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Natale a Ponza con nonni e fratelli-1963
Al mercato mi sono presa mille Auguli, bela signola; l’unica ricevuta fiscale me l’ha rilasciata Nousouf , orgoglioso, solenne come un notaio, più bello e giovane di qualsiasi notaio.
A Ponza ho trascorso un solo Natale da piccola, doveva essere il 1963. Non ricordo niente, ma sono sicura che fu stupendo, mio nonno non era un bevitore e si ubriacava di nipoti e di feste.
Un poco di Natale di Ponza mi arrivava però ogni anno, racchiuso in certi teneri pastori di terracotta color pastello che Genoveffa mandava in regalo.
Tanti anni dopo sono tornata a Ponza nel periodo natalizio, era un ritorno di necessità e non di festeggiamenti; il gelo non era solo nelle strade e nell’aria, era negli sguardi una volta cari che ora sfuggivano, era nelle separazioni e nei tagli di cordoni ombelicali che sono sempre dolorosi anche se necessari ed inevitabili, era nelle tante trappole che vedevo disseminate intorno. Non era il piumino a darmi calore, era il mantra che mi ripetei incessantemente ‘il nonno sa come devono andare le cose, il nonno sta guardando.’ Mio nonno non c’era più da decenni ma aveva sempre seguito il cuore, non poteva sbagliare, ed infatti non sbagliò.
Me lo sentii vicino fino a quando il traghetto non uscì dal porto e si lasciò alle spalle prima Gavi, poi Zannone.
I miei Natale da bambina erano a Lacco Ameno; nelle strade giocavamo a nocelle e sette, gli zampognari facevano il giro delle edicole votive all’alba, non passavano per le case. Nel freddo e nel silenzio delle prime ore del mattino si formava dietro di loro una processione sempre più affollata di bambini appena usciti da sotto le coperte, quelle novene erano un prolungamento dei sogni appena interrotti. Non ricordo altro di quei Natale perché niente di più magico e poetico di quelle novene poteva esserci.
Tornavamo sotto le coperte ancora per poco, giusto per riprenderci dal freddo penetrato nelle ossa, grati per il tepore del letto, tristi al pensiero di quei poveri zampognari ancora in giro nel gelo.
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