...a cura di...Leonardo Salimbeni: " Ho cercato le tante notizie ed informazioni presenti in diversi siti internet, per far conoscere ai navigatori cosa può offrire la mia terra." NUMERI UTILI
Informazioni
MUNICIPIO di PRECI tel. 0743/99126 tel. 0743/99485
CARABINIERI di Preci tel. 0743/99124
Comunità Montana Valnerina tel. 0743/816938
PARCO NAZIONALE DEI MONTI SIBILLINI tel. 0737/95526 Area personale- Login
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IL CASTELLO DI PRECIOriginariamente Preci era un piccolo villaggio rurale sulla sinistra del torrente Campiano, vicino ad un oratorio benedettino, il quale probabilmente deve avergli attribuito quel nome, e già menzionata nel Dialogorum Libri del 594 d.C. , scritto da San Gregorio, per la presenza di numerosi eremi prebenedettini. Nel 1232 lo troviamo citato in documenti d'archivio e probabilmente il primo nucleo abitativo che sorse nei pressi di un Oratorio Benedettino assunse il suo nome da Preces, cioè preghiera. Fu nel XIII secolo che a sua difesa sorse il Castrum Precum distrutto nel 1328 da un violento sisma. Alla fine del XIII secolo, in seguito alla prima invasione francese che diede vita alla repubblica romana cui fece seguito una nuova ripartizione territoriale, Preci fu inserito nel comune di Visso. Successivamente passò sotto il dominio di Spoleto e poi di Norcia, ma gli orgogliosi castellani si ribellarono, e come reazione il castello venne distrutto nel 1528 e i fautori della ribellione furono relegati a Castel Precino, l'attuale Castelluccio, alle falde del Monte Vettore. Nel 1533 fu ricostruita per volere di Papa Paolo II e l'insediamento assunse un aspetto elegante grazie a chirurghi di chiara fama che diventati assai facoltosi eressero bei palazzi commissionandone la costruzione a maestranza lombarde. Solidi edifici in pietra dalle linee sobrie e severe, eleganti portali sormontati da stemmi, ricordano lo splendore di questo piccolo centro montano nel XVI secolo quando praticavano la propria arte "chirurgici abili di cavar pietra e cateratta", fra i quali molto noti furono i numerosi componenti della famiglia Scacchi, il cui nome indica tuttora il quartiere dove era la loro abitazione. La ricostruzione per volere papale avvenne dopo che il castello aveva acconsentito a fare atto di sottomissione a Norcia. Nel 1809 i territori pontifici ridotti a Lazio e Umbria furono annessi all'impero e Preci fu elevato a grado di mairie (comune). Il nuovo comune, compreso nella delegazione di Spoleto e nel governo distrettuale di Norcia aveva acquisito inizialmente le seguenti frazioni: Abete, Acquaro, Belforte, Collazzone, Corone, Montaglioni, Monte Bufo, Poggio di Croce, Piè di Valle, Rocca Nolfi, Todiano, Valle, Villa Collescille e Villarella. A distanza di dieci anni si aggiunsero Castelvecchio e Saccovescio che in un primo momento erano stati annessi al comune di Croce. Nel 1817, per volontà di Papa Pio VII fu eretta a Comune, titolo che conservò anche nel 1860 , quando entrò a far parte del Regno d'Italia. Caratteristico borgo medioevale, sviluppatosi nel XIII sec . attorno al castello, ancor oggi la cittadina esterna il suo aspetto cinquecentesco caratterizzato dalle mura castellane, all'interno delle quali, si sviluppa l'abitato attraversato da una fitta rete di stradine confluenti nella piazza principale dove sorge la Chiesa di Santa Maria , del XIII secolo . Davanti alla Pieve tra la chiesa e l'edificio sede della Comunitas Precum, nello spazio delimitato da un porticato purtroppo scomparso, si tenevano le prime riunioni del Consiglio comunale. La Pieve fu edificata dai monaci della vicina Abbazia di Sant'Eutizio, la chiesa è caratterizzata da una facciata con due portali: uno romanico del 1300 (sul frontale) ed uno gotico del 1400 (sul lato sinistro). L'interno, a navata unica, con cappelle laterali, custodisce una scultura del XV sec. raffigurante la "Pietà ", opera di un artista abruzzese; un Fonte Battesimale del 1521 e, nella parete attigua al fonte, affreschi di Scuola locale; una tela seicentesca di Antonio Carocci (pittore locale) ed un' urna per reliquie realizzata e dipinta nel 1545 da Gaspare Angelucci da Nevale. Nei pressi, dietro il Palazzo Comunale, si trovano i resti della Chiesa di Santa Caterina apprezzabile per il bel portale gotico del XIV sec . con iscrizioni a caratteri gotici, ed il piccolo campanile a vela con leoni stilafori. Mentre nella parte diruta restano solo i frammenti di un portale romanico del XIII secolo. Nei pressi del Borgo Preci, ubicato sulla strada di fondovalle, vi è invece la Chiesa