Creato da: Serj_Tankian il 07/01/2006
Lettere all'amico immaginario e altri racconti scontati
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Post n°9 pubblicato il 15 Settembre 2006 da Serj_Tankian
Uno ,due, tre. Per prima cosa guardati intorno, vedi che succede? No. Faresti meglio ad aprire gli occhi! Li apro . Non ti sembra strano il buio. È notte che c'è di strano? Sono le 12! Uno, due tre. Smettila di contare vigliacco e tieni gli occhi aperti. C'è pericolo? Sempre. Allora fuggiamo. Prego accomodati, dove vuoi andare?,con quali soldi?, e perché? Ho paura. Anch'io. Ma dove siamo? Apri gli occhi e lo vedrai. Io li apro ma è buio pesto, e poi c'è un odore malsano, da dove cazzo viene? Non dire parolacce perdio! Non bestemmiare cazzo. Guardati intorno e smettila di frignare. Non vedo nulla! Alzati fifone! Il pavimento è gelido e non sono per nulla sicuro che siamo a casa. Abitua lo spirito e gli occhi, come se dovessi vivere una avventura. Ma tu sei con me? Sempre. Diamoci un taglio allora: corriamo. BUUM. Visto?, sei andato a sbattere. È colpa tua! T'ho detto d'aver coraggio mica di essere stupido! Si si tanto rimane tua la colpa. Me ne infischio, rialzati e ricominciamo. Sono già in piedi e non mi faccio dare ordini da te. A no? No , anzi, già ci vedo meglio, c'è un muro di fronte. Ma va? E alle nostre spalle uno spazio aperto, sento del vento, è da li che viene la puzza! Bene voltati allora. Voltati tu se ne hai voglia io resto a guardare il solido. Stupido caprone vigliacco. Ma insomma che vuoi da me?, cosa dovrei fare?, affrontare il tanfo della morte per farti sentire orgoglioso? Maledetto stupido dobbiamo uscire o non lo faremo più. Perché? Perché la fuori c'è tutto quello che vuoi. Io voglio solo stare in pace. E smettere di sognare? Quello mai. Allora muoviti e dimmi cosa vedi. Vedo un letto bruciato. Passa oltre. Vedo un vecchio ubriacone disteso a terra. Ancora oltre. Vedo una madre che culla un fagotto con dentro un sasso. Non ci interessa. Vedo un fanciulla in lacrime. Non sei un principe azzurro. Vedo un ruota ferma, la sento cigolare. Sei tu che ti muovi. Vedo un fiume verde, anzi no è solo un rivolo. E salta allora! Vedo una stretta fenditura tra due pareti di gesso che si innalzano a perdita d'occhio, null'altro. Infilati nella stramaledetta via che porta al...! Dove diamine porta eh?, alla puzza ecco a cosa porta, viene proprio da li! E tu vai verso la puzza e trattieni il fiato. Se trattengo il fiato muoio. Non sarebbe poi una gran perdita no? Vaffanculo. Dai muoviti con calma e con gli occhi aperti. Sono già entrato non vedi? No. Qui fa freddo, puzza ed è silenzioso come una tomba, maledetto tu e quando ti seguo. Stai andando benissimo! Mahhh. Che fai ora?, ti fermi?Uno due, tre. Ora ricominci a contare maledetto coniglio? Devo prendere fiato, li di fronte c'è una porta. Cosa c'è scritto sulla porta? Nulla . E allora? Mi fa paura. Cammina e non piagnucolare. È da li che viene il tanfo. Allora vediamo cosa c'è! Va bene la apro. Cosa c'è? Non vedo nulla e l'aria è irrespirabile. Pazienta, presto metterai a fuoco. Aaaaahhhhhh. Che hai visto?Uno, due, tre. Smettila di contare. Uno, due,tre. Finiscila! Unoduetre, unoduetre, unoduetre, unoduetre. Che cazzo c'è!?!?! Hai detto una parolaccia! Ma vaffanculo! Ci sta un ragazzo con una pistola in mano, pronto a ficcarsela in canna e premere il grilletto. Chi è? Io, e puzzo già di morto. Bene. Bene un cazzo. Ed ora che vuoi fare? Ma tu dai ordini solo quando non mi servono? Si. Io torno indietro. Fai pure. Ma poi che succederà a me? Non lo so mica sono frate indovino. Sei inutile. Almeno quanto te. Ascolta coglione facciamo così, al mio tre ci tuffiamo e lo fermiamo ok? Così mi piaccio cazzo! Allora uno....due....TRE!BUUUUUUUUUUM.
