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CANONE, CLASSICO E DEPISTAGGI

Post n°65 pubblicato il 08 Novembre 2014 da Pallavicini74
 
Foto di Pallavicini74

Prendo lo spunto da quello che - a conti fatti - s'è rivelato un ingegnoso depistaggio perpetrato a danno di alcuni studenti dell'Università di Bologna (beghe secondarie, quisquilie da non gran momento) per riflettere a voce alta sul concetto di "canone". Volendo chiuderla in breve si dovrebbe asserire che il canone equivale ad un classico a cui si esprime la fiducia d'essere e rimanere tale. Prendendola da un punto di vista negativo - e partendo, stavolta, dal concetto di classico - occorre interrogarsi sul perché un classico cessa di essere tale; di più, occorre rendersi conto della discrasia tra un testo basilare, canonico, proprio in quanto classico, ovvero capace di rinnovarsi e di risultare attuale ad ogni generazione entrante, e un testo che, classico (e dunque canonico) un tempo, ha cessato, per svariati motivi di esserlo. In questo senso va intesa la mia affermazione iniziale: vi possono essere - vi sono sicuramente, ad ogni generazione - opere che non vengono più avvertite come classiche (perché non più in sintonia con la percezione del tempo), ma che sono state studiate negli anni della scuola poiché inserite entro una lista di testi canonici. Operata questa distinzione, invito ciascuno di voi ad immaginare la propria scaletta formante il canone letterario, almeno sotto specie di gioco. Per chi volesse addentrarsi più specificatamente nei meandri del tema, inevitabile buttare ogni occhio a disposizione, anche quello della mente, a critici - canonici - quali Curtius, Auerbach e - più affine al tempo attuale - Bloom, autore del fortunato testo Il canone occidentale. Vi renderete conto che trattasi di una discussione da cui non se ne esce, alla stregua del tifo calcistico o dei crismi estetici. Vi piacciono le/i bionde/i o le/i more/i? Preferite gli aurei o gli argentei? Le tre corone vanno ridotte a due? e quelle dell'800? e quelle del 900? Tutto è discutibile, anche se non tutto è plausibile. Certe scelte sono difficilmente difendibili, a meno che il canone non diventi un mare (non oggettivo) infinito da cui non c'è verso di vedere terre di sorta. Sostenere, ad esempio,  che il canto XVI del Purgatorio di Dante sia canone è abbastanza ardito, a meno che non si voglia allargare il canone ad almeno altri 20 canti altrettanto e più canonici; lo stesso dicasi per Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, opera fondamentale dal punto di vista cronologico, indubbiamente, ma non canonica, nè dal punto di vista dell'appeal verso il lettore, nè tantomeno dal punto di vista del nuovo e dell'unicità portata da Calvino nella storia della letteratura italiana ed europea, decisamente più rinvenibili nelle riflessioni saggistiche contenute nelle Lezioni americane e nei romanzi d'impronta combinatoria e legati alla teoria della ricezione (in questo senso Se una notte d'inverno un viaggiatore è il vero, grande testo canonico di Calvino). Ecco, adesso sapete il titolo che occupa la prima posizione nel mio personalissimo canone.

 
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