DA PITAGORA A GODEL

Post n°16 pubblicato il 07 Novembre 2010 da handicapemental

matematica e conoscenza:
brevi cenni su un percorso di ricerca delle verità ultime

dal web

Pochissimo sappiamo di Pitagora e delle sue dottrine. Vissuto nel VI secolo a.c., si sa per certo che fondò a Crotone una comunità filosofica religiosa. Non abbiamo neppure un frammento di suoi scritti, pochissimi di suoi allievi o contemporanei. La quasi totalità dei testi che lo riguardano sono assai posteriori, riferibili a Platone ed Aristotele, quando non addirittura ai neopitagorici (I sec. a.c.- II sec. d.c.).

Difficile quindi farsi un’idea attendibile del suo sistema di pensiero: possiamo tuttavia ritenere con ragionevole approssimazione che egli fondasse una comunità iniziatica, di tipo aristocratico e assolutista, il “Sodalizio”, che instaurò un predominio politico teocratico, e provocò così una reazione che portò alla sua distruzione.
Alla base della cosmogonia pitagorica è la famosa affermazione “tutto è numero”.

La proposizione suona assurda ad orecchie moderne. Per comprenderne la portata è necessario immergerci nell’Ellade del VI sec. a.c. e nei suoi problemi. Uno di questi problemi, forse il principale, era : “che cosa è il mondo?”
Per rispondere a questa domanda, non più soddisfatta dalle cosmologie mitologiche sullo stile di Esiodo, si levò, uno dopo l’altro, una incredibile serie di ingegni.
Il primo fu Talete, che immaginò il mondo galleggiante sull’acqua, e l’acqua stessa come origine di tutte le cose.
Ma l’argomento non convinceva. Se l’oceano regge la terra, su cosa si regge l’oceano, si chiese il suo discepolo Anassimandro? La terra non si regge su nulla, propose, è semplicemente sospesa in equilibrio perfetto nell’απειρον, una entità infinita e indefinita, trascendente, da cui tutto ha origine.
Lo contestò Anassimene, suo allievo, secondo cui la terra si reggeva sull’aria (come un frisbee). Per lui, l’απειρον era troppo astratto non solo per reggere la terra, ma anche per spiegarla: era l’aria stessa - soffio vitale, spirito, πνευμα - a dare origine a tutte le cose, compresi gli dei.
E lo contraddisse anche un altro suo allievo, Pitagora, appunto. Da Anassimandro mediò l’idea di un principio astratto e metadivino (una specie di απειρον ) come origine del tutto: il numero. Ma spiegò anche che il mondo è composto di monadi. La monade (il numero ”1”) è indivisibile, è il punto dotato di esistenza fisica, è generatore di ogni grandezza (la serie infinita dei numeri, ma anche di tutte le cose che non sono
altro che punti aggregati in diverse strutture e quantità).
La τετρακτις simbolo iniziatico dei pitagorici,

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figura perfetta, sempre misurabile, uguale da qualunque lato la si guardi, è la somma dei primi quattro numeri, cioè dei quattro elementi, che diversamente combinati insieme costituiscono l’universo (la cui base è il numero 10 = 1 + 2 + 3 + 4).
La visione di Pitagora fu scavalcata per arditezza dal grande Eraclito, secondo cui tutto è fuoco, tutto è divenire, le cose sono un processo infinito, il famoso παντα ρει.

Contro Eraclito e i suoi predecessori si scagliò Parmenide: egli sostenne che ciò che è, è ; ciò che non è, non può essere ; quindi il nulla non esiste ; quindi il mondo è pieno ; quindi il movimento non esiste (è una illusione).
Lo scandalo sollevato da Parmenide fu rimediato da Democrito (V sec. a.c.), il creatore dell’atomismo, che potè affermare che esiste tanto il pieno (gli atomi) quanto il vuoto (lo spazio tra gli stessi) : e il movimento è dato dalle diverse combinazioni spaziali degli atomi.

Chiudiamo questo breve excursus e torniamo a Pitagora. E’ facile constatare quanto l’atomismo debba alla monade pitagorica; tramite l’atomismo, il pitagorismo è giunto fino a noi, dominando almeno fino all’800 la fisica.
Ma l’essenza del pitagorismo, l’identificazione della sostanza del mondo con l’aritmetica (ordine perfetto e misurabile), era destinato a crollare in tempi brevi, e proprio per mano dei pitagorici.
Infatti, la scuola si andava sviluppando su due binari paralleli: da un lato un rigido dogmatismo, basato sulla perfezione del sistema e sull’autorità del fondatore (pare che l’ipse dixit sia stato inventato dai pitagorici); dall’altro una intensa attività di ricerca e di studio volta a completare e scoprire la meravigliosa architettura matematica dell’universo. Fu così Filolao, il più illustre dei pitagorici della seconda generazione, a dimostrare, scoprendo i numeri irrazionali, che il numero 1 (la monade) non era indivisibile, né poteva essere considerato la misura e la base di tutte le cose. Il crollo del dogma fondamentale travolse il pitagorismo (e va ascritto a suo grande merito di essere stato in grado di produrre e riconoscere esso stesso la sua critica fondamentale). (Secondo un’altra tradizione, fu invece Ippaso, vivente Pitagora, a fare la scoperta. Fu messo a morte dal Maestro, incapace di accettare la nuova verità e il conseguente crollo della sua dottrina).


Perdendo il pitagorismo, tuttavia, il mondo perdeva la sua ultima grande cosmogonia, dato che l’atomismo era già più una teoria scientifica che una completa spiegazione dell’universo. Ci sarebbero voluti oltre 200 anni, un salto dal VI al IV sec., per ritentare un’impresa così grandiosa, un tentativo di spiegazione assoluta. La propose Euclide, partendo proprio da dove avevano fallito i pitagorici, dai numeri irrazionali, ovvero dal problema della diagonale del quadrato.
Noi conosciamo Euclide come l’autore degli Elementi, il primo e più longevo manuale di geometria al mondo. Fino all’ottocento fu anche il secondo libro per tiratura e diffusione, dopo la Bibbia. Ma gli Elementi erano ben altro che un manuale: stabilendo pochi principi (“di per sé evidenti”, gli assiomi), permettevano di dedurre da questi, in modo del tutto logico, un disegno dell’universo in cui tutto era conoscibile e decidibile, in cui tutto obbediva a leggi determinate. Il grande progetto pitagorico di dare all’universo un principio perfetto (e quindi divino) era riproposto, sostituendo all’aritmetica la geometria. Il suo successo fu tale che quasi 2000 anni più tardi Galileo diceva che Dio parla col linguaggio della geometria.
Euclide aveva creato una vera e propria cosmogonia, che aveva in comune con l’altro grande best seller, la Bibbia, non solo una spiegazione assoluta dell’universo, ma anche una base dogmatica.
Cosa altro erano, infatti, se non dogmi, gli assiomi ?

Nell’ottocento, la scienza occidentale, erede dell’atomismo e della teoria assiomatica euclidea, aveva ormai una così alta opinione di sé che riteneva possibile conoscere e spiegare tutto.
Ma, come il VI sec. a.c. aveva fornito le idee su cui si era costruito un mondo, il XX sec. d.c., quasi all’improvviso, stava sfornando le idee che rimettevano tutto in gioco.

