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L'enigma del sigillo imperiale

Post n°619 pubblicato il 16 Febbraio 2015 da pedro_luca
 

.

L'enigma del sigillo imperiale

La porta a cui la luce conduce
Il mistero della vita introduce,
ch'è nella fonte l'andar alla foce.

Traccia XXXI

E’ già giorno avanzato ormai, quando arriva l’ordine di togliere la guardia ch’era stata montata alla nostra camerata. Finalmente possiamo uscire in cortile ed io respiro a pieni polmoni come se fossi appena risalito da una tomba.
Qui, a parte un crocchio di gente riunita davanti alla scala che porta alla torre, e una  presenza considerevole di guardie, sistemate un po’ ovunque lungo i camminamenti, non noto null’altro di anomalo. Anzi, a ben vedere, ora che la situazione pare tornata, se non alla normalità ad una stabilità, vien quasi da pensare che sia stato solo un brutto sogno, un equivoco oppure lo scherzo di qualche burlone.
“Hanno tentato di entrare nel palazzo ed ucciso il comandante Fuztel assieme ad una sua guardia. Pare che l’assalto sia stato respinto. Ora sono alla ricerca del  vecchio Astlet, il suocero di Trivulonte. Vicino al corpo dell’uomo d’arme ucciso hanno trovato un sandalo appartenente al vecchio artigiano.“
Basta questo breve riassunto, che un trafelato stalliere sta facendo ad alcuni scudieri, per rendermi edotto sulla situazione che si è venuta a creare. Capisco che il guaio c’è, e non ho idea alcuna di come potrà evolversi. So solo che ci sono dentro anch’io come lo è Aldobrando e tutti coloro che stanno entro le mura del castello. Chissà se al mio cavaliere verrà concesso un lasciapassare, oppure dovremo attendere anche noi che l’intricata vicenda abbia a dipanarsi, sia nel breve o nel lungo termine, prima che si giunga alla soluzione.
“Porcaccia.”
Mi sfugge un’imprecazione a voce alta perché son quasi certo che di tempo ne occorrerà parecchio, prima che le cose abbiano a normalizzarsi. Alla mia invettiva gli astanti si voltano interrogativamente verso di me, sui loro volti la sorpresa è pari allo sconcerto:
“Io devo andare dal mio compare che giace ammalato per riportarlo casa dai suoi.”
“E dov’è questo tuo compare ? Nell’ospizio del borgo?”
A rivolgermi la domanda è un uomo dall’apparente età matura, i capelli lunghi, unti e bianchi come la barba fluente che gli copre il volto scavato. E’ molto magro e veste una tunica chiara ed un mantello porpora. Se ne sta chino appoggiandosi ad un bastone lavorato con pregio, ha gli occhi semichiusi come fanno quelli che hanno il dono della vista consumato.
“Sta su, in montagna, in un eremo che dista da qui più di tre giorni di cammino a cavallo, a piedi penso che ne occorrano almeno il doppio perché ci sono parecchi monti da valicare. L’ho lasciato alle cure caritatevoli di persone pie e devote.”
“E’ in custodia da una comunità di monaci? Beh, allora non ti preoccupare oltre, non lo sai che nei monasteri il tempo non esiste?”
Nell’aria risuona una voce ridanciana:
“Il tempo non esiste perché non si vede.”
La frase, seguita da risolini sarcastici si leva dal gruppo di gente che nel frattempo si è radunato attorno a noi. Il vecchio risponde annuendo più volte:
“Si. Si. Il tempo non esiste per chi vive l’eternità.”
Il canuto non si volge nemmeno verso di loro, rimane fermo al suo posto e continua a fissarmi, almeno, a me pare che cerchi di farlo, perché il suo sguardo ha la fissità di chi non trova le immagini che sta cercando, mentre il tremore della sua mano sinistra, quella che non si appoggia al bastone, ma pende inerte lungo il fianco sembra rimarcarne l’insistenza.
Mi sento al centro dell’osservazione e non è quello che cerco perché avverto un forte  disagio, a trarmi d’impaccio è un giovane arruffato e vestito con gli indumenti degli addetti alle stalle, mi affianca e dà segno di conoscere bene il vecchio:
“Salute a voi, Orduil,”
Il saluto è accolto da alcune risatine di scherno :
“lo trovi dappertutto per il castello. A vederlo pare uno che faccia fatica a stare in piedi e invece te lo trovi dove meno te l’aspetti. A dire il vero lui ne sa di cose che riguardano le ordini delle confraternite, i monaci e gli scrivani. Ha fatto il buffalibro per tanti anni al servizio dei miniaturisti del monastero di fratello Marcus.”
Il giovane stalliere parla sorridendo ed i suoi occhi chiari fissano divertiti quell’uomo appoggiato al bastone. Il suo atteggiamento è intriso d’allegria ma non trovo tracce di malignità e nel tono della voce c’è una vaga leggerezza canzonatoria, tanto che sono indeciso nel credere se stia parlando seriamente oppure stia solo scherzando.
“A furia di soffiare la farina essicante dalle pagine scritte, a furia di asciugare le miniature dei libri si è convinto di aver respirato il sapere che è impresso su quelle pergamene. Povero vecchio Orduil, in tutti questi anni si è solo consumato gli occhi cercando di comprendere quello che uno come noi, gente che non sa leggere, è impossibilitato a fare. Eppure, strano a credersi, col tempo qualcosa gli è rimasto, anche se non sa comprendere la scrittura, ogni tanto gli scappa un po’ di quella sapienza. Può darsi che siano solo dei frammenti disordinati dei discorsi appresi dai  frati.”

 

 
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