Post n°7 pubblicato il 06 Giugno 2006 da Serj_Tankian
ESTASIATO HO PASSEGGIATO SULLE CURVE DEI TUOI SENI HO ACCOMPAGNATO I SINUOSI FRAMMENTI DELLE TUE FORME VERSO IL TEMPO E UNA GOCCIA DI SPERMA TI BAGNA LE LABBRA NON CI FAI CASO E UN GRIDOLINO AMMANSISCE IL TUO SPASMO SEI BELLA SEI MADRE E FIGLIA SEI TONDA CARNALE VISCERALE SEI STATA E SARAI MORBIDA E AVVOLGENTE AMANTE INSTANCABILE DEL CREPITIO DI LEGNA ARDENTE VENERE CHE SUBLIMA IL GESTO DEMONE CHE RISPONDE AL FATO COL FIATO NON TI HO SENTITA ARRIVARE ERO GIRATO A GUARDARE L'AMORE PICCOLO SCIOCCO MI SONO ATTARDATO E DEL TUO DISFARE MI SONO CIRCONDATO NEGAMI L'EVIDENZA TU CHE PUOI LASCIA CHE LE MIE MEMBRA DIVENTINO IL CIBO DEL TUO SPIRITO E POI LIBERAMI DA QUEST'INCUBO SEI STATA AL GIOCO E MI HAI INGANNATO MI AFFANNO A RINCORRERE CIO' CHE RIMASTO DI ME E ANCORA GODO PERCHE'? MI AFFACCIO AL DOMANI COL CORPO INSANGUINATO AVVOLTO NEGLI STRACCI DEL MIO PASSATO MI STANCO DELLA MANO DEL SIGNORE MI ARRAMPICO SUL MONTE DEL PIACERE SALVAMI TU CHE PUOI O MIA REGINA MAI PENTITA VARCO NEL CORPO MORENTE DI QUESTA RIMA SVANITA AL PASSO SUCCESSIVO TI PRENDO PER MANO E COME UN FRINGUELLO CINGUETTO CHE T'AMO MI SORRIDI E MI LASCI AL FUTURO TI SPOGLI DEL MIO FARDELLO E MI VESTI DI NERO NUDO E SOLO MI SFIORO IN SILENZIO I PENSIERI VENERANDO IL PAESAGGIO NOTTURNO DELLA PRIMAVERA DI IERI
Post n°6 pubblicato il 06 Giugno 2006 da Serj_Tankian
Apro la porta e mi incammino per la strada buia. Il passo è quello del cercatore. Leggero e misurato mi inoltro tra i mastodonti di cemento della mia città. Un fiocco di neve si posa sul mio naso. È caldo. Mi tolgo la giacca e la butto in un secchio, stanotte non mi servirà. Delle ombre mi incrociano incappucciate e contratte. Bozzoli umani che ridono appena sorpassato il mio sguardo. Gelati dal loro stesso sorriso. La strada è in salita. Mi fermo. Alzo lo sguardo. Un bambino mi fissa da dietro un vetro che si appanna ad ogni suo respiro. Con la manica del maglione gli dà una pulita e torna a fissarmi. Un respiro, un colpo di manica, un respiro un colpo di manica, e poi ancora. Sfilo dalla tasca dei pantaloni le chiavi della mia dimora. Gliele mostro, lui ride. Le poso a terra e vado via. Serviranno più a lui che a me. La salita è ripida e la strada sdrucciolevole. Le mie scarpe non fanno presa sull'asfalto innevato. Scivolo e batto il grugno su un mucchio di carta straccia. La faccia mi brucia. Dalla carta sorge una mano che mi aiuta a rialzarmi. 'Qual'è il problema amico?' mi chiede l'uomo padrone della mano, 'Stanotte scivolo.' rispondo. 'Questo perché non senti la strada.'. La sua espressione non ammette controbattute. Mi sfilo le scarpe continuando a guardarlo. Le lascio a lui, anche se non saprà cosa farsene, e continuo l'arrampicata. Dai vicoli sale odore di piscio. Non mi infastidisce. Non stanotte. Mentre inizio a sudare la neve si tramuta in pioggia trasformando i bordi delle strade in fossati tumultuosi che difendono le porte sicure dai viandanti e gli inopportuni. La cosa non mi preoccupa, non devo entrare, sto ancora cercando. Giro l'angolo e mi accorgo che da un muro sgorga un liquido argenteo. Sotto, una gran folla di curiosi guarda stupita. Qualcuno ride, altri battono le mani in segno di festa. Un uomo si toglie il cappello, ne raccoglie un poco e corre via con la pelata lucente a far da specchio per i lampioni. Mi avvicino per toccare la fonte di cotanto giubilo. Appena immergo un dito urlo di dolore. È denso come il sangue e gelido come una lama di ghiaccio. La folla s'infuria. 