della Madonna della Peschiera , edificata nel XVII secolo. BORGHI MEDIEVALI NEL TERRITORIO DI PRECIVisitando il territorio del comune di Preci è facile imbattersi in diversi borghi medioevali che in passato erano protetti da possenti mura oppure disposti lungo antichi itinerari costituendo una perfetta rete strategico-militare. Percorrendo la strada statale della Valnerina si incontra Belforte, la cui posizione quasi inaccessibile, lo rendeva strategicamente importante. Poco più avanti troviamo San Lazzaro note per il lebbrosario affidato alle cure dei primi francescani. Procedendo verso Preci si possono avvistare nel fondo valle i paesino di Corono e nello stesso versante, ma a monte, spicca Castelvecchio con il suo aspetto compatto, in posizione dominante rispetto alla Valnerina e alla Valcastoriana. Lungo la strada montana che conduce da Preci a Visso troviamo Saccovescio, tipico insediamento rurale. Mentre in tutt’altro versante, nella affascinante e cupa Valle Oblita si ergono l'antico castello di Montaglioni ( Mons ad Lunam ) e quello di Roccanolfi, il castello più interessante della vallata con le sue mura e la sua torre ancora integre. Proseguendo nel nostro cammino s'incontra Poggio di Croce, con le sue splendide chiese di S. Egidio e dell'Annunziata, Montebufo, il più elevato castello della valle (1016 mt. s.l.m.) e Collazzoni che grazie alla sua posizione strategica controllava le vie che conducevano a Forsivo e a Montebufo. Procedendo da Preci in direzione di Norcia, lungo la Valle Castoriana, si incontra la frazione di Piedivalle che insieme ai piccoli e suggestivi villaggi di Valle, Acquaro e Villa Collescille in passato costituiva un importante sistema difensivo a servizio dell' Abbazia di Sant'Eutizio. Nel versante opposto si incontrano Todiano, antico castello del 1200 che custodisce nella chiesa di san Bartolomeo un preziosissimo dipinto di Filippino Lippi raffigurante la Madonna della Mercede, e a qualche chilometro di distanza Abeto, castello che risale al X secolo e nel suo territorio sono stati rinvenuti dei manufatti in selce antichi di 200.000 anni, a dimostrazione della presenza dell'uomo fin da epoche remotissime. Nella chiesa di San Martino si può ammirare una pregevole opera quattrocentesca eseguita da Neri di Bicci raffigurante la Madonna della Neve. Nella chiesa di S.S. Trinità è conservata una parte del polittico di scuola toscana, con una splendida Madonna con Bambino. LA VALLE CASTORIANALa Valle Castoriana, si collega alla Valnerina, seguendo il corso del fiume Campiano e dei suoi affluenti, e si estende dalla Forca di Ancarano a Ponte Chiusita, dove il fiume si getta nel fiume Nera. È una vallata aspra, ma mitigata da una rigogliosa vegetazione arborea, arbustiva ed erbacea, fasosa un tempo per alcune specie oggi scomparse, come la canapa, che veniva coltivata in piccoli appezzamenti detti "canapine", visibili lungo la strada che da Ponte Chiusita porta a Preci. Attraversando la Valle Castoriana molto suggestive sono le grotte del V secolo dove vivevano gli eremiti e il percorso storico-naturalistico che dall’Abbazia di S. Eutizio arriva fino a Norcia, lungo un sentiero che si estende dalla Forca di Ancarano a Ponte Chiusita. Un tempo, lungo questa vallata abbondavano anche le erbe medicinali, le cui proprietà curative erano note ai monaci orientali che realizzarono i primi insediamenti, alcuni eremi e l’Abbazia di S. Eutizio, e successivamente ai Benedettini. Le specie arboree più diffuse sono l'orno, la quercia, il leccio, il carpino, il nocciolo, il pino d'Aleppo, forse introdotto dai monaci provenienti dalla Siria. Fra le colture in passato era assai noto lo zafferano (Crocus sativus) coltivato in piccoli appezzamenti di fondovalle, la cremesina ( Digitalis purpurea), lo scotano ( Cotanus), rispettivamente utilizzate per tingere la seta e tessuti di fibre robuste; lo scotano, in particolare, era coltivato nelle scotanare, terreni collinari pietrosi e poco fertili dove oggi cresce spontaneamente. Altre piante officinali diffuse erano la genziana (Gentiana Lutea), la centaurea ( Erythreaea centaurium) la sassifraga (Saxifraga granulata) le cui proprietà curative - diuretiche - digestive toniche antisettiche - erano note alle antiche comunità monastiche che ne fecero ampio uso per curare i malati. Tuttora è possibile visitare presso l’Abbazia di S. Eutizio la Scuola Officinale. Dalle imponenti formazioni di roccia calcarea sgorgano le sorgenti a regime carsico che rendono la zona ricca di acque. La Valle Castoriana, trarrebbe il suo nome dal culto pagano degli