtte ‘a museke

se fremmave è u juke se facéve

andò i jukature,bennate, èvene akkòghje

è ròmbe ke nu vastòne ‘na pegnate

 ndèrrakòtte mbése a nu lunghe vastòne,

ka vune semuvéve kundenuàmènde

pe nenn’a fà kòghje, ke ‘na zòke

è ke dinde dórce fatte ngase. Si stèvene

uaghjungille évene lóre  a ghèsse

bennate p’a ròmbe ke ‘na mazze de skòpe.

K’u arrevà  de Patrè À* a Lucére

pe nuje uaghjune u juke se facéve

u dòppe magnà nd’u kurtighje de sanda

Katarine andò mbése trùuàuame

a nu file de firre, ka jéve da nu mure

a n’avete, cinghe/séje pegnate, mbése

a kakkè mètre d’avetèzze. A rutazjune

gnune de nuje bennate venéve

è nu vastòne date ce venéve p’a ròmbe,

ma prime fà ce facéve trè gire

sóp’a nuje stèsse pe póje nu pare

de vóte ‘a ‘kkòghje. Kuanne ‘a pegnate

se rumbéve pe ndèrre kadéve tanda

sekature ka ‘mmedjatamène venéve

peghjate d’assarte d’è uaghjune

pe kakkè karamèlle acciaffà ka stéve

ammizze a ghèsse. A’ fine d’u juke,

appèrò, nzacce akkume, tuttekuande

‘a karamèlle avute avevame.

Murteprekazjòne d’i karamèlle? Pòde

darze. Cèrte éje k’ammizze a nuje

krjature nu jòvene préte stéve,

Sande vevènde, Angele de nòme è de fatte!

 

La pentolaccia

La prima domenica di Quaresima

a Lucera si festeggiava la pentolaccia

nelle case dove c’era un giradischi

per ballare. Non c’erano sale

da ballo e né balli di gruppo,

ma si ballava il tango, per stringersi

all’innamorata, la mazurca, il valzer e la quadriglia

con le coppie in giro che a comando si scambiavano.

Prima che giungesse mezzanotte la musica

si fermava e il gioco si faceva

dove i giocatori, bendati, dovevano colpire

e rompere con un bastone una pignatta

in terracotta appesa ad una pertica,

che veniva mossa continuamente

per non farla colpire, con una corda

e con dentro dolcetti fatti in casa. Se c’erano

ragazzini erano loro ad essere

bendati per romperla con una mazza di scopa.

Con l’arrivo di Padre Angelo a Lucera

per noi ragazzi il gioco si svolgeva

il pomeriggio nel cortile di santa

Caterina dove trovavamo appese

ad un fil di ferro, che andava da un muro

all’altro, cinque/sei pignatte, sospese

ad alcuni metri di altezza. A turno

ognuno di noi veniva bendato

e un bastone ci veniva dato per romperla,

ma prima ci faceva fare tre giri

su noi stessi per poi un paio

di volte colpirla. Quando la pignatta

si rompeva per terra cadeva molta

segatura che subito veniva

presa d’assalto dai ragazzi

per prendere qualche caramella contenuta

in essa. Alla fine del gioco,

però, non so come, tutti

avevamo avuto la caramella.

Moltiplicazione delle caramelle? Può

darsi. Certo è che in mezzo a noi

ragazzi c’era un giovane prete,

Santo vivente, Angelo di nome e di fatto!

*Padre Angelo Cuomo (San Giuseppe Vesuviano 1915/Lucera 1990), Giuseppino del Murialdo, oggi Servo di Dio.

 
 
 

Mercoledì delle Ceneri

Post n°358 pubblicato il 16 Febbraio 2021 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

Le sacre Ceneri

Con il mercoledì delle Ceneri inizia la Quaresima, il periodo di quaranta giorni che precede la Pasqua, in cui si è invitati alla conversione.

Il sacramento della penitenza era pubblico e costituiva di fatto il rito che dava inizio al cammino di penitenza dei fedeli che sarebbero poi stati assolti nella celebrazione della mattina del giovedì santo. In seguito il gesto dell’imposizione delle Ceneri, ottenute bruciando i rami d’ulivo benedetti la Domenica delle Palme dell’anno precedente, si estese a tutti i fedeli e venne collocato all’interno della Messa, al termine dell’omelia.

La cenere con cui si cosparge il capo indica la fragile condizione dell’uomo  di fronte al Signore e anche un segno concreto di chi si è pentito e con cuore rinnovato riprende il proprio cammino verso il Signore.


