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Post n°84 pubblicato il 08 Settembre 2016 da angi137
Muriel Barbery Vita degli elfi Traduzione di Alberto Bracci Testasecca Edizioni e/o 2015
Non è molto facile definire che cos'è questo libro. Forse è più semplice dire che cosa NON è. Prima di tutto non è un libro semplice. La scrittura si allarga in continuazione come gemmando da un albero che cresce sotto i nostri occhi e ci richiede di seguirlo nelle sue evoluzioni fino ad una serie di magnifiche e inaspettate fioriture. Poi non è il classico fantasy con le sue razze canoniche, elfi-nani-uomini-orchi: qui i confini sono molto più sfumati e gli elfi sono parte di un mondo naturale quasi indifferenziato, dalle forme che fluttuano e si mescolano con gli animali, i vegetali, la terra e le acque. Per ammissione della stessa autrice sono stati concepiti in Giappone, e questo qualcosa vorrà pur dire... Poi l'immagine del ponte rosso che ricorre spesso rimanda ad un tipico ponte in un giardino giapponese, o, se si vuole, alle ninfee di Monet. Non è un'epica eroica, sebbene di eroismo ce ne sia, e molto. Non è la classica lotta fra il bene e il male, nonostante la canonica battaglia fra i buoni e i cattivi. Non è un intrigo rinascimentale, sebbene ci siano anche elementi di "politica", alleanze e tradimenti. La battaglia stessa non è propriamente uno scontro di eserciti, ma più un turbinare di elementi naturali, sensazioni e immagini, eppure i suoi effetti sono devastanti e, insieme, esaltanti. La storia comincia in sordina con la vita di due bambine: Maria e Clara. Maria vive in un villaggio della Borgogna, dove la durezza della vita è temperata appena dalla incrollabile fede dei suoi abitanti. Clara vive in un villaggio degli Abruzzi, una vita altrettanto povera, ma presto si sposta a Roma, nei salotti della buona società fra la musica e le arti raffinate. Questi due mondi che sembrano in antitesi si uniscono in un legame indispensabile. Come dire che l'arte e la natura sono alleate da sempre. Le vicende delle due bambine dipanandosi lentamente coinvolgono altri singolari personaggi, in un'altalena di flashback e piani narrativi apparentemente quasi banali, finché esplode la catastrofe. Indimenticabili le solide comari borgognone, l'avvinazzato e soave Petrus, il gentile Padre Françoise, l'ilare Gégéne. Indimenticabili certi paesaggi dal sapore di sogno. Il finale aperto rimanda ad un prossimo libro, ma potrebbe anche finire qui perché tutte le cose importanti sono state dette e fatte e ciò che resta, la guerra, non è mai una bella cosa.
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