dei Castore e Polluce, oppure da Castorius, ricco possidente della zona, ma viene anche denominata Vallis Campli da Gregorio Magno, ed è maggiormente conosciuta come Valle di Sant'Eutizio dalla omonima abbazia del cui feudo faceva parte la Valle Preciana dal castello di Preci che vi si affaccia. A partire dagli anni cinquanta la Valle Castoriana è stata colpita dal fenomeno dello spopolamento riconsegnando alla natura selvatica tutti quei terreni un tempo utilizzati per l’agricoltura e la pastorizia. Questo intenso esodo rurale è una conseguenza della tradizionale emigrazione stagionale verso città quali Firenze, Pistoia e le città costiere toscane dove gli emigrati erano impegnati in lavoro di facchinaggio e verso Roma dove invece praticavano l'arte della norcineria. Ancora oggi, usi e tradizioni della popolazione rurale sono mantenuti in vita dalla prevalente popolazione costituita da anziani. Preci e la Val Castoriana sono un itinerario ricco di suggestioni ed affascinanti visioni con le romaniche sparse nella vallata, con il complesso monumentale dell'abbazia di S. Eutizio, con le torri sugli sproni della valle ed i mulini ancora presenti lungo il fiume Campiano, con i tanti borghi medioevali, e con la scuola chirurgica preciana sviluppatasi in questi luoghi fin dal 1500 e conosciuta in tutta Europa. LA SCUOLA CHIRURGICA DI PRECILe origini della scuola chirurgica di Preci L'arte chirurgica preciana si sviluppò a partire dal 1200, nel Castello di Preci, nelle sue frazioni e nella vicina Norcia, per quattro secoli, raggiungendo notevole fama. Le origini di questa tradizione risalgono, secondo alcuni autori, all'epoca del Paganesimo, quando nel massiccio dei monti Sibillini veniva praticato il culto di Cibale, mentre secondo altri le tecniche dell'oculistica e della litotomia sarebbero giunte alle popolazioni locali durante l'Impero di Vespasiano e di Tito da ebrei relegati nei territori di Norcia a guardia di mandrie di maiali. Per alcuni storici invece, la si deve soprattutto ai rapporti commerciali con il mondo bizantino, sostenuti dai Greci e dagli Israeliti in tutto il bacino del Mediterraneo, favoriti dalla presenza nella zona della via Nursina, che collegava Norcia con Spoleto e con il porto di Ancona. Altri storici locali come il Fabbi ed il Pirri, considerano invece questa tradizione come diretta emanazione delle conoscenze e delle arti curative, introdotte nella Valle Castoriana nel V secolo dai monaci Siriani, fondatori della Tebaide Umbra, che trovarono poi nell'Abbazia Benedettina di S. Eutizio un fiorente bacino culturale. In particolare questi furono favoriti dalla crescita rigogliosa di alcune piante medicinali come la digitale , la felce, la centaura, la genziana e dalla presenza di acque nitro-solforose (Triponzo) e termali (Peschiera, Preci). Attorno al X secolo nell'Abbazia di Sant'Eutizio i monaci benedettini si prodigavano nell' arte della medicina e della chirurgia. Del resto lo stesso capitolo 36 della Regola Benedettina lo cita espressamente: "Infirmorum cura omnia adhibenda est". La tesi forse più plausibile per cui la chirurgia fino ad allora praticata in prevalenza dai religiosi, passò ad un certo momento ad essere esercitata dagli abitanti della vicina Preci e dei villaggi circostanti, va ricercata nelle decisioni del Concilio Lateranense del 1215. Venne stabilito che i monaci non avrebbero più dovuto adoperarsi in pratiche strettamente chirurgiche. Sebbene non vi sia accordo sulle origini di questa pratica, essa si diffuse tra le popolazioni locali dall'inizio del XIII secolo, praticata da circa trenta le famiglie, tramandata di padre in figlio come tradizione familiare. I monaci di Sant'Eutizio, quindi, istruirono gli abitanti del luogo affinché le genti continuassero a trarre sollievo da queste pratiche. I Preciani appresero quest'arte rapidamente, ne diventarono dei veri maestri. Il rapporto con il malato passò da curativo a professionale e non più gratuito: l'assistenza diventò oggetto di una pattuizione economica coerentemente con la nuova ideologia mercantile. Nel volgere di alcuni decenni, perfezionandone le tecniche, grazie anche all' ausilio di nuovi strumenti da loro stessi inventati, questi medici empirici, così chiamati per non aver frequentato corsi universitari, divennero famosi e molto richiesti in tutta Europa. Il XVI secolo fu certamente il periodo d'oro per i chirurghi Preciani. Inizialmente fu praticata da chirurghi girovaghi, tra cui emersero chirurghi preciani illustri, come Durante Scacchi, che operò di cataratta la regina d'Inghilterra