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Messaggi del 01/02/2020
Post n°300 pubblicato il 01 Febbraio 2020 da pasquale.zolla
Il termine Carnevale indica il banchetto che si teneva il martedì grasso, l’ultimo giorno di Carnevale, e contemporaneamente l’inizio del periodo della quaresima, tempo di digiuno e purificazione. Il mese dedicato al Carnevale è febbraio in quanto anticamente era il mese dei riti di purificazione, tenuti in onore del dio etrusco Februus e della dea romana Febris; della commemorazione dei defunti, poiché segnava il passaggio dall’inverno alla primavera e permetteva un contatto con l’aldilà; dei riti di fecondazione, come nelle antichissime feste dei Lupercoli in onore di Marte e del dio Fauno. Nell’anrica Roma si celebrava la fertilità della terra che, dopo il torpore invernale, tornava a rivivere e nutrire uomini e animali. La rievocazione di quel momento, durante i Saturnalia, si esplicava oltre che con banchetti e balli con un momentaneo sovvertimento, in chiave scherzosa e dissoluta, degli obblighi sociali e delle gerarchie costituite, in favore del caos e del disordine che tutto permetteva. Così gli schiavi potevano considerarsi uomini liberi e comportarsi di conseguenza rappresentando caricature della classe dominante. Vestivano capi sgargianti e una maschera che rappresentava la personificazione di una divinità degli inferi (Saturno o Plutone), in quanto ritenevano che queste divinità vagassero sulla terra per tutto il periodo invernale, quando la terra era a riposo, e che i riti e le offerte servissero a farle tornare nell’oltretomba, favorendo così il raccolto della stagione estiva. Nel Medioevo il Carnevale continuò a garantire l’allegria e la sospensione momentanea delle regole e della morale comune. Gli uomini vestivano abiti femminili, i ricchi si travestivano da poveri, perché era lecito essere folli una volta l’anno. Oggi le strade si riempiono di gente festante con coriandoli svolazzanti e schiamazzi dovunque.
‘A vite akkum’ò Karnuàle éje A Karnuàle u munne éje akkum’a nu grusse tjatre a ndò gnune ndreppetéje ‘a parta suje k’a masckuere sóp’ò nase, ka andike éje kuande ‘a stèsse umanetà è u simmele éje d’u kagnaminde de l’òme dinda n’atu ìje. ‘Na msckuere dice de chjù de ‘na facce pekkè ògnè òme nasce ke ‘na faccia suje k’arrakkundéje ki éje è da ndò véne è u nghjòve a’ stòrje. ‘A masckuere de Karnuàle ‘a fujute éje d’a pròbbeta stòrje, ‘a lebbertà d’a pròbbeta dindirindà pemmizze d’u stravesteminde. ‘A vite akkum’ò Karnuàle éje: nze pòde maje sapè ka pazzìje faciarrà pekkè ògnè perzòne nenn’éje ka ‘na msckuere tjatrale, nu ndrèppete ka recetéje nu pròbbete rule è k’assumènne akkussì ‘a pròbbeta perzunaletà kundrebbuéje a ‘rrekkì ‘a kòmeka tjatraletà d’a umane stubbedetà.
La vita è come il Carnevale A Carnevale il mondo è come un vasto teatro in cui ognu interpreta la sua parte con la maschera sul naso, che è antica quanta la stessa umanità ed è il simbolo della trasformazione dell’uomo in un altro io. Una maschera dice di più di una faccia perché ogni uomo nasce con un suo volto che racconta chi è e da dove viene e lo inchioda alla storia. La maschera di Carnevale è la fuga dalla propria storia, la libertà della propria identità attraverso il travestimento. La vita è come il Carnevale: non si può mai sapere che scherzo farà perché ogni persona non è che una maschera teatrale, un attore che recita un proprio ruolo e che assumendo così la propria personalità contribuisce ad arricchire la comica teatralità dell’umana stupidità.
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