Il dubbio in realtà partiva da lontano. Già Platone e Aristotele avevano ben chiara la debolezza di una teoria basata sugli assiomi, che non essendo dimostrati lasciavano aperta la strada a visioni alternative. Perciò molti matematici avevano tentato di dare una dimostrazione della verità degli assiomi, o almeno della falsità delle geometrie non euclidee. In quest’opera si erano impegnati soprattutto pensatori di formazione
dogmatica, come il famoso gesuita settecentesco Saccheri.
La loro visione della realtà mal si conciliava con la possibilità che potessero esistere non una, ma due o più verità: non solo perché ciò contrastava con la loro Verità Unica (fossero dogmatici religiosi o ateo-positivisti); ma soprattutto perché, se le geometrie non euclidee non potevano definirsi false, si sarebbe avuta la libertà di scegliere (o addirittura di non scegliere) la propria strada.

Ma tutti i tentativi in tal senso erano stati inutili; al contrario Bolyai, Gauss e Lobatschevskij, nella prima metà del XIX sec., e indipendentemente l’uno dall’altro, dimostrarono che una matematica non fondata sul quinto postulato di Euclide era perfettamente coerente. Non era migliore o peggiore, era semplicemente diversa, e a quanto pareva altrettanto valida.

Così si andava delineando la rivoluzione del XX sec. d.c.: lo sviluppo della geometria non euclidea; la nuova visione dell’uomo di Freud; la relatività ristretta e generale di Einstein; la meccanica quantistica; quindi il principio di indeterminazione di Heisenberg; infine
i due teoremi di indecidibilità di Godel.
Nel 1931 Godel dimostrava matematicamente che esistono dei teoremi che non possono essere dimostrati, cioè dei problemi a cui non può essere data risposta certa (1° teorema); peggio ancora, dimostrava che la base della nostra conoscenza matematica, la teoria assiomatica, è indimostrabile: cioè può essere vera o falsa, ma noi non siamo in grado di saperlo, di deciderlo (2° teorema):

“non esiste un procedimento costruttivo
che dimostri la coerenza della teoria assiomatica”

Così crollava la grande speranza, di Pitagora prima, di Euclide poi, di trovare una base solida e sicura alla nostra conoscenza, fosse l’aritmetica o la geometria, una certezza sulla strada della ricerca della verità.
Il secondo teorema di Godel riecheggia quattro versi, che furono scritti 2500 anni fa da Senofane, forse il più grande tra tutti i grandi del VI sec. a.c.:


“nessuno conosce o mai conoscerà la verità
circa gli dei o ogni cosa di cui parlo; infatti perfino se a uno
capitasse di dire la verità completa, tuttavia non lo saprebbe;
l’apparenza è impressa su tutte le cose”





 
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a sud di nessun nord 1

Post n°14 pubblicato il 29 Maggio 2010 da handicapemental

Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello chei nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni. E cancellaronoper sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marinesin Iraq. Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà distupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflittoetnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria,nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni voltache viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa). Ignoravo che,in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure dirittodi saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma. Eche praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi inAlgeria, Pinochet in Cile. Non sapevo che in Parlamento, a Torino, undeputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi alSud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila». Un altro preferìtacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire». E Garibaldiparlò di «cose da cloaca».

                Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo esenza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantánamo. Lìqualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noicentinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E,se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, dibriganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado diparentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a normadilegge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.


              Iocredevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldatiborbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paeseinvaso. Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello delKosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavanosulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio inEuropa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvimorire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (nonsi sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovieticadi Stalin.
                  Ignoravo che il ministero degli Esteridell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia,Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali eannientarli lontano da occhi indiscreti.
                   Nésapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricchebanche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino leposate),per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoniprivati.
E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.
                Nonsapevo che, a Italia così unificata,imposero una tassa aggiuntiva aimeridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud,fatta senza nemmeno dichiararla.
Ignoravo che l’occupazione delRegno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta daInghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria(detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).
Nésapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momentodell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo,dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso). E non c’era la“burocrazia borbonica”, intesa quale caotica e inefficiente: lospecialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine,riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, inuna relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modelloche presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quellofranco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unitàin avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche ecorporative»(Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).
Ignoravoche lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperatimeridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gliarmatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali cheandavano a “far la stagione”, per qualche mese in Svizzera.
Nonpotevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chistentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera,rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como.
Avevo giàesperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al Nord, ma non che, allesoglie del 2000, col resto d’Italia percorso da treni ad alta velocità,il Mezzogiorno avesse quasi mille chilometri di ferrovia in meno cheprima della Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871),quasi sempreancora a binario unico e con gran parte della rete non elettrificata.
Comepotevo immaginare che stessimo così male,nell’inferno dei Borbone, cheper obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi civollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni dicombattimenti, leggi speciali, stati d’assedio, lager? E che, quandoriuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso,scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)?

          Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere diessere italiano: «Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait» annunciòCavour al Senato.«Le Roi notre auguste Souverain prend pour lui-même etpour ses successeurs le titre de Roi d’Italie.»
Credevo al GiosueCarducci delle Letture del Risorgimento italiano: «Né mai unità dinazione fu fatta per aspirazione di più grandi e pure intelligenze, nécon sacrifici di più nobili e sante anime, né con maggior liberoconsentimento di tutte le parti sane del popolo». Affermazioneriportata in apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuitogratuitamente dai Centri di Lettura e Informazione a cura del ministerodella Pubblica Istruzione Direzione Generale per l’Educazione Popolare,dal 1964. Il curatore, Alberto M. Ghisalberti, avverte che, «a unsecolo di distanza (...), la revisione critica operata dagli storicipossa suggerire interpretazioni diversamente meditate (...) della piùcomplessa realtà del “libero consentimento” al quale si riferisce ilpoeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire.

          Scoprirò poi che Carducci, privatamente, scriveva: «A Lei pare unabella cosa questa Italia?»; tanto che, per lui, evitare di parlarne«può anche essere opera di carità». (Storia d’Italia, Einaudi).

            Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda di Garibaldi.
Nonsapevo nemmeno di essere meridionale, nel senso che non avevo maiattribuito alcun valore, positivo o negativo, al fatto di essere natopiù a Sud o più a Nord di un altro.
Mi ritenevo solo fortunato a essere nato italiano. E fra gl’italiani più fortunati, perché vivevo sul mare.
Amano a mano che scoprivo queste cose, ne parlavo. Io stupito; gliascoltatori increduli. Poi, io furioso; gli ascoltatori seccati:esagerazioni,invenzioni e, se vere, cose vecchie.
E mi accorsi chediventavo meridionale, perché, stupidamente, maturavo orgoglio per lageografia di cui, altrettanto stupidamente, Bossi e complici volevanoche mi vergognassi.
Loro che usano “italiano” come un insulto eabitano la parte della penisola che fu denominata “Italia”, quando Romariorganizzò l’impero (quella meridionale venne chiamata “Apulia”, dalnome della mia regione. Ma la prima “Italia”della storia fu un pezzo diCalabria sul Tirreno).
Si è scritto tanto sul Sud, ma non sembra siaservito a molto, perché «ogni battaglia contro pregiudiziuniversalmente condivisi è una battaglia persa» dice Nicholas Humphrey(Una storia della mente). «Perché non riprendi una delle tantepubblicazioni meridionaliste di venti, trent’anni fa, e la ristampitale e quale? Chi si accorgerebbe che del tempo è passato,inutilmente?» suggeriva ottant’anni fa a Piero Gobetti, Tommaso Fioreche poi, per fortuna, scrisse Un popolo di formiche. E oggi, uneconomista indomito, Gianfranco Viesti (Abolire il Mezzogiorno),allarga le braccia: «Parlare di Mezzogiorno significa parlare del giàdetto, e del già fallito».Perché tale stato di cose è utile alla partepiù forte del paese, anche se si presenta con due nomi diversi:“Questione meridionale”, ovvero dell’aspirazione del Sud a uscire dallasubalternità impostagli; e “Questione settentrionale”, di recenteconio, ovvero della volontà del Nord di mantenere la subalternità delSud e il redditizio vantaggio di potere conquistato con le armi e unalegislazione squilibrata. Dopo centocinquant’anni, questo sistemarischia di spezzare il paese. Si sa; e si finge di non saperlo, perchétroppi sono gl’interessi che se ne nutrono. Così, accade che la veritàvenga scritta, ma non sia letta; e se letta, non creduta; e se creduta,non presa in considerazione; e se presa inconsiderazione, non tanto dacambiare i comportamenti, da indurre adagire “di conseguenza”.

            I meridionali si lamentano sempre e i carcerati si dicono tuttiinnocenti. Il paragone non è casuale; nel bel libro Sull’identitàmeridionale, Mario Alcaro scrive: «Si può dire che è la difesa di unimputato, di un cittadino del Sud che cerca una risposta alle tantecritiche e accuse che gli son piovute addosso». Il pregiudizio (pre,“prima”) è una condanna senza processo. Sospetto che la sua persistenzaeviti, a chi lo nutre, un’ammissione di colpa. «L’uomo è un animalemosso in modo determinante dalla colpa» rammenta Luigi Zoja in Storiadell’arroganza. «Un sentimento di colpa può essere spostato, noncancellato.» E il Nord aggressore incolpa l’aggredito delle conseguenzedell’aggressione: rimosso il rimorso, se mai c’è stato.

          Noi meridionali conosciamo bene tutto questo: non ci indigna nemmenopiù; ci stanca: «Senti che la gente ti capisce male, che devi parlarepiù forte, gridare» spiegava Cˇechov. «E le grida sono ripugnanti.Parli a voce sempre più bassa, forse tra poco tacerai del tutto.» Frale urla dell’altro, ormai privo del freno della vergogna che lo rendevacivile.
Oggi, nuovi fermenti animano una ricerca di verità storica,non solo meridionale, che viene dal basso, più che dalle auleuniversitarie o dalla politica, dalle istituzioni. Non è facile capiredove questo possa portare; se a un revanscismo uguale e opposto alrazzismo nordista di Lega e collaterali, o a una comune crescita diconsapevolezza e conoscenza: un nuovo meridionalismo non solomeridionale (e sarebbe un ritorno alle origini, perché nacque nordico,specie lombardo), per ridare un’anima decente a un’Italia che l’hasmarrita, nel fallimento della politica e la sua riduzione a furiapredatoria di egoismi personali e territoriali. Temo, per il pessimismodella ragione e perché i segni vanno in quella direzione, che il peggioprevalga, proprio “per” e non “nonostante” i suoi difetti (è la leggedi Greg e Galton, che ricordo in Elogio dell’imbecille). Ma, perl’ottimismo della volontà, spero nel contrario (nemmeno il peggio duraper sempre; e anche i peggiori muoiono).

             Il Nord, visto da Sud, è Caino: da lì vennero quelli che, dicendosifratelli, compirono al Sud, a scopo di rapina, il massacro piùimponente mai subito da queste regioni (e sì che di barbari ne sonopassati). I musei del Risorgimento, nota Mario Isnenghi, nella suaBreve storia dell’Italia unita a uso dei perplessi, sono quasi tutti alCentro o al Nord. Il Nord è dove ho lavorato anni e ho amici, ed è casamia; come il Sud, dove sono nato; o il Centro, dove abito. Gl’italianivanno al Nord in cerca di soldi; al Sud in cerca dell’anima.
            All’esterosmettono di essere meridionali o settentrionali e diventano soloitaliani (indistintamente, nel pregiudizio altrui, geni e farabutti).

            Il Sud, visto da Nord, è L’inferno, titolo del libro di Giorgio Boccache nel 2008 ha scritto sul «Venerdì» di «Repubblica», non so quantoprovocatoriamente: «Sì, è vero, sono un antimeridionale... Passo perrazzista, e forse lo sono». Nessuno vi trovò da ridire: è o no il Sud,nella geografia, anche morale, il luogo del male? Del male senzapossibilità di redenzione: ché questo è l’inferno, congrua immagine del«paradiso abitato da diavoli», secondo l’Alexandre Dumas che accompagnòGaribaldi (e a che prezzo!) alla conquista e al saccheggio. Caino, alcontrario, è un’espressione più saggia e attenta alla verità, perchéCaino non è perso per sempre, a differenza di chi precipitaall’inferno: gli viene offerta una possibilità di riscatto, in un’altraterra. Anche se non la coglie. Né pare vogliano farlo, oggi, tanti cheancora godono del vantaggio ereditato da chi venne a sterminarci.Quando scrivo “i ettentrionali”, “i piemontesi”, non intendogeneralizzare (come avviene quando si parla di “meridionali”).

             Alcuni dei più grandi meridionalisti erano del Nord; e gli ascari chein Parlamento votano (dal 1861) contro l’equità per le regioni che lihanno eletti, sono meridionali. Il Sud è stato privato delle sueistituzioni; fu privato delle sue industrie, della sua ricchezza, dellacapacità di reagire; della sua gente (con una emigrazione indotta oforzata senza pari in Europa); infine, con un’operazione di lobotomiaculturale, fu privato della consapevolezza di sé, della memoria.

continua............

