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« BATISTI / BOCCHIOLASALVATORE / CORNACCHIA »

BATISTI / BENN

Post n°73 pubblicato il 05 Dicembre 2014 da Pallavicini74
 
Foto di Pallavicini74

Secondo impareggiabile contributo dalla sontuosa penna di Roberto Batisti che, questa volta, si cimenta con uno dei suoi poeti cardine, il teutonico Gottfried Benn, dandone una interpretazione non avulsa dagli stravolgimenti storico - letterari del periodo. Prendiamone e gustiamone tutti!

 

Torino

 

"Cammino con le scarpe rotte"

scrisse questo genio universale

nella sua ultima lettera – poi

lo portarono a Jena – psichiatria.

 

Non posso comprarmi i libri,

li leggo nelle librerie:

appunti – poi a prender l'affettato: –

questi sono i giorni di Torino.

 

Mentre la nobile muffa d'Europa

di Pau, Bayreuth, Epsom si nutriva,

lui abbracciava due ronzini,

finché il padrone non lo trasse a casa.

 

Turin

 

Ich laufe auf zerrissenen Sohlen,

schrieb dieses große Weltgenie

in seinem letzten Brief –, dann holen

sie ihn nach Jena –; Psychiatrie.

 

Ich kann mir keine Büchen kaufen,

ich sitze in den Librairien:

Notizen –, dann nach Aufschnitt laufen: –

das sind die Tage von Turin.

 

Indes Europas Edelfäule

an Pau, Bayreuth und Epsom sog,

umarmte er zwei Droschkengäule,

bis ihn sein Wirt nach Hause zog.

 

Gottfried Benn, da Statische Gedichte, Arche, Zürich 1948 (trad it. Poesie statiche, a c. di G. Baioni, Einaudi, Torino 1972).

 

Il Benn che scrive questi versi nel 1938 non è più il truculento espressionista che dette scandalo con Morgue (1912); è un lirico che affida le sue sconsolate riflessioni al nitore di strofette dalle rime impeccabili, dove il pathos più cupo si fa cantabile. In questa rigorosa cura formale, questo "smalto sul nulla" sta, anzi, l'unica speranza di riscatto: lo stile ("lo stile è superiore alla verità, porta in sé la prova dell'esistenza").

 

Benn era anche fautore (si pensi al suo "Chopin", incluso nella stessa raccolta) d'una poesia ritrattistica (Porträtgedicht) o 'statistica', cioè quella composizione che attraverso un montaggio d'elementi biografici in istile spoglio, quasi cronachistico, lascia emergere i contorni d'una figura esemplare (solitamente, una grande personalità artistica o intellettuale) e della sua parabola esistenziale, meglio di tante insistite disamine psicologiche. Detta tecnica è impiegata qui dal poeta tedesco per darci un ritratto dell'ultimo Nietzsche, quello di Torino, quello al limite del crollo e della catastrofe nervosa.

 

È ormai noto che il Nietzsche – checché si pensi delle sue idee, le quali sono ormai precedute dai loro clamorosi e storici fraintendimenti – era, nella vita, tutt'altro che il superuomo da lui invocato; somigliava piuttosto a un prototipico inetto sveviano, un nerd occhialuto e sempre malaticcio, imbranato e immaturo, spesso comicamente ignaro degli usi di mondo e fallimentare nei suoi rapporti con uomini e donne. Eppure proprio questa disarmante goffaggine nella vita di tutti i giorni non è senza rapporti con la profetica e penetrante acutezza della sua riflessione filosofica (istruttiva in tal senso l'avvincente biografia di Massimo Fini, Nietzsche. L'apolide dell'esistenza).

 

Ben diverso era il Nietzsche idolatrato (e non capito; di solito, neanche letto) dai nazisti, presunto eroico araldo della razza ariana. Benn, ormai disilluso nei confronti del regime – che l'ha, peraltro, messo ai margini – alla vigilia del secondo conflitto mondiale ci dà non a caso un Nietzsche tanto derelitto ed emarginato (lui pure) nella vita quanto genio universale, grande e inascoltato. Grande perché inascoltato.

 

Schiaffo all'ideologia di cartapesta del Reich che aveva proibito la pubblicazione delle sue opere (Benn, com'è noto, si 'salvò' arruolandosi come ufficiale medico nella Wehrmacht) e rivendicazione del vero valore d'un pensatore per lui fondamentale, certo; e c'è qui anche il topos romantico del genio incompreso condannato dall'insensibilità dei contemporanei a una vita da bohémien fuori tempo massimo.

 

Ma certe risonanze sociologiche di questo testo, se tentiamo una lettura un po' diversa, lo fanno attualissimo anche per chi non fosse particolarmente interessato alla fin de siècle e alla filosofia della crisi.

 

Infatti, quanti giovani di buona istruzione umanistica, senza esser genii di livello mondiale (e neanche provinciale), possono oggi riconoscersi in questa miseria? Chi di noi non ha esperito esattamente questo, sfogliare nelle librerie volumi desiderati ma d'acquisto proibitivo? Chi di noi non teme segretamente di vedersi, un giorno, ridotto a quella follia che spingerà ad abbracciare, se non un cavallo (oggi più difficile a reperirsi) quantomeno, che so, un lampione?

 

Non serve, per questo, covare dentro di sé conflitti titanici, pensieri prometeici; il nichilismo è diventato, compiutamente, un fatto di massa. Democratizzato.

 

Benn, parlando dell'epocale crisi europea che le vibrisse sensibilissime d'un Nietzsche seppero anticipare già a fine '800, riesce – naturalmente al di là delle sue intenzioni – a parlarci della crisi d'oggi, e si ritrova – lui, lo sdegnoso reazionario – poeta del precariato (intellettuale, materiale, psico-affettivo, etc.).

 
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