'Sacrilego!', 'Dannato!', 'Maledetto!', mi urlano alla rinfusa protendendo le mani in cerca di vendetta. Provo a divincolarmi ma mi accerchiano ruggendo come bestie feroci. Faccio una finta, poi un'altra, mi volto e mi lancio in un piccolo spazio. Troppo tardi. Calci di pelle firmata e pugni coi polsi dorati mi raggiungono. Unghie laccate di rosso mi lacerano la carne e mi strappano i vestiti. 'Hai trovato la tua fine sporco bastardo!' mi urla una signora indiavolata con una pelliccia sulle spalle mentre distrugge l'ultimo brandello di stoffa che ricopre il mio corpo. Il gong del campanile mette fine all'incontro. 'Lasciamolo a morire di freddo sotto la neve e la pioggia a 'sto cane!' propone una ragazza con disprezzo mentre tutti già si allontanano di fretta come se le loro scarpe di cristallo dovessero diventare cenere alla fine dei rintocchi. “Poveri stolti”, mi viene da pensare ”La neve è calda e così pure la pioggia, il gelo viene a casa con voi”. Dolorante mi rimetto in cammino, la salita è ancora lunga e la meta lontana. Nudo mi appoggio sfinito ad una finestra. Un viso si propone dall'altra parte della vetro. L'acqua che lo bagna non mi permette di distinguere i tratti. Mentre cerco di mettere a fuoco la figura la finestra si scioglie, il vetro torna sabbia e il legno seme. ' Entra a rinfrescarti' mi dice un volto dolce e sorridente di una splendida creatura. Scavalco il davanzale e sono al suo cospetto. È nuda. I nostri corpi si sfiorano e in un istante le mie ferite si rimarginano. L'accarezzo. Lei mi circonda la vita con le braccia di seta e porcellana. Fremo e tremo. Le sue labbra incantano le mie, i suoi occhi s'allacciano ai miei. E in un istante siamo l'uno nell'altra. Carne nella carne. Calore e poesia. La penetro. È calda di vita come il ventre d'una fiamma. Il respiro si fa ritmato, affannoso di piacere. Lei mi guarda come se volesse rubarmi l'anima. Gliela regalo con in dote il mio corpo. Si arrampica su di me mentre il suo ventre si contrae e si rilassa abbracciando il mio membro turgido. Mi aggrappo ai suoi seni e assaporo coi morsi il suo corpo. Mi sto perdendo. La amo piano come la brezza d'estate. Poi forte come un temporale di primavera. E ancora dolce mentre stringo le sue mani. E ancora brutale come una scopata in mezzo ad una tempesta. Le mi accompagna, a tratti mi guida, a tratti m'asseconda. Ora mi domina, ora la domino. Urliamo, sussurriamo, ci baciamo e ci respingiamo in una giostra di piacere carnale senza tempo. D'un tratto ci avvinghiamo e con un ruggito lasciamo esplodere in un istante tutto il vuoto che ci circonda rimanendo soli ad ascoltare nel silenzio il battere e il levare dei nostri cuori.