 
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a sud di nessun nord 2

Post n°13 pubblicato il 29 Maggio 2010 da handicapemental

Noi non sappiamo più chi fummo. Ed è accaduto come agli ebrei travoltidall’Olocausto (il paragone non è esagerato: centinaia dimigliaia,forse un milione di meridionali furono sterminati dalle truppe sabaude;da tredici a oltre venti milioni, secondo i conteggi, dovetteroabbandonare la loro terra, in un secolo): molti scampati ai lagercominciarono a domandarsi se il male che li aveva investiti non fossein qualche modo meritato. Quando il danno è intollerabile, cercare unacolpa, pur assurda, inesistente, che lo renda comprensibile (nongiustificabile), diventa una via per non perdere la ragione. Lo storicoEttore Ciccotti parlò di «una specie di antisemitismo italiano» neiconfronti degl’italiani del Sud. La Lega, espressione di unnazionalismo locale comico, se non fosse tragico, ne è lamanifestazione più sincera.
Ed è accaduto che i meridionali abbianofatto propri i pregiudizi di cui erano oggetto. E che, per un processod’inversione della colpa, la vittima si sia addossata quella delcarnefice. Succede quando il dolore della colpa che ci si attribuisce èpiù tollerabile del male subìto.
                  Così,laresistenza all’invasore, agli stupri, alla perdita dei beni, dellavita, dell’identità, del proprio paese, è divenuta“vergogna”. Solo ora,dopo un secolo e mezzo, le famiglie meridionali che ebbero guerriglierie patrioti combattenti cominciano a recuperare l’orgoglio dei propriavi, tutti etichettati come“briganti” dall’aggressore (naturalmente, ilfenomeno porta all’immeritato riscatto morale pure di chi era brigantee basta. Di malfattori ce ne furono altri: mafiosi arruolati daGaribaldi e piemontesi; ma vennero detti “buoni italiani”. Criminalenon è quel che fai, ma per chi lo fai). Un giorno calcolai quanti mieifamiliari, da parte di padre e di madre, sono emigrati (i pugliesifurono gli ultimi a partire): uno ogni due.
              Una miacugina, dopo sei mesi al Nord, tornò per le ferie estive (come alcunivolatili, il periodico riapparire degli emigrati annuncia le stagioni:li chiamavano birds of passage, “uccelli di passaggio”, nell’Americadel Nord; e golondrinas, “rondini”, in quella del Sud). Era cambiata:vestiva in modo più appariscente, esibiva un accento non suo, roteavastizzosamente le spalle, il mento puntuto e alto. Parlava malissimo deimeridionali, con astio rovente e ridicolo. «Ma cosa fanno di cosìterribile?» le chiese mia madre, incuriosita.
Lei tacque per lostupore, si guardò intorno, come a cercare una risposta. Era sorpresa,o ci parve, dalla stupidità della domanda: c’era bisogno di una ragioneper parlar male dei meridionali? Così, poverina, se ne uscì con unafrase, lei settentrionale da sei mesi, che la bollò per sempre, infamiglia:«Sporcano i monumenti». Come i piccioni; ma, per fortuna, nondall’alto. Cosa le fosse accaduto, lo capii molto più tardi.

          Uno dei miei migliori amici fu tra i primi arrivati della Lega Nord:abbiamo scoperto di avere la stessa passione per la vela, di averacquistato (prima che ci conoscessimo) le stesse barche, di avere unamoglie con lo stesso, non comunissimo nome, e di averla sposata lostesso giorno. Il mio amico si chiama (nooo!) Remo, i suoi nonni sonodi Benevento e di Matera; lui è vissuto a lungo in Argentina, poi èrientrato in Italia. Sua moglie è veneta, emigrata dal Polesine inFrancia (l’isola di famiglia, alla foce del Po, finì sommersa,confattorie e frutteti: da possidenti a naufraghi); poi è tornata inpatria, fra Piemonte e Lombardia.
Leghisti accesi entrambi, fino aquando il movimento non assunse connotazioni separatiste. «La Lega èpiena di meridionali e di figli di meridionali» mi spiegava Remo.«Sonoi più convinti.» Anche quella mia cugina è leghista.Perché? Chi emigra,abbandona una comunità e una terra che figurano deboli e perdenti emira a radicarsi in un altrove che appare forte e vincente: l’emigratonon appartiene più alla sua gente, e non ancora all’altra (così crede).In cerca di identità, non può che scegliere, lui sradicato e sospeso,la più forte. E questa sua nuova appartenenza è tanto più certa, quantomaggiore è la distanza che frappone fra ciò che era e ciò che vuoleessere (in La lingua degli emigrati, si legge che essi «rivivono nelpaese di arrivo la loro situazione di “dominati” in termini ancor piùdrammatici»; e vogliono uscirne. Si educano ad altro da quel che sono.Quando il carnefice ti toglie tutto, l’unico punto di riferimento cheti rimane è il carnefice. Lo imiti). Il settentrionale non ha bisognodi essere leghista; il meridionale al Nord non può farne a meno, se discarsa radice. Ed è il più attivo nel sostenere un’esclusione che nonescluda più lui, ma chi è come lui era. I prossimi leghisti saranno inipoti degli extracomunitari. «Ma dubito» avverte PieroBocchiaro,studioso di comportamenti psico-sociali alla VrijeUniversiteit diAmsterdam, «che quel che viene mostrato corrisponda a quel che si è.»Come dire: quello dell’emigrato che sposa nuovi costumi è un fare chenon corrisponde all’essere; un vivere doppio; non sempre consapevole.Serve rivangare vecchie storie? Non sono così vecchie da aver smesso difar male e produrre conseguenze: la storia di oggi è ancora quella diieri. La nostra fu interrotta e si può riannodarla solo nel punto incui venne spezzata. Non si può scegliere la ripartenza che piùconviene. Quel che gli italiani venuti dal Nord ci fecero fu cosìspaventoso, che ancora oggi lo si tace nei libri di storia e nelleverità ufficiali; si tengono al buio molti documenti che lo raccontano.Una parte dell’Italia, in pieno sviluppo, fu condannata a regredire edepredata dall’altra, che con il bottino finanziò la propria crescita eprese un vantaggio, poi difeso con ogni mezzo, incluse le leggi. Laquestione meridionale, il ritardo del Sud rispetto al Nord, non resiste“malgrado” la nascita dell’Italia unita, ma sorse da quella e duratuttora, perché è il motore dell’economia del Nord. Né una sostanzialee improbabile restituzione del maltolto riporterebbe le cose com’erano:perdita di fiducia e civiltà provocata nel Sud dalla potatura deimigliori, con le stragi e l’emigrazione, non è recuperabile in tempibrevi. Certi processi storici e sociali non possono essere invertiti acomando; quello economico forse, sì. Volendo.
Ma non si vuole.
            E i difetti dei meridionali, ne vogliamo parlare? No. Almeno qui, no,visto che del Sud si elencano sempre e solo quelli. Il collega LinoPatruno (Alla riscossa terroni) ne enumera trentadue; ha ragione ecredo si possa arrivare a sessantaquattro. Lo scopo di Patruno èonesto: indurre i meridionali alla responsabilità. Ma comincio a temereche su questo si sia tutti d’accordo; mentre i settentrionali siritengano esentati dal fare altrettanto. Così ho stabilito unapersonale moratoria: centocinquant’anni bastano; per i prossimidiciannove mesi, anzi ventuno, voglio sentire parlare solo dei difettidei settentrionali. Perché ogni pecca del Mezzogiorno devegiustificarne la discriminazione, la minorità, e ogni pretesa del Nord,persino sfacciatamente razzista, è intesa come diritto? Perché ognivolta che si parla dell’Italia duale si ignora il meglio del Sud e ilpeggio del Nord? E dire il meglio del Sud risulta non credibile, direil peggio del Nord è un affronto? «La memoria è di parte, come parzialeè lo sguardo su cui si fonda» rammenta Walter Barberis (Il bisogno dipatria). «Ma la truffa Parmalat vale, da sola, più che tutte quelle diNapoli, di tutti i tempi, messe insieme» dice il sindaco che rinnovòBari, Michele Emiliano. E passano come incidenti di percorso letruffe-latte difese dalla Lega, quelle colossali della sanità lombarda,dai Poggi Longostrevi alle cliniche della morte, gli sfrenati intrecciaffaristici di Comunione e Liberazione...
«La corruttela politicanostra non è male meridionale più che non sia settentrionale, e non èin essa che si deve cercare il vero carattere distintivo delle opposteparti d’Italia» (EttoreCiccotti, Mezzogiorno e Settentrione d’Italia,1898).
La Germania Ovest, già nei primi anni di riunificazione conla più povera Germania Est, spese, nei territori orientali, «una cifracinque volte superiore a quella che è costata in questi cinquant’annila vituperata Cassa per il Mezzogiorno» (Se il Nord,Agazio Loiero); eogni anno vi investe quanto gli Stati Uniti, con il Piano Marshall,inviarono dopo la guerra, per la ricostruzione dell’intera Europa. Eral’unico modo per far confluire la ricchezza dell’Ovest dall’altraparte, sino a pareggiare il livello, in vent’anni. Lì si volle; e il dipiù dell’Ovest non era stato rubato all’Est. Quando una differenza duracosì a lungo, si rischia di non attribuirne più le ragioni alle causeche l’hanno generata e la mantengono, ma all’insufficienza di chi lapatisce.
             Così, l’ignorante per ignoranza, il colto percattiva coscienza, il razzista per ignoranza e cattiva coscienza,trovano più comodo spiegare il sottosviluppo economico dei neri conl’inferiorità della “razza”. Lo si diceva dei lombardi, quando la lororegione era tenuta dagli austroungarici solo come area di consumo dibeni prodotti altrove. Il Nord era nella condizione di colonia cui fucondannato il Sud dopo l’annessione e il saccheggio: è quel «chel’economia capitalistica fa a’ vinti nella lotta della concorrenza»(ancora Ciccotti).
Anche allora si indagò sugli effetti, per nonriconoscerne le cause. E si cercò di capire perché il lombardo fossecosì incapace, inefficiente, «in una parola, nullo», secondo lasociologa Cristina Belgioioso, autrice dell’indagine sulla pochezza dei«padani» (fra i quali, Cesare Lombroso condusse la ricerca sul«cretinismo perfetto»): i Bossi, i Calderoli e i Gentilini non nasconodal niente. I “Lombardi”,come venivano chiamati tutti gli italiani delNord, erano giudicati dai francesi “vigliacchi e incapaci”. LaLombardia «era troppo piccola per alimentare un sufficiente mercatointerno di scambio, e troppo debole per praticare una politica diespansione industriale fuori dei suoi confini, qualunque fosse l’aiutodello stato» scrive Luigi De Rosa, in La rivoluzione industriale inItalia. «Non molto migliori risultavano le condizioni industriali delVeneto, e così quelle della Liguria.» Il Sud fu unito a forza, svuotatodei suoi beni e soggiogato, per consentire lo sviluppo delNord.                  Cominciarono allora a sorgere fermentifederalisti lombardi: «Quelli che parlano di uno “stato di Milano”, percontrapporlo al resto d’Italia» avvertiva Ciccotti, fanno l’errore dicredere «che Milano sarebbe divenuta qual è senza l’unità d’Italia»; e«hanno bisogno di dissimularsi le vere cagioni del male, per vivere de’frutti del mal di tutti, facendo della diversa lingua o del diversodialetto e delle diverse latitudini tante ragioni di dissidi». Viverede’ frutti del mal di tutti: fare stare tutti peggio, per star megliosoltanto loro, con la scusa del federalismo.
Si chiama rubare. Ed era un secolo fa.

