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Intreccio

Post n°572 pubblicato il 07 Dicembre 2014 da pedro_luca
 

 

 

 

Jmenez,Maria e Francisco

 Intre ccio 

Parte3 di 3

 Francisco 

 

Sputa sul panno pulito e lo strofina sugli stivali. Tuttaquell’attenzione e quella pulizia accurata non è una cosa da tutti i giorni perFrancisco. S’appresta ad una giornata straordinaria, una di quelle che dannosignificato all’esistenza, è l’approdo di una vita intera ed ha il saporespeciale degli avvenimenti. Per uno come lui la promozione a comandante ha unvalore che travalica il danaro, vale molto di più dell ’assegnazione dellavilla in periferia, è la ricompensa di una vita intera passata a compiere ilproprio dovere al meglio. Quel mattino si sentiva, per una volta, un uomolibero, quasi sollevato. Non avrebbe più dovuto abitare nell’alloggio delcarcere di cui era stato direttore per quasi trent’anni. Finalmente anche lui avrebbepotuto farsi chiamare signore, uno di quelli che contano, uno che è arrivato asalire il gradino della scala sociale, quello aveva da sempre perseguito. Anchelui avrebbe avuto modo di fare passeggiate per le vie principali della città esedersi nei locali più esclusivi, conoscere la gente più in vista e frequentaregli ambienti più riservati. In fin dei conti aveva speso una vita a servire ilpotere, in ogni comando che gli fosse stato impartito,  sempre e senza farsi domande. Se al solosentir nominare il penitenziario da lui diretto la gente sentiva scorrerebrividi di terrore, questo lo si doveva principalmente alla sua conduzione dura,ferrea, spesso crudele. Francisco  amavaripetere che la giustizia non ha occhi, orecchi o cuore per ascoltare ma solouna misura da colmare, un carico di penitenze  da scomntare. Per questo si era fatto la famadi carceriere spietato e crudele, di uomo senza cuore. In questo molto diverso,adirittura irriconoscibile, se si guardava al ragazzo ch’era quando preseservizio presso quella prigione, la stessa che, in definitiva, lo aveva legatoa sé per tanti anni. A volte, quand’era a tavola,  gli piaceva  riderci sopra e ripetere che, in fin deiconti, anche lui s'era trovato rinchiuso tra quelle alte mura per tanti anni,al pari dei condannati a cui doveva montare la guardia. Comunque Francisco provavaalcun rimorso e rimpianto, sapeva che quel lavoro duro e spietato lo avevacambiato nel suo intimo, ma era un lavoro sporco che andava fatto. L’idealitàdei giovani, quella con cui era arrivato lì per la prima volta, quella che sognava,l’illusione di rendere il carcere, non il luogo deputato alla sofferenza edalla espiazione delle colpe ma un luogo per la riconduzione della persona allavita sociale. La vita passata tra quelle mura tra delinquenti d’ogni tipo, un’esperienzadegradante l’avevano smentito. Adesso è cosciente che corre voce tra la genteche solo la paura dell’inferno, forse, ne eguagliava l’effetto terroristico cheincuteva quella tetra prigione. S’è messo in alta uniforme e tirato a lucido, si guardanello specchio ed è veramente orgoglioso di sé stesso. Ha raggiunto il suoobiettivo e ne gode . Francisco non sa che,proprio in quel giorno ci sarebbe stata una rivolta popolare, e che la ferociadella piazza impazzita avrebbe spazzato i potenti in poche ore in un orgia disangue. Lui no, per uno strano concatenarsi di eventi gli sarebbe statarisparmiata la vita  da quella barbarieimprovvisa. Il suo destino avrebbe preso altre strade da percorrere. Per lui,una volta catturato si sarebbe deciso di incarcerarlo nella prigione piùmalfamata ed invivibile del paese, proprio quella di cui lui era statodirettore. Tra l'altro, Francisco  non sanemmeno che in un ambiente stracolmo di detenuti, di rifiuti umani ammassati inputride e strette celle, avrebbe condiviso con molti altri quegli angusti,stretti ed immondi tuguri. Ma non sarebbe stato il fetore o la violenza ciò chegli avrebbe inferto le maggiore sofferenze, piuttosto il dover sottostare agliistinti, molto più animaleschi dei suoi, degli altri detenuti. Nonostante undestino simile a quello che lui impose a Maria, il suo supplizio non gliavrebbe fatto ricordare quello che aveva patito quella povera donna, perchél’ingiustizia che si subisce non è mai uguale a quella che subiscono gli altri,e poi, se a procurarla siamo noi, beh, non la consideriamo nemmeno tale. Alcunidicono che col tempo, poi, un po’ ci si fa l’abitudine, altri guardano il cieloe buttano là un dubbioso ‘chissà’.

 

 
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