Elisabetta Tudor, Orazio Cattani medico del Sultano Mehemed e i chirurghi Carocci che operarono Eleonora Gonzaga. Pur essendo in possesso di una notevole cultura medica generale essi erano specializzati in tre tipi di interventi: la rimozione della cataratta, l'ernia inguinale e la litotomia, ovvero la rimozione dei calcoli vescicali dove risultavano veramente insuperabili. Gran merito della scuola preciana fu anche quello di aver usato la cauterizzazione asettica e la narcosi e di aver sviluppato nel tempo un armamentario chirurgico efficace ed avanzato. La loro presenza era ambita dagli ospedali delle più importanti città italiane e straniere e presso diverse corti europee. A Preci si distinsero infatti due tipi di operatori: gli "empirici" ed i "professionisti". I primi nel periodo che va dal XIII a tutto il XVI secolo, esercitarono, autorizzati da diplomi, la "mezza chirurgia", la litotomia, l'erniotomia, l'intervento di cataratta, il salasso. In seguito, dopo la soppressione di tali patenti da parte di Carlo Guattani di Novara, archiatra pontificio e protomedico di S. Spirito e S.Gallicano, avvenuta nel 1751, operarono i professionisti, ma verso la fine del XVIII secolo, i chirurghi preciani cominciarono a scomparire. Le molte famiglie che a Preci operarono, si tramandarono oltre all'arte sanitaria anche lo strumentario chirurgico derivante dall'armamentario ippocratico-galenico. Tra i ferri preciani, usati nella litotomia, ricordiamo il "ferro per infrangere la pietra "che passò sotto il nome di "tenacolo litotritore"o "frangitore"e "l'alfonsino", un forcipe dilatatore che al tempo stesso fungeva da dilatatore della ferita e da raccoglitore dei frammenti di calcolo.Per l'operazione di cataratta veniva invece utilizzato "l'onerino" che serviva a divaricare le palpebre, una "ondina" per applicare colliri e "l'aco" per la deposizione della cataratta Un museo per la scuola chirurgicaIl Museo si pone come punto di riferimento tra le attività culturali e il territorio e come strumento indispensabile non solo per offrire un vero e proprio servizio educativo permanente, ma anche per divulgare e valorizzare il patrimonio culturale di Preci. Ancora oggi è possibile vedere i ferri della Scuola Chirurgica, presumibilmente appartenenti alla suddetta scuola, presso l'Abbazia di Sant'Eutizio e ed il Palazzo Comunale. A Preci è possibile vedere degli eccezionali strumenti chirurgici risalenti al XIII-XIV sec. conservati nel municipio, che permisero al Castello di diventare famosa per la sua antica scuola medica che ha preparato "chirurgici da cavar pietra, cateratte e testicoli". Da citare gli strumenti per l’operazione della cataratta in bronzo e avorio o osso, dotati da una elevata raffinatezza dei particolari. Poi si possono scorgere nel museo vari strumenti per la litotomia vescicale e per la chirurgia oculare. TECNICHE OPERATORIEL'intervento di Cataratta Questo intervento veniva eseguito anche in Val Castoriana come si ha notizia dal recupero della vista da parte dell'Abate Spes, fondatore dell'Abbazia di S. Eutizio. Nel 1468 a Vienna l'imperatrice Eleonora, moglie di Federico III fu operata con successo da Sigismondo Carocci, di Preci , nel 1588 Francesco Scacchi ugualmente di Preci operò di cataratta la Regina Elisabetta Tudor d'Inghilterra. Gli oculisti preciani, erano inoltre, secondo quanto scritto da chirurghi preciani illustri come Durante Scacchi, e da Girolamo Marini, buoni conoscitori dell'anatomia dell'occhio. Essi seguivano la metodica descritta da Celso, enciclopedista romano. Dopo aver preparato il paziente per tre giorni con digiuno, salassi ed enteroclismi, lo si sottoponeva, ad intervento, preferibilmente in primavera o in autunno, durante giornate serene e nelle prime ore del mattino. Bendato l'occhio sano, veniva introdotto nel bulbo oculare, l'aco, strumento chirurgico in oro o in argento, con il quale si raggiungeva la cataratta e con una rotazione la si abbassava sotto la pupilla. Seguiva quindi un periodo di convalescenza di nove giorni, durante il quale il paziente veniva tenuto al buio e a dieta. La litotomia La litotomia rappresentò la principale specializzazione per la quale la scuola chirurgica di Preci fu nota durante il Medioevo. Infatti vari storici della medicina, trattando dell'urologia, hanno rivolto la loro attenzione a questi specialisti provenienti dal Castello delle Preci e da Norcia, attività documentata dagli scritti di numerosi chirurghi preciani. Tale patologia presente fin dall'infanzia, era dovuta alla composizione della dieta, costituita da vegetali e