            Rammentola conversazione con un collega che stimo, milanese pratico edi successo. Il tema, visto da Nord (lui), si riduceva a: «Invece dilamentarsi sempre, i meridionali potrebbero darsi una mossa»; e vistoda Sud (me): «Invece di continuare a spiegarsi il ritardo del Sud conl’insufficienza dei meridionali, il Nord potrebbe interrogarsi un po’di più sulle cause e non crearne di nuove». Mark Twain diceva che«siamo tutti esseri umani. Non è possibile essere qualcosa di peggio».Da noi, qualche tentativo di dargli torto c’è stato. Salimbene daParma, ricorda Barberis (Il bisognodi patria), stimava la viltà deimeridionali congenita, perché«homines caccarelli et merdacoli». E peruno dei fondatori del Partito socialista, il bolognese CamilloPrampolini, gli italiani si dividono in «nordici e sudici». Uno“scienziato”, poi, confermerà la correttezza della definizione, per«questi degenerati che abborrono l’acqua in terra e in mare, che nonpossono giustificare la loro immensa sporcizia colla immensa miseria incu iil destino li ha fatti nascere». E si capisce che, fosse stato luiil destino, non li avrebbe fatti nascere.

               Ma il destino non si cambia e persino lo si merita (o no?). Sorge ilsospetto che, dopo aver fatto l’Italia con il furto e il sangue,bisognava giustificare il modo. «In quegli anni» leggi in La razzamaledetta. Alle origini del pregiudizio antimeridionale, di Vito Teti«il dibattito sulla razza e sull’inferiorità del Mezzogiorno vennecondotto in una infinità di saggi, libri, articoli, interventi, ariprova di come esso non rispondesse a una moda, ma a esigenzeconoscitive, cariche di un’urgenza politica, sociale, culturale.» La“scienza” lombrosiana (nata da un soggiorno del suo fondatore di solitre mesi in Calabria: un genio da far impallidire Darwin) avrebbeportato alle attese conclusioni.
Così (in ritardo, ché mio padre nonmi aveva detto niente: o non se n’era accorto o volle risparmiarmi unavergogna di famiglia), appresi di appartenere a una “razza maledetta”;e seppi che era dimostrata, con «i fatti»,l’inferiorità «razziale,fisica e psicologica, sociale e morale degl’italiani del Mezzogiorno,rispetto agli italiani del Settentrione». Facevo veramente schifo e miera toccato scoprirlo da solo: era meglio quando, con i soldi di tutti,aprivano scuole solo al Nord (l’ha fatto qualcun altro, primadell’apparente ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini), perché,se i terroni imparano a leggere, possono farsi del male. Che ne sapevoio, di essere, in quanto meridionale, parte di una sottospeciedi«degenerati, barbari, degradati, ritardati»? E, in trasfertaall’estero, per emigrazione (e che altro, se del Sud?),solo«delinquenti»? Persino in presenza di genio, trattasi di «genialitàmalata o infeconda» (Pasquale Rossi).

