Creato da Pallavicini74 il 11/07/2014
blog di e su poetesse, poeti e poetastri

Area personale

 

Archivio messaggi

 
 << Settembre 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
            1
2 3 4 5 6 7 8
9 10 11 12 13 14 15
16 17 18 19 20 21 22
23 24 25 26 27 28 29
30            
 
 

Cerca in questo Blog

  Trova
 

FACEBOOK

 
 
Citazioni nei Blog Amici: 1
 

Ultime visite al Blog

virginia.mastellarichiara5406fraparmimc.settimiangelatalaminiFRANCESCAELORENZOrobydm00vanivbillibottonnicoletta.giupponivladimiro.rinalditecaldisterparellilab79psicologiaforense
 

Chi puņ scrivere sul blog

Solo l'autore puņ pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 

 

« BATISTI / BENNCARDINI / UN MAESTRO INSOLITO »

SALVATORE / CORNACCHIA

Foto di Pallavicini74

Gradita sorpresa per il mio blog quella ricevuta da un giovane ma assai valente umanista - petrarchista, a dirla tutta - con la passione inveterata degli studi filologici. Tommaso Salvatore dipinge in poche righe una gustosa riflessione che prende in mezzo il concetto d'autore e di proprietà letteraria, i grandi mostri sacri della critica e questioni metodologiche affini. Buonissima lettura!

 

 

Di penne di paone e d'altre assai

vistita, la corniglia a corte andau;

ma no lasciava già per ciò lo crai

e a riguardo sempre cornigliau.

Gli aucelli, che la sguardar, molto splai

de le lor penne, ch'essa li furau:

lo furto le ritorn'a scherne e guai,

ché ciascun di sua penna la spogliau.

Per te lo dico, novo canzonero

che ti vesti le penne del Notaro

e vai furando lo detto stranero:

sì co' gli agei la corniglia spogliaro,

spoglieriati per falso menzonero,

se fosse vivo, Iacopo notaro.

 

Vat. lat. 3793, c. 146v

Vat. lat. 3214, c. 143v

 

Un po' di tempo fa, quando fu indetto il consiglio generale dei volatili, la cornacchia ci andò con addosso le belle penne del pavone e di altri uccelli variopinti. Ma non per questo pensò di camuffare il suo consueto verso, e, a differenza degli altri, continuava a gracchiare.

Gli uccelli la sentirono e la riconobbero, e non furono entusiasti che quella gli avesse rubato le penne. Il furto finì male, perché gli alati la spogliarono e si ripresero le loro piume...

Afferrata l'antifona, poetastro? Tu che usi le penne del Notaro e saccheggi le poesie degli altri:

come gli uccelli spogliarono la cornacchia, Giacomo da Lentini - magari fosse vivo! -, ladro imbroglione, ti spennerebbe!

 

Oddio, quante cose!

L'attribuzione: chi lo ha scritto? In alto dice "chiaro dauanţati": ma lo ha aggiunto qualcun altro dopo, e magari avrà scritto un nome a caso di uno che gli stava simpatico. E a chi è diretto? Chi è che ruba le parole a Iacopo notaro, Giacomo da Lentini? Fervido lentiniano è Bonagiunta, e infatti il Vat. lat. 3214 rubrica proprio «Questo mandò maestro Francesco a ser Bonagiunta da Lucca».

Le fonti: l'antico apologo della cornacchia (già in Esopo e Fedro). Menichetti sciorina un nutrito regesto di medievaloidi a me ignoti di cui mi piace riportare quidam Walter l'Inglese, perché sembra il nome di un vichingo di Asterix e Obelix.

Una questione "antropologica". Qui si accusa uno di essere un plagiario: di rubare i versi agli altri e scrivere poesie con parole altrui. Ma... esisteva il plagio nel Medioevo?! Ma nel Medioevo fanno poesie tutte tali e quali, Madonna vi dico qua, lo fino amore di là! E poi hanno il coraggio di venirsi a dire non mi copiare? Pensare che fino alla settimana scorsa dicevamo che la poesia dei trovatori è una poesia di forma, di cui il pubblico auscultava e riconosceva le modulazioni minime, le variazioni impercettibili rispetto a un contenuto che è pre-confezionato, sempre uguale e replicabile ad libitum.

 

Ma parliamo d'altro. In certi canzonieroni di lirica trecentesca (Redi 184 e BNC II IV 114, per gli appassionati) circola sotto il nome di Dante un sonetto rinterzato analogo, dallo stesso tema. Dice «Quando il consiglio tra gli uccei si tenne [...] la cornacchia maliziosa e fella [...] da molti altri uccei accattò penne [...] tutti gli altri uccei le fur dintorno [...] la pelar sì ch'ella rimase ignuda», etc. Ma ci vedete voi il Sommo Poeta, col suo faccione incollerito livido, che ce l'aveva a morte col papa e tutto l'ambaradan, che si mette a scrivere le poesie sulle cornacchie? E infatti nell'edizione Contini delle rime di Dante Quando il consiglio tra gli uccei si tenne figurava ultima fra le dubbie, laddove il criterio di ordinamento delle dubbie era dalla più plausibile alla più impensabile: dunque la più impensabile fra le impensabili. La cornacchia, con buona pace del travestimento dantesco, veniva ridimensionata nei suoi sogni di gloria, e più realisticamente attribuita sive sbolognata al sorridente canterino Antonio Pucci, che dal canto suo ringraziava cordialmente.

E invece ecco che sessant'anni dopo, con la nuova edizione critica delle rime di Dante in preparazione, De Robertis tirava fuori riscontri e riscontri a favore dell'autenticità del sonetto in un contributo significativamente intitolato «Riabilitazione di una cornacchia». Il sonetto appartiene a Dante. Uccelli che l'avete spogliata: prendete e portate a casa.

Io, che modestamente oramai un po' di esperienza in campo filologico ce l'ho, mi sento di poter avanzare una personale soluzione al problema, ed è questa. Fosse stata furba, la cornacchia anziché fra gli uccelli si sarebbe imbucata fra le rane. Hai voglia a dire CRA CRA CRA, l'avrebbe fatta franca.

 

 

 

 
Condividi e segnala Condividi e segnala - permalink - Segnala abuso
 
 
Vai alla Home Page del blog
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963