cereali, ricca di ossalato di calcio. La metodica da essi eseguita era detta del "piccolo apparato", perché richiedeva una semplice strumentazione. Dopo una opportuna preparazione che consisteva in una dieta, il paziente prima dell'intervento veniva invitato all'esercizio fisico facendolo salire e scendere più volte da una scala. Quindi si eseguiva l'intervento di perineolitotomia: essi raggiungevano, mediante un taglio del perineo, il collo vescicale sul quale si praticava una incisione, attraverso la quale si raggiungeva il calcolo che veniva afferrato ed estratto. Mediante ferri "candenti" si eseguiva la cauterizzazione della ferita per praticare l'emostasi. Tale metodica nonostante i molti tentativi di miglioramento, venne a lungo praticata fino all'avvento dell'incisione sovrapubica e della cistoscopia. Oltre agli interventi suddetti i chirurghi preciani praticavano anche la castrazione e l'erniotomia. Il lebbrosario di San Lazzaro e Lu CugnuntuPercorrendo la strada statale della Valnerina, poco prima dell’altezza per Preci, in direzione di Visso, troviamo la località di San Lazzaro dove seconda la tradizione fu eretto un lebbrosario intorno al 1218 quando il feudatario del castello di Roccapazza, Razzardo, concesse al presbitero Bono (identificato come un monaco eutiziano) un vasto territorio boschivo e pascolato, perchè edificasse una chiesa ed un ospedale per accogliere i pellegrini, nonché per alloggiare i lebbrosi e gli infermi. A testimonianza di ciò esiste una pergamena presso l'archivio storico-comunale di Norcia. Per oltre cento anni i frati francescani si dedicarono alla cura dei bisognosi e dei poveri e sembra che lo stesso San Francesco d'Assisi fece visita più volte al lebbrosario. Quando il luogo fu abbandonato dai monaci l'ospedale fu annesso ai possedimenti del Comune di Norcia e successivamente passò sotto il controllo dell'ordine Gerosolimitano di San Lazzaro, che nel 1572 fu unito all'ordine Militare Sabaudo di San Maurizio. Da allora fu sempre dato in commenda finchè i marchesi Borbon di Sorbello, alla morte di Donna Altavilla Ranieri (avvenuta nel 1914) vendettero la proprietà ai Massi di Poggio di Croce e ai Betti di Belforte. Il complesso comprendeva la chiesa, l'ospedale ed alcune abitazioni che, purtroppo, nel corso dei secoli hanno subito profonde modificazioni che hanno fortemente alterato l'architettura antica. Insediamenti preistorici del Fiano di AbetoProcedendo in direzione di Todiano ed Abeto, verso Norcia, è possibile scorgere tra i campi incolti e la vegetazione boschiva un insediamento di modeste dimensioni che sorge proprio lungo un antico percorso che collegava Preci a Norcia. Ci troviamo nella località di Fiano d’Abeto, un altopiano favorevole all' agricoltura e alla pastorizia. Qui è possibile individuare, disposti irregolarmente alcuni edifici divisi in due nuclei. Poco più avanti, lungo la strada per Norcia sono stati trovati resti di antichi insediamenti caratterizzati da sei grotte preistoriche, adibite a tombe rupestri, all'interno delle quali sono stati ritrovati utensili risalenti all'epoca del neolitico e del paleolitico, che testimoniano la presenza umana oltre 200.000 anni fa, (lance, frecce, manici di pugnali, pendagli, coltellini). Per la varietà e abbondanza di rifiuti di selce rinvenuti, sembrerebbe che il sito era “officina di industria litica”. Gli oggetti rinvenuti e le decorazioni funebri sono conservati presso il museo diocesano di Spoleto. COSA VISITARE ITIN. 11 CMVL’ITINERARIO 11 DELLA COMUNITA’ MONTANA VALNERINA: Le "ville" di Pié la Rocca, S.Angelo, Pié del Colle e Capo al Colle; Il santuario della Madonna Bianca ed i resti di Castelfranco; Campi alto e Campi basso con le chiese di S.Andrea e S.Salvatore;
L'altopiano di Montebufo ed i suoi casali; I "castelli" di Abeto e Todiano; La "villa" e l'altopiano di Fiano con le grotte preistoriche.
Le "ville" della Guaita(di S.Eutizio): Piedivalle, Valle, Acquaro e Collescille; L'Abbazia di S.Eutizio con le grotte ermetiche dei monaci siriani; Gli insediamenti eremitici di S.Fiorenzo e S.Macario; Il "castello"'ed il borgo di Preci con i il santuario della Madonna della Peschiera; La comunità di Monte S.Martino: Saccovesio, Castelvecchio e Corone; Il "castello" di Roccanolfi, la Madonna della Cona e Montaglioni; I paesi di Villa del Guado, Poggio di Croce, Collazzoni e Montebufo; Le radici del monachesimo occidentaleLa valle Castoriana, generata dal fiume che si getta nel Nera all’altezza del paesino di Ponte Chiusita, si sviluppa in un alternarsi di spazi stretti ed ampi tra boschi e campi.
