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Il Grillo parlante e l'economia

Post n°21 pubblicato il 29 Agosto 2008 da privato_pp
 

Riporto questo interessante testo, dal blog di Beppe Grillo visibile QUI. Incredibilmente, si tratta di un premio Nobel per l’economia che scrive ad un comico. A quanto pare, lo riteneva l'unico interlocutore possibile, il più serio. Notare la data: era il 25 Aprile 2006: da allora ne è passata acqua sotto i ponti, il caimano ha fatto a tempo a lasciare il comando alla sinistra (sinistra? si fa per dire) ed a tornare al comando. Nessuno, ripeto nessuno ha pensato di correggere una legge scellerata, che ha ridotto in schiavitù -e precaria- la maggior parte dei nostri giovani, ovvero tutti quelli che non hanno amicizie potenti in famiglia.

Governo Prodi, avevi numeri scarsissimi che ti impedivano un'energica azione di governo; ma ancora mi domando perché non sei caduto tentando di riformare la legge 30, oppure tentando di risolvere il conflitto di interessi, oppure tentando di diminuire la disoccupazione, oppure rendendo pubblica e non privatizzabile l'acqua potabile, oppure cercando di aumentare le pensioni, oppure di diminuire l'IRPEF, oppure..., oppure, genericamente, facendo qualcosa che si potesse definire "di sinistra" sensu lato? I singoli partiti componenti dell'Ulivo hanno quotidianamente tenuto condotte stupide ed autolesionistiche, tipo il presentarsi in TV per gettarsi fango addosso l'uno con l'altro? E' vero. I singoli parlamentari hanno denigrato pubblicamente le decisioni della maggioranza, sconcertando l'opinione pubblica e, ancora peggio, disgustando i loro stessi elettori? E' vero. L'opposizione, forte di innumerevoli giornali e di tre+tre televisioni ha rovesciato quotidianamente valanghe di fango e di menzogne sul governo? E' vero. Il governo sarebbe caduto ugualmente, ma almeno avrebbe mantenuto intatta la stima di coloro che avevano votato la coalizione, ed avrebbe sicuramente riavuto i loro voti alle successive elezioni. Forse li avrebbe addirittura incrementati.

Riporto di seguito il testo dal blog di Beppe Grillo:
La legge Biagi, o meglio la sua applicazione, ha avuto come conseguenza la precarietà e l’abbassamento degli stipendi insieme all’utilizzo di professionalità elevate: ingegneri, tecnici, informatici, per lavori di bassa o infima qualità.
Questo me lo avete detto voi, con le vostre testimonianze che riporterò nel libro: “Gli Schiavi Moderni” che sarà pubblicato entro l’estate su questo blog. Il libro sarà scaricabile gratuitamente o acquistabile nella sua versione cartacea.
Due, comunque, mi sembrano le modifiche da operare subito alla legge Biagi:
- aumentare la remunerazione per i precari rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato con una politica fiscale che sostenga il lavoro precario
- porre un tetto massimo alle imprese per l’utilizzo di precari, ad esempio il 10%.

Il premio Nobel per l’economia Joseph E. Stiglitz mi ha inviato questa analisi sul mercato del lavoro in Italia .
Belin, un premio Nobel che scrive a un comico!

“Caro Beppe,
dall'Italia mi giungono notizie allarmanti: la legge sul primo impiego viene ritirata in Francia dopo poche settimane di mobilitazione studentesca e da voi la legge 30 resiste senza opponenti dopo anni. Permettimi allora una breve riflessione Nessuna opportunità è più importante dell'opportunità di avere un lavoro. Politiche volte all'aumento della flessibilità del lavoro, un tema che ha dominato il dibattito economico negli ultimi anni, hanno spesso portato a livelli salariali più bassi e ad una minore sicurezza dell'impiego. Tuttavia, esse non hanno mantenuto la promessa di garantire una crescita più alta e più bassi tassi di disoccupazione. Infatti, tali politiche hanno spesso conseguenze perverse sulla performance dell'economia, ad esempio una minor domanda di beni, sia a causa di più bassi livelli di reddito e maggiore incertezza, sia a causa di un aumento dell'indebitamento delle famiglie.

Una più bassa domanda aggregata a sua volta si tramuta in più bassi livelli occupazionali. Qualsiasi programma mirante alla crescita con giustizia sociale deve iniziare con un impegno mirante al pieno impiego delle risorse esistenti, e in particolare della risorsa più importante dell'Italia: la sua gente.
Sebbene negli ultimi 75 anni, la scienza economica ci ha detto come gestire meglio l'economia, in modo che le risorse fossero utilizzate appieno, e che le recessioni fossero meno frequenti e profonde, molte delle politiche realizzate non sono state all'altezza di tali aspirazioni. L'Italia necessita di migliori politiche volte a sostenere la domanda aggregata; ma ha anche bisogno di politiche strutturali che vadano oltre - e non facciano esclusivo affidamento sulla flessibilità del lavoro. Queste ultime includono interventi sui programmi di sviluppo dell'istruzione e della conoscenza, ed azioni dirette a facilitare la mobilità dei lavoratori.
Condividiamo l'idea per cui le rigidità che ostacolano la crescita di un'economia debbano essere ridotte. Tuttavia riteniamo anche che ogni riforma che comporti un aumento dell'insicurezza dei lavoratori debba essere accompagnata da un aumento delle misure di protezione sociale.

Senza queste la flessibilità si traduce in precarietà.

Tali misure sono ovviamente costose. La legislazione non può prevede che la flessibilità del lavoro si accompagni a salari più bassi; paradossalmente, maggiore la probabilità di essere licenziati, minori i salari, quando dovrebbe essere l'opposto. Perfino l'economia liberista insegna che se proprio volete comprare un bond ad alto rischio (tipo quelli argentini o Parmalat, ad alto rischio di trasformazione in carta straccia), vi devono pagare interessi molto alti.

I salari pagati ai lavoratori flessibili devono esser più alti e non più bassi, proprio perché più alta è la loro probabilità di licenziamento. In Italia un precario ha una probabilità di esser licenziato 9 volte maggiore di un lavoratore regolare, una probabilità di trovare un nuovo impiego, dopo la fine del contratto, 5 volte minore e che fino al 40% dei lavoratori precari è laureato.
Ma se li mettete a servire patatine fritte o nei call center, perché spendere tanto per istruirli?
Grazie per l'ospitalità.”
Joseph E. Stiglitz

 
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