« 28 luglio 2010 | 1956 » |
Nella bottega da barbiere di Amedeo, ubicata alla Punta Bianca di fianco alle scalette, gli affari vanno a gonfie vele: di barbe e capelli da radere c’è abbondanza, tra confinati, militi, indigeni. Ma nel 1938 Ponza cessa di essere terra di confino ed è la crisi; Amedeo emigra, va a lavorare come cuoco nelle mense di fabbrica al Nord, ed affida pennelli e rasoi a Biasiello.
Amedeo scalpita, vuole tornare al suo scoglio, vuole percorrere il corso cento volte al giorno seguito dalla indolente e fedele Diana, la cagna.
A Ponza, in piazza, c’è l’unica bettola del paese, ZìCapozzi; Amedeo rileva la licenza di commercio del negozio di alimentari Ferraiuolo ed apre il suo ristorante, al numero 13 di corso Pisacane. Negli anni cinquanta e sessanta i primi vippissimi turisti sono clienti fissi dell’Aragosta; l’avvocato Agnelli è un habituè dunque non è con Amedeo che potrebbe svolgersi il celebre, stracitato episodio.
Anna, figlia di Amedeo, con la solita gentilezza racconta come sono andate in realtà le cose.
L’avvocato entra, si guarda intorno ma in quel momento Amedeo non c’è; chiede a Ciccio, il genero, di prenotare un tavolo ma la risposta è che non ci sono posti.
Il pittore Tarchetti chiama Ciccio al suo tavolo e lo rimprovera: “Ma tu hai capito chi hai mandato via? Quello è l’avvocato Agnelli”.
E Ciccio: “Eh, agnelli, piecuri…Se il posto non ci sta, non ci sta!”
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