               E un’intera regione, la Calabria, riassunto di tutto il Sud, potevaessere indicata come «luogo di epilettici-degenerati, di popolazionisuperstiziose, tendenzialmente, per caratteri razziali e temperamentoetnico,criminali». Come vi sentireste, voi, voi euganei, valdostani obrianzoli, o anche solo marchigiani, persino soltanto molisani, sescopriste una cosa del genere non prima, ma dopo aver sposato unacalabrese (ignari di indizi rivelatori, quali «la fronte declive eildiametro bimandibolare accentuato»)? Mettermi in casa una della regione«più odiata d’Italia»! E la poveretta di mia moglie mi avrebbe evitato,se avesse conosciuto lo “studio” che “certificava” (“scientificamente”,e si capisce) l’ozio, l’indolenza, l’apatia, l’accidia dei pugliesi?Per una parte non breve della mia vita, mi sono aggirato per questopaese, inconsapevole della classificazione craniologica, secondo laquale le teste dolicocefale del Sud erano chiaro indice di inferiorità,rispetto alle capocce brachicefale che testimoniavano la superioritàdei settentrionali. Di Borghezio, avete presente? O Renzo Bossi (tuttopapà suo), l’intellettuale che riesce a diplomarsi in appena quattrotentativi; dopo di che, per frenare la fuga dei cervelli dall’Italia ilNord l’ha incaricato di “vigilare” sul sistema fieristico lombardo. Imeridionali, per Massimo D’Azeglio, erano «carne che puzzava» (lastoria tace sul suo alito). Ma si è sempre i meridionali di qualcuno.Ed è un guaio,perché vuol dire che chi stila graduatorie finisce inquelle di altri. E perché si fanno le classifiche, a cosa servono?

          A degli studenti-cavia, volontari, si chiese di sopprimere, pigiando unbottone, esseri viventi, secondo una scala di prossimità biologica allaspecie homo sapiens sapiens. Era tutto finto: non moriva nessuno; maloro non lo sapevano ed erano convinti di uccidere, in un crescendoomicida, microbi, insetti, invertebrati, pesci, uccelli, serpenti,topi, gatti, cani, scimmie... Alcuni si fermarono agli uccelli; altritrovarono intollerabile accoppare gatti o cani, solo per unesperimento; ci fu chi rifiutò di proseguire solo quando gli fu chiestodi eliminare le scimmie; e chi eseguì anche quel comando. Unesperimento analogo fu compiuto con esseri umani nel ruolo di“vittime”. A studenti-cavie fu chiesto di infliggere scaricheelettriche sempre più pericolose. Erano fasulle, ma non lo sapeva chiazionò la manopola sino all’ultimo giro. La scienza, il progresso, laciviltà richiedono qualche sacrificio, e si trova sempre qualcunodisposto a farlo fare ad altri.

          Anche fra gli esseri umani sono state fatte graduatorie: schiavi,servitori e padroni; poveri e ricchi; negri, sangue-misti e bianchi;meridionali, terroni nordicizzati e settentrionali...
Di nuovo: acosa servono le classificazioni? Gli studenti cavia ci hanno dato larisposta: a stabilire chi deve soffrire o morire prima, “per il bene ditutti”(cioè di quelli che hanno deciso a chi tocca prima). Leclassifiche sono la giustificazione necessaria, perché questo avvengasenza rimorso, “per una buona ragione”. Napoleone Colajanni ricordavaquegli «antroposociologici che, per vedere progredire e migliorarel’umanità, vorrebbero distruggerne almeno una buona metà».

          Hitler ci provò. Ma quando avviò lo sterminio dei minorati mentali, laGermania insorse e persino la ferocia nazista dovette desistere per leproteste popolari. Le vittime designate erano minorati, ma ariani.Quando si fece la stessa cosa con gli ebrei e gli zingari, la Germaniatacque.

               Nella civile Treviso, un sindaco può proporre vagoni blindati perespellere gli extracomunitari, il loro uso come prede per i cacciatorilocali, la rimozione delle panchine dal centro, per impedire che sianocontaminate da terga extracomunitarie. E viene rieletto. Ma quandochiude lo stesso salotto cittadino ai cani domestici (e alle lorodeiezioni), la popolazione scende in piazza e protesta. Nella scaladelle dignità difendibili (o almeno delle sensibilità civili), Trevisopone i cani (e persino le loro feci, a doverla dire tutta) più in altodegli extracomunitari. Non è un’opinione; è un fatto: per Fido sisentirono offesi; per Abdul, non abbastanza. Le classificazioni sonogradini, indicano la direzione della violenza che le genera: dall’altoin basso. La quantità di violenza è proporzionale alla tenuta dellenorme del vivere civile. Se queste si indeboliscono, abbiamo visto conquanta facilità si passi dalle sparate comico-razzistedell’intellighenzia balcanica (poco o per niente dissimili da quelledei Bossi, dei Salvini, dei Calderoli, dei Gentilini) alla puliziaetnica.

              Il mio saggio amico Fulvio Molinari, giornalista e scrittore, ne hapaura:«Noi triestini l’abbiamo visto succedere alle porte di casa: chiabusa delle parole viene travolto dai fatti. Non si rendono conto».Epensate se, invece, se ne rendono pure conto... Trieste queste cose lepercepisce prima e meglio degli altri, per la sensibilità dellafrontiera. Paolo Rumiz si è mosso da lì per il suo viaggio fra leinquietudini del Nord; e, in La secessione leggera, riporta le paroledi un suo amico di Sarajevo: «Non è stato il fracasso dei cannoni auccidere la Iugoslavia. È stato il silenzio. Il silenzio sul linguaggiodella violenza, prima che sulla violenza».

              Le scritte«Forza Etna», «Forza terremoto» comparse nel Nord (e il cuiricordo commuove e inorgoglisce i leghisti della prima ora, con lamemoria degli eroici inizi) celano, sotto un’apparente esagerazionedialettica, un desiderio vero, profondo. Un desiderio criminale: agentea cui il vulcano distruggeva case, aziende o a cui il terremotouccideva i familiari, qualcuno augurava di peggio; e per questootteneva voti, consenso sociale. Vergogna per loro; e per chiconsentiva e consente.
Quella violenza è solo verbale, ma va nelsenso della classificazione, perché quando il Po uscì dagli argini,distrusse case, fece vittime o quando l’ictus paralizzò Bossi, nessunoal Sud scrisse sui viadotti dell’autostrada: «Forza Po» e«Forza ictus».La differenza fra le scritte leghiste e l’assenza di risposta puòessere in qualche millennio di storia in più (magari!), onell’accettazione del ruolo dei vinti (più probabile).