Grazjòne p’i sacre Cènnere

Ò Dìje, ka kumbassjòne haje

de ki se pènde è arrjale ‘a tuje

kujéte a ki se kumburtéje,

akkughje ke patrènne bundà

‘a grazjòne d’u pòpele tuje

è benedice nuje fighje tuje

k’arrecevime u mburtande

simmele d’i Cènnere, pekkè

pemmizze  u jì spereduale

d’a Kuarèsme arrevame  pe ndére

rennuate ‘a festjà ‘a Paskule

d’u Fighje tuje; auttinece pure

u perdune d’i pekkate nustre

è nu kambà rennuate ‘a ‘mmagene

de Gesekriste arresurte!

 

 

Preghiera per le sacre Ceneri

O Dio, che hai pietà

di chi si pente e doni la tua

pace a chi si converte,

accogli con paterna bontà

la preghiera del tuo popolo

e benedici noi figli tuoi

che riceviamo l’austero

simbolo delle Ceneri, perché

attraverso l’itinerario spirituale

della Quaresima giungiamo pienamente

rinnovati a celebrare la Pasqua

del Figlio tuo; ottienici anche

il perdono dei nostri peccati

e una vita rinnovata a immagine

di Gesucristo risorto!

 

 
 
 

La festa degli innamorati

Post n°357 pubblicato il 14 Febbraio 2021 da pasquale.zolla
Foto di pasquale.zolla

 San Valentino  

La tradizione di San Valentino quale protettore degli innamorati risale all'epoca romana, nel 496 d. C., quando l’allora papa Gelasio I volle porre fine ai lupercalia, gli antichi riti pagani dedicati al dio della fertilità Luperco, che si celebravano il 15 febbraio e prevedevano festeggiamenti sfrenati ed erano apertamente in contrasto con la morale e l'idea di amore dei cristiani.

In realtà il merito moderno di aver consacrato San Valentino come santo patrono dell'amore è da ascrivere a Geoffrey Chaucer, l'autore dei Racconti di Canterbury che alla fine del '300 scrisse - in onore delle nozze tra Riccardo II e Anna di Boemia - The Parliament of Fowls, (Il Parlamento degli Uccelli) un poema in 700 versi che associa Cupido a San Valentino. Che così divenne il tramite ultraterreno della dimensione dell'Amore cortese.


‘Na puvesìje d’ammòre ‘a rerute éje

Si pussibele m’éje rire ke tè,

de tè, pe tè tanne mbussibele

m’éje nen t’amà. Arrjaleme

‘a mèghja reruta tuje mò è sèmbe

è t’arreservarraghje ‘a kumblecetà

mìje, ‘a mìje ljaltà, u respitte mìje,

‘a kumbrenzjòna mìje, u mìje sustègne,

u mestére mìje, u mìje mbègne,

‘a mìje nderèzze, ‘a gròrja mìje,

a féde mìje, ‘a mìje magagìje,

u mìje luke sekréte, u mìje ndusjasme,

‘a passjòna mìje, u kuragge mìje,

‘a mìje ‘nergìje. Te ‘mmetarraghje

ò’ kuspitte de l’alma mìje è t’arrevelarraghje

i maravighje allà tenute ammucciate.

Tu damme kuèlla rerute ka nze chjude

dind’u timbe, ka rire face pure

u kòre mìje e ce farrà assemeghjà

a dóje arpe k’u stèsse djapasònne

prònde a kunfònne i vuce nòstre

dinda ‘na dòciassaje armunìje.

‘A rerute éje state, éje è sarrà

sèmbe ‘a puvesìje  d’u ammòre nustre.

 

Il sorriso è una poesia d’amore  

Se mi è possibile ridere con te,

di te e per te allora impossibile

mi è non amarti. Offrimi

il tuo miglior sorriso ora e sempre

e ti riserverò la complicità

mia, la mia lealtà, il mio rispetto,

la mia comprensione, il mio sostegno,

il mio mistero, il mio impegno,

la mia integrità, la mia gloria,

la mia fede, la mia magia,

il mio rifugio, il mio entusiasmo,

la mia passione, il mio coraggio,

la mia energia. Ti inviterò

al cospetto della mia anima e ti rivelerò

le meraviglie là nascoste.

Tu dammi quel sorriso che non si chiude

nel tempo, che ridere fa anche

il mio cuore e ci farà sembrare

due arpe con lo stesso diapason

pronte a confondere le nostre voci

in una divina armonia.

Il sorriso è stato, è e sarà

sempre la poesia del nostro amore.

 


 

 

 

 

 

 
 
 
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

pasquale.zollacassetta2prefazione09lisa.dagli_occhi_blum12ps12robi70dsgmonellaccio19oscar63dgl0amorino11dony686acer.250cuorevagabondo_1962surfinia60Aemilius1919
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963