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Intreccio

Post n°571 pubblicato il 06 Dicembre 2014 da pedro_luca
 

Intreccio

In tre ccio

intreccio 2

Maria, Jemenez, Francisco

Davanti alla lunga muraglia che incorona per intero la collina, Maria ha sempre provato un brivido, un tremito intriso di sgomento correrle su per la schiena. Per ogni volta che s’è presentata davanti al carcere ha vissuto la stessa sensazione, sentire come se quelle alte mura la circondassero fino a soffocarla in un mortale abbraccio. Cammina lentamente lungo la strada sterrata, la pioggia del giorno prima non ha lasciato fango e pozzanghere tanto è stata breve e leggera. S’è trattato solo di un piccolo temporale estivo ed ora il cielo terso e senza nubi sembra ancora più ampio ed infinito. La mano destra stringe stretta la borsetta contro il fianco come se temesse di perderla e con essa il suo prezioso contenuto. Per lei quella che sta consegnando è la migliore lettera che habbia mai scritto, così come lo sarà quella del giorno seguente. Sente di aver messo in quelle righe tutta sé stessa con una disponibilità d’animo e sincerità tali da perdersi totalmente. Maria non ha più rivisto il suo amato Jmenez dal giorno in cui è stato incarcerato con l’accusa di aver scritto fogli atti a sobillare l’ordine costituito. Nonostante siano trascorsi quasi vent’anni dalla sua incarcerazione, lei lo ricorda ancora com’era da giovane, con i lunghi capelli neri e ricci, gli occhi scuri e penetranti ed il grande fascino che i suoi modi gentili ma sicuri avevano su di lei. Quei momenti passati, quegli incontri le si erano appiccicati addosso e non l’avevano più lasciata, facevano parte di lei ormai. Non era questo il solo motivo che la legava così fortemente a lui, è che era certa dell’appartenenza, di esser parte integrante ed indissolubile di una esistenza condivisa con lui. Non riusciva a darsi una spiegazione logica e razionale, ma era questo quello che sentiva nel suo intimo. Le liriche che lui le faceva avere, grazie alla complicità di alcune guardie, avevano, se possibile, legato ancor più il suo destino a quello di quel povero poeta incarcerato. Quel parlarsi, quello scriversi, e quel rivolgersi era, lo sapeva, l’essenza stessa della sua vita, era il senso del suo esistere. Solo a sera, quando rincasava, seduta vicino alla finestra, perduta sulle righe che Jmenez sembrava avesse scritto con il cuore, si perdeva nella lirica dell’amore. Certo, Jmenez non sapeva che il permesso di scambiarsi giornalmente tra di loro lettere e poesie aveva un costo, un miserabile baratto, degno del luogo e del lavoro di chi lo aveva imposto. Ah, se l'avesse saputo, chissà? Solo chi vive nel lerciume non ne sente più il lezzo. Il prezzo che la povera Maria doveva a quel permesso quotidiano consisteva nel concedersi alle voglie, alquanto animalesche del direttore del carcere. Una condizione dura, per lei così innamorata, al limite della sopportazione, ma alla quale si sottopose pur di poter comunicare giornalmente col suo amato. A dir il vero i contraccolpi psicologici furono terribili soprattutto per i primi tempi, poi, con il trascorrere degli anni quel baratto venne meno ma rimase il permesso di comunicare con Jemenez, probabilmente il direttore del carcere temeva d’essere denunciato. La sua sensibilità per l'affronto subito s'era attenuata. A lei interessava solo ed esclusivamente di poter scambiare le missive con Jmenez per correre a casa e abbandonarsi a quelle rime che le riempivano il cuore. Ad alimentare , senza ragione alcuna, quella strana speranza senza futuro. Il suo mondo ormai era tutto in questa attesa. Maria non conoscerà i grandi onori e la fama che l’opera di Jemenz avrà perché, a causa delle gran pena che ebbe alla notizia della morte di lui, morirà poco dopo di crepacuore. Qualcuno sostiene che l’abbia fatto per non lasciarlo nemmeno per quell’ultimo viaggio, altri alzano lo sguardo al cielo e si lasciano scappare un dubbioso ‘chissà’.

 
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