Successivamente intorno 1200 l' Abate Teodino II fece realizzare una delle opere che più colpiscono i visitatori una volta entrati nell’Abbazia, il magnifico rosone, tipico del romanico umbro, con i simboli degli evangelisti, che orna la facciata della chiesa, realizzato dal marmoraro romano Magister Petrus. Mentre il poderoso campanile eretto su una roccia dove poggia il basamento medioevale, è addirittura del XVII secolo, per opera dell'architetto pontificio Crescenzi. Sempre nella roccia sono visibili le celle dei primi anacoreti e, più in basso, altre tombe, alcune presenti anche nel presbiterio della chiesa. I monaci riuscirono a dare un nuovo impulso alla vita religiosa e sociale della zona, come nell’artigianato o nell'assistenza ai lebbrosi nel Lebrosario di San Lazzaro al Valloncello, già eretto nel 200 circa lungo il Nera. All’interno dell’Abbazia la regola benedettina fu accolta sostenendo la necessità di dedicarsi alla cura dei malati e degli infermi, dando vita a quella che poi sarebbe diventata una vera e propria scuola di chirurgia a Preci. Ancora oggi possono essere visitate alcuni di quei luoghi, ma dopo che l’Abbazia fu abbandonata solo nel 1956 la chiesa è stata riaperta al culto e nel 1989 l'Abbazia è diventata "casa di accoglienza" e di preghiera, riprendendo il ruolo di un tempo di centro spirituale e culturale. Chi volesse visitare la chiesa si troverà di fronte un edificio ad una sola navata, con il coro rialzato; mentre da non perdere è l’abside che si articola in forma poligonale con pilastri angolari che si concludono in capitelli da cui si dipartono archi ad ogiva. Il chiostro si sviluppa in una serie di grossi arconi comunicanti fra loro e sulla prima parte di esso si affacciano due eleganti bifore seicentesche, appartenenti rispettivamente alla sagrestia e alla biblioteca. Riferimente tratto da: "I sentieri del Silenzio" L'ABBAZIA DI SANT'EUTIZIOMa la vera unicità di questa amena valle è l’Abbazia di S. Eutizio, di epoca prebenedettina la cui fondazione risale, secondo la tradizione, al V secolo d.C., e che a partire dall'alto medioevo ha caratterizzato l'organizzazione economica, religiosa e culturale di tutto il territorio della Valle Castoriana e non. L'Abbazia di S. Eutizio sorge nei pressi della villa di Piedivalle, nel comune di Preci, orientata verso est sotto le pendici del Monte Morione, contornata dai piccoli insediamenti di Valle, Acquaro e Collescille. In particolare quest’ultima è anche conosciuta col nome di Valle della Guaita, dotata di una quadrata torre castrense. Il termine guaita, o anche baita, va ad indicare quelle particolari ville sorte attorno ad un oratorio monastico, con la funzione della produzione agricola, allevamento e sfruttamento del bosco, ma anche della difesa (waita = guardia, in longobardo). In Umbria il Cristianesimo si diffuse abbastanza presto, e già nel V e VI secolo la Valle Castoriana e tutta la Valnerina, caratterizzata dalla sua asprezza e dall'isolamento dei suoi monti, fu luogo di un intenso movimento eremitico che alcune antiche testimonianze agiografiche imputano all'azione missionaria di monaci siriani, fuggiti dalle persecuzioni e dalle lotte connesse ai grandi concili d'oriente. Questo particolare tipo di ordine era caratterizzato dall’opera di uomini solitari che diffondevano l'ideale eremitico orientale: quello anacoretico tipico dei padri del deserto, e quello organizzato in forme cenobitiche come prescritto nelle Regole di S. Pacomio e S. Basilio, che precorrono la più tarda Regola di S. Benedetto, fondatore del monachesimo occidentale.
