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Messaggi del 15/02/2022

Un carnevale poco carnevale

Post n°402 pubblicato il 15 Febbraio 2022 da pasquale.zolla

 

PERCHÉ SI FESTEGGIA IL CARNEVALE   

Il Carnevale ha come scopo principale quello di sciogliere temporaneamente un gruppo sociale dagli obblighi che lo incatenano al proprio ruolo. Nelle dionisiache greche lo schiavo diventa padrone e viceversa, i prigionieri vengono liberati, si cessa temporaneamente il lavoro. Il caso, insomma, prende il posto dell'ordine, fino a che, con la chiusura dei festeggiamenti, la Cosmogonia non viene ripristinata, e l'ordine torna nella società fino al ciclo successivo.

Ed ecco la funzione della maschera, tanto più tipica nei Saturnalia decembrini dell'Antica Roma: la maschera cela l'identità di schiavi e prigionieri, anche e soprattutto nei banchetti, grassi e licenziosi. Ma c'è anche un altro ruolo attribuito alla maschera: quella di "volto" per le presenze infere che abitano il regno dei vivi in questo mondo rovesciato. La funzione della maschera è apotropaica: allontana il male prestandole un corpo in cui vivere temporaneamente, in modo che con l'arrivo della primavera e la rinascita della terra gli spiriti liberati dai festeggiamenti tornino in quiete fino all'anno successivo.

A Lucera, ai tempi della mia fanciullezza e gioventù, il posto in cui si scatenava di più il Carnevale era Piazza Duomo e per la maggior parte dei ragazzi i vestiti indossati erano quelli delle sorelle e viceversa, con maschere di cartone fatte in proprio o comprate con pochi soldi.

Si andava su e giù per la piazza facendo il più possibile schiamazzo e buttando coriandoli, a volte fatti con pezzi di carta. La festa terminava con la cuccagna e il pupazzo raffigurante Carnevale bruciato e, a mezzanotte, iniziava il Mercoledì delle Ceneri con bambole vestite di nero (Kuarandane), che si appendevano agli angoli delle strade vicino ai lampioni della luce,  con  ai piedi un’arancia e 5 penne di galline, per ricordare il periodo della Quaresima, che venivano tolte ogni dieci giorni.


Vune, nesciune è chjù de vune

L’òme pòrte pe anne ‘a faccia suje

ngape appezzekate è ‘a muréja suje

è pite arrepezzate è jammaje

arrjèsce a kapì kuale d’i dòje

téne u piseme decchjù. Kakkèvvóte

assapuréje u mbulze ngundrullabele

de i stukkà è i mbènne a nu chjuve

è arrumanè allà ndèrre assettate

kum’a nu pupazze de stajèlle a kuje

‘na mane pjetòse u file have tagghjate.

Pènze a kuanda mumènde d’i jurnate

suje isse è state isse, sckitte isse,

vune ò fòrze nesciune ò chjù de vune.

Pe kuande avéve repetute ‘na masckere,

nu jèste mbuste da nu derettòre

ka nze vedéve è ka ne nganuscéve.

Vèrz’a fine d’a vite, pròbete kume

succéde vèrz’a fine de nu balle

masckuarate, kuanne tuttekuande

se lèvene ‘a masckere, fenarmènde

s’arrjèsce a vedè ki èvene p’alluvére

kuille k’i kuale ngundatte s’éve

venute lunghe u jì suje sóp’a tèrre.

 

Uno, nessuno e più di uno

L’uomo porta per anni la sua faccia

appiccicata alla testa e la sua ombra

cucita ai piedi e giammai

riesce a capire quale delle due

pesa di più. Qualche volta

prova l’impulso irrefrenabile

di staccarle e appenderle a un chiodo

e restare lì seduto per terra

come un burattino a cui

una mano pietosa il filo ha tagliato.

Pensa a quanti minuti delle giornate

sue lui è stato lui, solo lui,

uno o forse nessuno o più di uno.

Per quanti aveva replicato una maschera,

un gesto imposto da un regista

che non si vedeva e che ignorava.

Verso la fine della vita, proprio come

avviene verso la fine di un ballo

mascherato, quando tutti

si tolgono la maschera, finalmente

si riesce a vedere veramente chi erano

quelli coi quali si era in contatto

venuto durante il suo viaggio terreno.

 


 

 

 
 
 
 

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