                     L’aggressione leghista ha indotto molti a sentirsi meridionali, ariscoprire la propria storia; che i settentrionali preferisconoignorare, un po’ perché credono di aver già capito quel che c’è dacapire; un po’ perché non gl’interessa sapere del Sud, che associano aun’idea di cultura inutilmente contorta, elaborata, improduttiva,perdente e pretenziosa (insomma, un misto di invidiuzza e disprezzo perquegl’«intellettuali della Magna Grecia» che sanno un sacco di cose chenon servono a niente); un po’ perché, nella ricerca di radici diverse edistanti, piuttosto che coltivare la ricchezza delle proprie, sitrastullano con la patacca della “cultura celtica”.
Comprensibilela “voglia di passato”, ma perché forzarne un aspetto per adattarlo aun desiderio del presente? Si rischia la caricatura, come il kilt, ilgonnellino degli scozzesi, che è un’invenzione folcloristica recente; oil «sole delle Alpi», quel fiore a sei petali, scelto dai leghistiquale loro simbolo, ma diffuso da sempre un po’ ovunque, eabbondantemente nel Mediterraneo: era già sugli scudi dei guerrieri diPuglia (però zona-Nord, eh?), più di tremila anni fa. Sciur Asterix dela Briansa, quello è il sole del Tavoliere! Ch’elvaga schisc anca (Civada piano pure) con l’avo barbarico: al Nord lasciò il nome a unaregione, mentre al Sud i suoi stati e le sue leggi nei tribunalisopravvissero ancora per quasi tre secoli, e con tale forza edestensione (parte della Campania, della Basilicata, della Puglia edella Calabria) che, nelle mappe dell’epoca, la“capitale diLongobardia” era Bari. Terun! Ma questo libro parla della costruzionedella minorità del Mezzogiorno, così, tanto vale dirlo subito: il purpiù duraturo stato meridionale di quei barbariche vennero acivilizzarsi in casa nostra passò alla storia con il nome di“Langobardia Minor” (e te pareva!).
«Quando non si vuol farequalcosa per capirla,» ha scritto Marco Paolini «si trasforma la storiain geografia.» E accettiamo che, contro il valore dei fatti, lageografia divenga comunque vincente, se segna Nord e comunque perdente,se segna Sud? E che la latitudine misuri il valore degli uomini, delleloro azioni, dei loro diritti? Ma non è esattamente questa l’essenzaunica, piena, del razzismo? Non è nella facilità di tale promessa ilsuo successo con gli stupidi e gli egoisti?

          «Le identità plurali sono percepite dai nazionalismi come altrettanteminacce» scrive Predrag Matvejevic´in Mondo ex e tempo del dopo. Espiega che è proprio nelle «nazioni venute tardi», come l’Italia, che«queste malattie di identità»colpiscono più facilmente.
IlSettentrione ne patisce, perché scellerate scelte politiche edeconomiche hanno (de)portato al Nord alcuni milioni di meridionali, coni loro dialetti, le loro diete, le loro abitudini. Per quanto essiabbiano cercato di assimilare nuovi accenti e costumi, i propri hannoinfluito su quelli altrui; sapori e amori si sono fusi, generando unmeticciato avvertito come minaccia per l’identità del Nord. La Lega,l’invenzione di riti celtico-padano-veneti sono furbate politiche pertrasformare in voti il bisogno di riscoprire radici e armarle dirazzismo («Decidemmo di sfruttare l’antimeridionalismo diffuso inLombardia, come in altre regioni del Nord» ammette lo spudorato UmbertoBossi nel Mein Kampf della Lega, il suo Vento dal Nord).

              E ne patisce il Sud, che ha meglio conservato il colore delle radici(indebolite dall’esodo, ma non stemperate da tradizioni diverse), purse nei comportamenti è stato indotto a rinnegarle, a ritenerlesuperate, scadenti, sconfitte. Come per gli ebrei convertiti a forza,gli è toccato sentire in un modo e agire in un altro. Finché, col tempoe le generazioni, quel sentire si è fatto flebile; salvo riaccendersi,per l’offesa, e proporsi “contro”. La tardiva scoperta di esseremeridionale mi ha rivelato un assurdo: i meridionali traggono il nomeda quel che gli manca: il Sud. E pure quando la geografia glieneoffriva uno (le infelici avventure contadine dei siciliani in Libia, inTunisia), la storia glielo ha negato. Il mondo dei meridionali ha unadirezione in meno: più giù di dove sono non si può andare, restando “acasa”. Il Sud porta con sé un’idea di gioia e di nostalgia; se la primaè data dal clima, dalla natura, l’altra (come accade, a volte, dopoun’amputazione) viene dal dolore dell’arto fantasma: fa male quello chenon c’è. Il Sud. Ed è una negazione pesante.
L’estremo lembo dialcune regioni,che il sentimento proprio e altrui percepisce “alconfine del mondo”, è chiamato, in Galizia come in Cornovaglia o inBretagna: Finisterrae. In Italia un posto così è in Puglia, a SantaMaria di Leuca: lì il mare si alza come un muro, a chiudere ildiscorso. La Puglia è un dito di terra lungo quasi quattrocentochilometri, ma largo poco più di trenta, verso Leuca. Significa che nonsolo ci manca il Sud (Finisterrae), ma altre due direzioni, l’Estel’Ovest, sono appena abbozzate. Si intuisce altro, da qui, a cui nonpensi se hai intorno un orizzonte completo e percorribile. Puòtrattarsi della direzione negata della vita.

              Un settentrionale può volgere gli occhi e cercarsi il futuro in ogniparte. Un meridionale, no: è costretto a guardare solo verso Nord:dalla storia, dall’economia figlia di quella storia, e persino dallageografia. In realtà, nemmeno il settentrionale ha davvero scelta; serinuncia al Sud, come quattro scriteriati vorrebbero, cade nella nostracondizione (ma in modo artificioso, falso, quindi sterile): quelladegli amputati. Mentre a noi tocca un arto fantasma che ti rendefertile (perché non è la tua volontà a privartene), a prezzo di undolore necessario: chi non raggiunge e comprende Finisterrae (la parteche manca) non sa il suo limite,

non sa quel che vale. E si vede.

a sud di nessun nord


 
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Tecniche di Disinformazione: Guida ai metodi più efficaci per ingannare, mentire e spargere notizie false (1)

Post n°12 pubblicato il 29 Maggio 2010 da handicapemental


Cos’è la disinformazione?In che modo i media riescono ad ingannare e mentire? Come possiamo faretu ed io per riconoscere le fonti fuorvianti? In questa guida H.MichaelSweeney svela le tecniche di disinformazione più efficaci per aiutartiad individuare le mezze verità. La disinformazione è un’informazione falsa o inesatta che viene diffusa deliberatamente. Certe volte viene chiamata anche con il sinonimo di Black propaganda.Può includere la distribuzione di documenti, manoscritti efotografiefalsificate, o la diffusione di pettegolezzi maliziosi einformazioni costruite a tavolino. La disinformazione non va invececonfusa con l’informazione falsa o inaccurata in modo non intenzionale.(fonte Wikipedia) La disinformazione viene realizzata in vari modi. Ecco alcuni esempi:

  • Una notizia di cronaca potenzialmente pericolosa puòessere ignorata dai mass media. La maggior parte delle persone credeche qualcosa che non è stato riportato dai media semplicemente nonesista.
  • Una notizia di cronaca può essere presentata come un’ “accusa priva di fondamento“,specialmenteda qualcuno che ha autorità. Le persone che godono di largo consenso oricoprono posizioni importanti in politica, economia o in ambitomilitare possono fare leva sulla loro reputazione per etichettare unfatto come falso e ridicolo.
  • Una copertura massiccia da parte dei media di un evento importante può creare una distrazione sufficiente per deviare l’attenzione della gente da un problema vero.
  • Una diceria che non viene né smentita né confermata può generare confusione e dubbi in un pubblico vasto.
  • Un individuo o un gruppo di persone possono essere costrette o pagate per fornire informazioni false che danno vita a false notizie di cronaca.