Appare evidente che fu l’abate Spes ha costruire nella valle, intorno al V sec. , in vicinanza di una sorgente dove l’acqua sorge da una roccia spugnosa e dove venne scavato un oratorio in onore della Vergine. Successore di Spes fu Eutizio, anche lui dedito a vita di ascesi insieme al compagno Fiorenzo in un eremo nell'alta Valle della Guaita. Fu in questo periodo che vennero ricavate delle cella tra alcune grotte esistenti nel masso di travertino che tuttora sorregge la torre campanaria dell'abbazia . Dove inizialmente sorgeva l'oratorio di S. Maria, venne costruita la chiesa al cui interno furono raccolte le spoglie di Spes. Quando Eutizio morì, ed era il maggio del 540, la sua fama di santità era già molto riconosciuto, attraendo numerosi discepoli e dando il via ad un lungo periodo di prosperità materiale e spirituale per il monastero. Il lungo periodo di instabilità conseguente all'invasione e all'espansione longobarda, nel corso della quale il territorio entra a far parte del Ducato di Spoleto, rese la zona un luogo di pace e di ristoro per l’anima. Nel 907 Ageltruda, vedova del duca Guido di Spoleto, fece una donazione di terre e di un oratorio all'abbazia mantenendo viva l’attività monastica rimase viva a S. Eutizio. Da ricordare lo spirito di rinnovamento culturale che, tra i secoli X e XII, caratterizzò l’Abbazia, dove vennero prodotti numerosi e preziosi codici miniati e fu promossa una importante scuola chirurgica che ebbe come centro di sviluppo Preci, e fiorì dal XIII fino al XVIII secolo. Inoltre fu qui che studiò San Benedetto, cosa che ricordò, nel 1929, anche il Cardinale Pietro Gasparri, Segretario di Stato di Papa Pio XI, quando inaugurò nell’Abbazia di S. Eutuzio la celebre mostra del centenario benedettino, collegando la figura di San Benedetto all'Abbazia, dove da fanciullo il padre dei monaci d'Occidente aveva studiato: "Fin dai secoli V e VI, nella Valcastoriana, si svolgeva una vita intensa di preghiera e di lavoro, prima che San Benedetto da Norcia aprisse gli occhi alla luce e desse norma ed organizzazione stabile al monachesimo d'Occidente". I SAPORI DI PRECISapori semplici e forti, unici e non artefatti, in un ottica di locale globalizzazione dei mercati sono il punto di forza del territorio di Preci: * colture arcaiche per un' alimentazione sana quali farro, orzo, lenticchia, cece, cicerchia, fagiolo; * attività complementari all' agricoltura quali l' apicoltura e l' agriturismo; L'ARTE DEL CARBONENei Monti Sibillini il carbone veniva prodotto lavorando dall'alba al tramonto e spesso anche di notte in mezzo al bosco, dopo che i carbonari avevano passato giorni e giorni a tagliare la legna necessaria in montagna per mesi interi. I carbonari partivano uscivano dalle loro abitazioni al sorgere del sole insieme ai loro muli carichi. Si dirigevano verso quelle zone della montagna dette macchie composte da ornelli, querce e faggi. Con appositi arnesi, le roncole, effettuavano la cosiddetta sbrollatura, ossia pulizia dei rametti del legname. Nei Sibillini i carbonari si organizzavano nel raccogliere la legna e nel tagliarla in pezzi di un metro ed accatastarla. Successivamente occorreva trasportarla nella spiazza con muli o con la cavalla (un'asse di legno a forca con una tavola orizzontale appoggiata alla spalla al convergere dei due rami), con la quale si poteva portare fino a mezzo quintale di legna. Per proteggersi il carbonaro, quando era possibile, calzava scarponi pesanti e chiodati, indossava lunghe mantelle nere, cappello scuro dalla falda larga ed irregolare, un grembiule di juta. L'ampiezza della spiazza, uno slargo ottenuto sul pendio con lo zappone, dipendeva dalla quantità di legna tagliata. Cinque quintali di legna fruttavano, in media, 80 chili di carbone cannellino: l'ornello e il carpano assicuravano maggiore redditività. Poi una siepe di frasche intrecciate a pali conficcati intorno alla spiazza regolava adeguata ventilazione del luogo. La cotta della legna, che in media richiedeva due o tre giorni per l'assembramento, assumeva forma conica attorno ad un'apertura, ossia lu caminu ottenuta con pezzi incrociati a quadrato dalla base fino all'apice. Intorno, venivano accatastati paletti verticali salendo, man mano, a spiovere fino alla cima, da raggiungere con una scaletta. Quindi si ponevano fronde e foglie per isolare la legna dall'ultima copertura. Questa consisteva in terra setacciata con la conciarella, trasportata e battuta. L'aerazione durante la cottura avveniva anche attraverso alcune fessure della cotta. Si accendeva, allora, un piccolo falò e la brace ottenuta era fatta cadere nel camino lasciandolo aperto finché il fuoco non avesse preso bene. Si riempiva il camino di legni e frasche e veniva chiusa la bocchetta con una zolla. Quando il fuoco dopo circa due giorni in cui doveva essere sempre alimentato, arrivava in cima, veniva