Creato da Pallavicini74 il 11/07/2014
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IL ROMANZO E LA STORIA

Post n°66 pubblicato il 19 Novembre 2014 da Pallavicini74
 
Foto di Pallavicini74

"Dove eravamo rimasti?". Risolti gl'insondabili problemi tecnici, si riparte da una domanda senza risposta - almeno per me - che sorge, una volta di più, dopo la lettura, talvolta noiosissima, del saggio Il romanzo e la storia. Percorsi critici, Palermo, :duepunti edizioni, 2007. Trattasi di una miscellanea di testi critici avente al centro la riflessione sul genere (per chi ne avvalla ancora l'esistenza) del romanzo storico. Docenti più o meno illustri, per la più parte provenienti da atenei siciliani, si dilettano nel fomentare o nell'attutire la rilevanza del genere "romanzo storico" rispetto alla narrativa, soprattutto ottocentesca. La domanda che campeggia - e serpeggia - una volta letti i contributi è la seguente: "è ancora frequentabile l'orizzonte della storia come materia narrativa?". Nel nostro piccolo, non stimando così centrata la questione posta dai saggi letterati, portiamo la faccenda su altre latitudini, e per farlo ci addentriamo per qualche momento nell'indice della miscellanea: vi possiamo trovare, oltre a contributi sulla tradizione più riconosciuta del romanzo storico (Ortis, Manzoni), anche deliziosi interventi riguardanti, che so, il Piero d'Orezza di Antonio Benci; oppure La presa di Palermo; o magari i romanzi storici di F. Milo Guggino, Giovanni d'Ondes Reggio. Sconosciuti ai più, quantomeno ai tanti, risultano talvolta indigesti persino ai poveri estensori del saggio, riconoscenti qua e là l'indiscussa mancanza di livello delle diverse opere. Eccola allora la domanda cui non finiamo di dare risposta, ben diversa dalle questioni di genere: ha senso, ha costrutto mettersi a fare le pulci ad opere, autori cancellati dalla storia letteraria, resi ben più che minori? Ci sarà un motivo per cui bisogna inscatolarsi, intrufolarsi nei recessi bibliotecari per scovare tracce di un dimenticato romanzo siciliano di metà '800? Vale davvero la pena approfondire tutto, anche quanto i contemporanei all'opera hanno tralasciato senza colpo ferire? o è unicamente una palestra di rifugio per le elucubrazioni accademiche di studiosi che preferiscono addentrarsi nelle minimalia di un signor Nessuno - addossandosi pure l'eventuale merito d'una riscoperta a futura memoria - piuttosto che fornire un contributo alla luce del sole di opere notevoli, rischiando di scomparire fra i tanti? Fregandocene amenamente delle megalomanie accademiche, confessiamo tuttavia che non se ne esce: specializzazione estrema e copertura totale di autori e opere risultano un progetto disumano, oltreché impossibile da portare a compimento; siamo nell'orbita della pervasione onnipresente del concetto di tecnica, ma lasciamo andare. La questione è: chi potrà mai avere la certezza che uno sconosciuto ai più, uno tralasciato dai suoi e anche dagli appena prossimi, non possa un giorno assurgere a classico? Certo, se nessuno se ne occupa, se lo si lascia alla deriva dell'oblio... ecco la prova a carico di chi difende l'importanza di studi così di nicchia, quasi di retroguardia. Dante mica l'hanno amato sempre allo stesso modo! E pensate agli alti e bassi che accompagnano il nome di D'Annunzio, Quasimodo... insomma, un bel saggio non si dovrebbe negare ad alcuno, vuoi mettere che poi salti fuori pure il momento della riscossa? Tralasciamo la preminenza data al mercato delle vacche, trascuriamo di buon grado l'obiezione di chi sostiene la morte cerebrale di un autore dopo svariati secoli di dimenticanza dello stesso...la verità è che non si trova una risposta definitiva, e non per darla vinta all'idealistico pensiero di uno spirito dei tempi che potrebbe rinsavire e rinvigorire autori ed opere da scantinato...d'altronde si potrebbe, per antanaclasi, rigirare la domanda: ma a te (me) chi l'ha fatto fare di leggere saggi su gente non pervenuta?

 
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