Adessoche ti ho presentato alcuni esempi di come funziona ladisinformazione,lascia che condivida con te qualche consiglio praticoper proteggerti dall’informazione fuorviante:

  • Chiedi:ponitisempre molte domande quando senti una notizia di cronaca. Da dove vienela notizia? E’ una fonte affidabile? C’è qualcun altro che ha riportatola stessa storia? Metti in dubbio ogni cosa e non dare nulla perscontato.
  • Verifica: cerca sul Web o parla coni tuoi amici e familiari di ogni notizia proveniente dai media.Potresti scoprire informazioni importanti che ti mostrino l’interavicenda sotto una luce differente.
  • Mantieni la tua posizione: non sottostimare mai le tue opinioni e non farti intimorire dall’autorità. Diffida delle “persone che sanno”chegettano sul tavolo le loro credenziali. Tutti hanno lo stesso livellodicredibilità finché non dimostrano di essere degni di fiducia.
  • Indaga:Faimolta attenzione alle notizie considerate troppo complesse darisolvere. Probabilmente non è stata fatta nessuna analisi dellavicenda e tu
  • stai utilizzando informazioni che non sono state verificate nè approfondite.
  • Focalizza:Nonprovare a dividere la tua attenzione su diverse notizie di cronaca.Scegline una e resta su quella. Poi passa oltre. C’è sempre una notiziapiù importante che richiama la tua attenzione che può distrarti dallatua indagine.
 Questi qui sopra sono soloalcuni esempi per aiutarti a pensare in modo diverso e sviluppare unatteggiamento critico verso le notizie che senti ognigiorno.Nell’articolo di H. Michael Sweeney chestai per leggere, troverai una bella lista di tattiche che gli artistidella disinformazione usano per ingannare, farti accettare le menzognee inventare di sana pianta notizie di cronaca. Per quelli di voi chenon hanno mai sentito parlare di Mr. Sweeney, lui è un esperto didisinformazione e un autore di libri. Inoltre gestisce il sitoTheProfessional Paranoid che rappresenta una valida fonte per trovaremateriale relativo alla sicurezza sul Web e alle questioni di privacypersonale. Ecco la guida di H. Michael Sweeney sui metodi didisinformazione più efficaci. Il contenuto che stai per leggere èaltamente machiavellico, domandati: chi si comporta così?

fonte spirito criti

 
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Venticinque Modi di Sopprimere la Verità: le Regole Della Disinformazione (2)

Post n°11 pubblicato il 29 Maggio 2010 da handicapemental

di H. Michael Sweeney Basato su Tredici Tecniche per la Soppressione Della Verità di David Martin,ilseguente articolo può essere utile per introdurre nel mondo delconfronto con le verità nascoste e le mezze verità, e la soppressionedella verità quando crimini gravi vengono analizzati nei forumpubblici. Questo, tristemente, coinvolge ogni giorno i media, che sonofra i peggiori responsabili come fonti di disinformazione.Laddove il crimine comporta una cospirazione, o una cospirazione pernascondere un crimine, ci sarà invariabilmente una campagna didisinformazione lanciata contro quelli che cercano di scoprire emostrare la verità e/o la cospirazione.

 

Ci sono tattiche precise che i maestri della disinformazione tendono ad applicare, come viene rivelato in questo articolo. Più una determinata parte rispecchiatali caratteristiche ed è colpevole di seguire le regole,più èprobabile che si tratti di professionisti della disinformazione con unospecifico motivo. La gente può essere comprata, intimorita, o ricattataallo scopo di diffondere disinformazione, così anche le “persone perbene” possono essere sospette in molti casi. Una persona razionalecoinvolta nella ricerca della verità valuterà quella catena di prove econcluderà o che i collegamenti sono solidi e decisivi, che uno o piùpassaggi sono deboli e necessitano di ulteriori accertamenti prima chesi possa arrivare ad una conclusione, o che uno o più collegamentipossono essere rotti, di solito invalidando (ma non necessariamente, segià esistono o possono essere trovati collegamenti paralleli, o se unparticolare collegamento rafforzava solamente la tesi, ma non sitrattava di un passaggio chiave) il ragionamento. Il gioco si basa sulsollevare questioni che rafforzino o che indeboliscano(preferibilmentefino al punto di rottura) questi collegamenti. E’compito di un maestro della disinformazione interferire con questevalutazioni…Quanto meno per indurre le persone a pensare che icollegamenti siano deboli o spezzati quando, in realtà, non lo sono… Oproporre soluzioni alternative che portino lontano dalla verità. Spesso, semplicemente incalzandoe rallentando il processo attraverso tattiche di disinformazione, unlivello di vittoria è assicurato perché l’apatia cresce con il tempo econ la retorica. Sembrerebbe vero in quasi ogni caso, che se qualcunonon riesce a spezzare la catena delle prove per una soluzione certa, larivelazione della verità ha trionfato. Se la catena viene spezzata o sideve creare un nuovo collegamento, o una nuova catena per intero, o lasoluzione non è valida e se ne deve trovare un’altra…Ma la veritàtrionfa anche in questo caso. Non deve vergognarsi chiha proposto o sostenuto una soluzione, una catena o un collegamentosbagliato, se lo ha fatto in buona fede cercando la verità. Questo èl’approccio razionale.
1) Elusione 2) Diventa Incredulo e Indignato3) Inventa Persone Che Diffondono Pettegolezzi 4) Utilizza un Fantoccio5) Distrai Gli Avversari con Insulti e Ridicolizzandoli 6) Colpisci eScappa 7) Metti in Dubbio le Ragioni 8) Invoca l’Autorità  9) Fai Fintadi Non Sapere 10) Associa le Accuse Degli Avversari Con VecchiAvvenimenti 11) Crea e Fai Affidamento su Una Via d’Uscita 12) GliEnigmi Non Hanno Soluzioni 13) La Logica di Alice Nel Paese DelleMeraviglie 14) Richiedi Soluzioni Complete 15)Adatta i Fatti aConclusioni Alternative 16) Fai Sparire Prove e Testimonianze 17)Cambia il Soggetto 18) Impressiona, Contrasta e Pungola Gli Avversari19) Ignora le Prove Presentate, Chiedi Prove Impossibili 20) Crea ProveFalse 21) Fai Appello a un Grand Jury, a un Procuratore Speciale, o adun Altro Corpo Investigativo Autorizzato 22) Costruisci Una NuovaVerità 23) Crea Distrazioni Più Grandi 24) Fai Tacere i Critici 25)Sparisci


Informazioni sull’autore
  H. Michael Sweeneyèun autore, editore e consulente specializzato in crimini dei servizisegreti, in tutela della privacy e sicurezza. Meglio conosciuto per Professional Paranoid una collana di saggistica su questi argomenti, ha anche pubblicato Fatal Rebirth,unaserie di romanzi in quattro volumi che esamina i legami fra terrorismoe i fantasmi apparentemente casuali del passato politico americano.Michael Sweeney scrive su Proparanoid.net.


fonte spirito critico

 
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