riempito il camino con legna e si producevano alcuni buchi attorno alla cotta mentre il fuoco riscendeva. Il fuoco carcerato carbonizzava senza bruciare, in media per sei giorni; i carbonari sorvegliavano, anche di notte con l'acetilene, la cotta che coceva silenziosa e pericolosa. Di cotte se ne preparavano più d'una, poste vicino e accese a catena. Accanto alla spiazza i carbonari sistemavano il capanno, simile a quello dei pastori, con quattro o sei robusti pali che formavano la struttura portante. Le pareti venivano rivestite di frasche e foglie intessute alle assi orizzontali. Dentro, insieme ai giacigli, si trovava il focolare delimitato da un muretto a secco e un cavalletto di legno con barra orizzontale, detto somaru, dal quale penzolava lu callaru. Curiosità: la rustica cucina dei carbonari includeva i noti spaghetti alla carbonara, l'acqua cotta, ossia pane bagnato con acqua bollita nel paiolo, aromatizzato con aglio, mentuccia e condito con olio e sale e la panzanella, composta da pane bagnato con acqua fredda e condito con olio, sale, aceto e pepe. LEGGENDE E MISTERI DEI SIBILLINI - LA SIBILLAVisitando i Monti Sibillini è possibile recarsi presso alcuni luoghi dove il mistero aleggia da secoli e secoli: la Grotta della Sibilla e il Lago di Pilato. Le leggende e mistero che ricoprono questi luoghi non sono frutto di trovate recenti ma costituiscono un elemento della cultura locale. Per secoli viaggiatori e studiosi si sono inoltrati in queste terre per sedare la loro sete di conoscenza, appagata solo in parte in questa terra avvolta da un velato mistero, che affonda le sue radici nella notte dei tempi. La Grotta della Sibilla Secondo tradizioni locali, la Sibilla era invece la Signora Fata, una Fata benefica, le cui ancelle scendevano a volte nei paeselli vicini ed insegnavano alle fanciulle tutti i più bei segreti della filatura e della tessitura, ed a volte si trattenevano a danzare con i giovani il tradizionale "saltarello". Ma prima del sorgere del sole dovevano rientrare nelle loro sedi: se ciò non fosse avvenuto, non le avrebbe più accettate nel suo regno ed esse sarebbero diventate delle misere mortali. Una volta, però, per poco non accadde l'irreparabile, e fu quando le "faterelle" non si avvidero che tra danze e libagioni la notte stava ormai per finire. Che fare? Esse cominciarono a correre sempre più velocemente su per il Vettore, ed i loro zoccoli di capra colpivano il terreno così violentemente che sembravano addirittura frantumarlo. Fortunatamente per loro, fecero in tempo a rientrare nella grotta prima che giungesse l'alba e la Regina non dovette perdere neppure una delle sue ancelle. A perenne ricordo di quella corsa estenuante, sulla parte del monte che avevano attraversato, rimase una lunga striscia di ghiaia, traccia tangibile del loro passaggio che tutto aveva travolto, prato e roccia. Quella striscia, che spicca ben visibile sul Vettore, è chiamata ancor oggi Strada delle Fate o Sentiero delle Fate. Questa è la versione più comune della leggenda, ma ne esiste, dobbiamo dirlo, una variante secondo la quale le Fate, non essendo arrivate alla Grotta prima dell'alba, furono dalla Regina punite per il loro ritardo e trasformate in rocce. LEGGENDE E MISTERI DEI SIBILLINI - PILATOIl Lago di Pilato LEGGENDE E MISTERI DEI SIBILLINI - ALTREUn territorio ricco di Leggende e Misteri Una volta, sui monti Sibillini, vivevano anche gli orsi, oggi scomparsi da queste zone, ed uno di essi, enorme, aveva scelto come suo rifugio quella valle. Per nutrirsi, faceva razzia di bestiame e di greggi. I valligiani, grazie ad uno stratagemma suggerito loro dalla Sibilla, riuscirono a catturarlo e ad addomesticarlo, ed esso, divenuto difensore di quelle genti, dette il nome alla valle. Comunque resta il fatto che ancora oggi non è facile distinguere tra storia e leggenda, come testimoniano alcuno ritrovamenti portati alla luce durante alcuni scavi effettuati una quarantina d'anni fa nella grotta, quando vennero trovati uno sperone medievale, un coltello ed una moneta francese del Cinquecento. Ancor oggi accanto alla grotta è inciso sulla roccia l'anno 1578. Singolare l’evento, a metà tra realtà e diceria, accaduto nel 1892, quando le donne di Castelluccio fecero passare un brutto quarto d'ora ad un innocente botanico scambiato per uno stregone. I miei link preferiti - Comune di Preci, informazioni, eventi, notizie, etc - Preci in Umbria: tutte le informazioni per il turismo - Preci: un piccolo borgo medievale - Informazioni turistiche su Preci - Umbria - Castelli e fortificazioni di Preci - Parco Nazionale dei Monti Sibillini. - Agriturismi a Preci - Preci - arte, ospitalità, manifestazioni, ecc. - Ricettività a Preci - Preci: relax per una vacanza in valcastoriana - Storia di Preci Ho appena creato il mio blog. Presto inserirò i messaggi. Torna in un altro momento. Ciao |