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BATISTI / ZEICHEN

Post n°76 pubblicato il 12 Dicembre 2014 da Pallavicini74
 

Aveva promesso il Batisti che sarebbe tornato su certe argomentazioni belligeranti; lo fa con una ancora più lucida analisi del magistero poetico di uno fra i poeti più in vista nel poco che propone l'italico genio di questi tempi; lo fa da par suo, con sagacia e puntiglio, mettendo bene a fuoco quanto di buono rinviene nei versi e, talvolta, quanto non convince appieno nella visione del mondo proposta, nel caso specifico, l'eccessivo carico ironico che, a detta del Batisti, pone troppo in lontananza il tragico dei fatti. Lascio dunque ancora spazio alla sua forbita penna e alla fregola dell'avido lettore. Dico solo - sommessamente - che capita, nella democrazia delle lettere - di concordare con l'analisi ma non con il giudizio finale: questione di punti di vista e, come sempre, di weltanschauung. Questa volta mi tocca dissentire dal pur lucido finale: accade talmente di rado con la penna e il pensiero del Batisti ( si sarà inteso, uno dei pochi contemporanei che vale sempre la pena leggere ) che , una tantum, vale la pena sottolinearlo.

 

 

Il rovescio del decadentismo

 

L'estro del Führer ideò

l'eroe romantico di massa.

Aprendo le gabbie degli uffici

e delle lugubri fabbriche

avviò i tedeschi al palcoscenico

nei vari teatri di guerra.

Gli interpreti ambiziosi

non dovevano aspettare molto

il momento del debutto, i ruoli

si liberavano quotidianamente

nel corso dei duelli fra mezzi corazzati

che offrivano gloria ai veri talenti.

Un lontano ricordo del Luna Park,

una buona mira al tiro a segno

poteva salvare la pelle, e

fatto centro, il suono del carillon

annunciava in premio

una scimmia di peluche

che batte i piatti.

 

Guerra araldica

I

Gli appetiti delle nazioni

si risvegliano quando

l'espressione geografica

di alcune di queste

appare alle altre conforme

a un taglio di carne.

Sulla carta, Cecoslovacchia e Polonia

parevano bistecche di manzo;

la prima, di costa;

la seconda, di lombata.

Perciò Lord Chamberlain

valutò molto rischioso

contenderle al ringhioso Führer

che le aveva addentate

rompendo un patto d'astinenza.

Voleva tenere alla larga

dalla guerra imminente,

l'Inghilterra e le sue colonie

e senza l'ausilio di parole

indurre il famelico Hitler

alla caccia dell'orso russo.

 

Il rullo compressore

delle panzer Divisionen

stese sulla Francia

una carta da parati

decorata di croci uncinate,

ricoprendone le risorse.

[]

 

 

Valentino Zeichen, da Gibilterra (1991), ora in Poesie 1963-2003, Mondadori, Milano 2004.

 

 

 

 

Valentino Zeichen si è voluto eternare nel bestiario della poesia italiana come archetipo del dandy, maestro di leggerezza e di svagata arguzia, cesellatore un po' seriale di fini epigrammi dove una brillante trovata intellettuale si sposa a una certa malinconia e sensualità di fondo. Un modus operandi non così dissimile da quello del più giovane Magrelli (che rispetto a Zeichen pencola un po' più sul versante dell'intellettualismo, meno su quello del gioco); e con lui condivide, mutatis mutandis, il principale limite, che è una tendenza a fare di questa sua posa, elegante e scettica, il contenuto tutto della sua poetica, e di liquidare ogni occasione (in senso tecnico-montaliano) con agudezas a bassa intensità cognitiva che, per rifarsi alla terminologia degli antichi retori, rischiano forte il peccato di ψυχρότης, che sarebbe poi – letteralmente – la freddura.

 

In Gibilterra, un'intera sezione è dedicata alla seconda guerra mondiale, osservata tramite la sua solita lente ludico-concettosa di cui s'è detto.  Confesso che, della sua vasta produzione (in questo poeta vige infatti una sorta di proporzione inversa tra la callimachea esilità dei singoli componimenti e la fluviale quantità delle pubblicazioni), questa sezione è per qualche ragione quella che meglio s'è impressa nella mia memoria di lettore. Non sono probabilmente gli esiti più rappresentativi di Zeichen; ma ne illustrano bene pregi e difetti, e tematicamente mi consentono un raffronto col testo di Bocchiola che ho già analizzato su questo blog.

 

I pregi, dicevo: a livello immediato, superficiale, mi riesce irresistibile la chiusa cartoon della prima poesia; e nella seconda, la cui parabola formale è pure meno netta, più sbrodolata (ne ho omesso l'ultima parte, anche per ragioni di spazio; ma si noti già il calo di tensione, la qualità alquanto zeppastica dei vv. 11-21), l'immagine delle bistecche, e poi quella calata dei panzer sulla Francia, con una comica immediatezza, un'iconicità davvero da videogioco.

 

In qualche modo scatta qui lo stesso procedimento che rilevavo – molto più sommesso, anzi appenna accennato fra toni ben più cupi – in Bocchiola: il tocco leggero e surreale con cui un'immane dramma storico è ridotto a stralunata rissa di burattini, oltre a divertire epidermicamente per la dinoccolata brillantezza dell'immagine, offre implicitamente una mesta riflessione sulla gratuità davvero fumettistica di certi lugubri fenomeni come dittature e guerre, sullo iato abissale tra la sconsiderata levità dell'agire umano, in ispecie di chi ha l'occasione di muovere una qualche leva di potere (a qualsiasi livello), e il fango le lacrime il sangue di cui le aeree manovre da lui sognate si sostanziano praticamente. Non so poi se è da questa fugace coincidenza nell'angolatura dello sguardo che sgorga fra i testi dei due poeti anche l'affinità di certi campi metaforici (imperi e nazioni come carne viva, contesa sotto denti e ferri chirurgici).

 

Di (molto) meno, rispetto al testo di Bocchiola, c'è appunto il dramma – il fango le lacrime il sangue – che forse sono qui dati per scontati, e certo non convengono all'ispirazione zeicheniana; resta solo l'ironia, cioè lo scarto fra la levità di certe formulazioni e l'immanità dei loro referenti, che là era una nota fra le tante, qui l'unico ingrediente (e quindi, in quanto tale, esibito in modo sin troppo scoperto). Sicché il gioco, quando pure funziona, ha vita breve. E direi che, nonostante tutto, funziona proprio perché la vacuità estetizzante di questo fraseggio mima e riproduce quella dei belligeranti stessi di cui si narra. Non è tanto che Zeichen, alla ricerca del Witz estroso, veda fantasiosamente le battaglie come un tirassegno demente, le nazioni come bistecche da addentare; è che il Führer stesso e i suoi generali, come poi i conquistatori d'ogni tempo, le vedevano così, quando posavano gli occhi sulla carta geografica come se fosse il Risiko.

 
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