Post n°5 pubblicato il 19 Maggio 2006 da Serj_Tankian
sorge al di la della coscienza e della salutare demenza quando il sole gira al di la delle notti insonni correggi il tiro rimanendo immobile ad accarezzare il presente scende e cala la coltre di nube che dalla terra il celo separa poi tutto rallenta e s’assopisce
Post n°4 pubblicato il 19 Maggio 2006 da Serj_Tankian
Ed io ricambio. E mi cambio. Mi svesto di persona e mi trasformo. Una corda di pianoforte mi parla con voce di donna. Batte sempre la stessa nota eppure la melodia non ha di che stancare. Apro gli occhi, tanta luce ed un muro. Una piccola porta lascia passare il profumo del gelsomino. Fuori c'è la primavera! Faccio un passo , apro la porta. Un muro con appeso un profumo. Malevole a volte è il proprio senso. Dimesso mi volto. E lo vedo. È così grande, non sembra neppure vero. Azzurro prepotente che pulsa col trasporto di mille concerti. Riflessi smeraldo che accecano il cuore prima ancora che il bagliore degli occhi. Il mare. Il mare, che non ti concede il silenzio, che in due o tre colpi di risacca spazza via la sabbia del tempo. E sono già immerso. Ma non c'è nessuno. Neppure io. Non un uccello, non un pesce o un insetto. Solo il mio sguardo ed il mio orecchio. E la musica. Suonata da ogni cresta d'acqua, ogni onda che bagna la terra, ogni crine di azzurro che s'infrange sugli scogli. È meravigliosa e terrificante. Canta con voce di donna il mare. E mi parla. Anzi sussurra tra le note della sua ballata. Racconta del tempo in cui conosceva gli uomini, e li amava. Di quando nella sabbia vivevano gli insetti che lui si divertiva a sorprendere nella notte, perché di ciò che si annida nel buio si deve aver paura. Mi racconta di quando tra le sue enormi braccia si cullavano tutti i pesci del mondo, e si amavano, si rincorrevano, si violentavano e poi ricominciavano perché la vita non deve conoscere interruzioni. Mi racconta di quando a fargli compagnia c'erano gli strepiti dei volatili che lui sfamava e affamava per insegnare loro che c'è il tempo per ogni cosa, e che ogni cosa deve essere fatta a suo tempo. Mi racconta ed io divento parte di lui. Parte di una voce in una melodia. Dove siamo? In tutti i posti mio umile amico. Perché mi hai preso con te? Sei tu che hai iniziato a prendere me. Cosa devo imparare? Il silenzio, la musica. Il torto, la ragione. Il saper aspettare tutto il tempo del mondo racchiuso in una quieta corrente per scatenare ogni parte di te in un secondo di bufera. Il morire e rinascere mille volte e poi ancora una perché “basta” non si può dire. E poi cosa accadrà? Al futuro è riservato l'onere della scelta. Tu devi solo prepararti a camminare. Ma sono solo. Non è vero. Devi soltanto aprire gli occhi senza dimenticare di ascoltare. Apro gli occhi. L'azzurro non c'è più ma la sua voce rimane nella mia testa, come la sua melodia. Tutto attorno è vita, indistinguibile e brulicante. Una piazza. Una strada urlante e palazzi così vicini da sembrare sovrapporsi. Da quanto tempo sono via? Me lo chiedo mentre muovo passi verso il margine della mia visuale verso una porta rossa. Ma un uomo fa cenno di no col capo. Non ha importanza da quanto tempo. Ci sono cose che non cambiano, come il profumo di gelsomino. Proviene dalla porta. Magari ci sarà ancora un muro al di la degli sforzi per trovare la via verso la primavera. Continuo a titubare, poi l'apro. Un muro... no... aspetta... guarda meglio... è solo un velo... ed al di la... il giardino. Sono arrivato finalmente. Mentre m'immergo nel calore del profumo, con la dolcezza delle note azzurre che mi cullano, mi accorgo che il sole è al tramonto e torno pian piano uomo. Domani sarà un altro giorno in cui qualcosa non cambierà. Io, invece, cambio.
Post n°3 pubblicato il 15 Maggio 2006 da Serj_Tankian
Ero seduto al bancone di un bar a respirare i fumi del mio ennesimo whisky quando mi si è avvicinato un tipo ed ha iniziato a parlare. Era depresso e deprimente, il suo alito puzzava decisamente peggio del mio e non avevo alcuna voglia di sentire i suoi drammi esistenziali. D'un tratto mi fece una domanda fatidica dopo l'ennesima lacerante valanga di parole: “ma perché tu che tipo d'uomo sei?”. Tornai improvvisamente dalla mia assenza evocativa ed iniziai a parlare a raffica, senza interrompermi, senza quasi respirare, sicuramente senza pensare. E dissi: “Io non sono quel tipo di uomo che, se si ritrova aggrappato su uno scoglio che affonda in mezzo all’oceano, si butta in acqua e inizia a nuotare verso il basso fino ad uccidersi. A volte vorrei esserlo. A volte vorrei essere quel tipo d’uomo che si tuffa con la ferma e decisa volontà di sopravvivere, combattendo come un leone con le onde , le tempeste, gli spazzi infiniti e gli abissi, dimostrando che si può lottare per arrivare a terra. Quelli che alla fine comunque falliscono. La terra è troppo lontana. L’oceano troppo grande. Il tempo troppo poco. Spesso sogno di essere quel tipo d’uomo che, puntando gli occhi al cielo, si aggrappa ad esso e si lascia portare via dal vento, galleggiando tra le nuvole e le fantasie, volando via per magia. Sarebbe bello. Spesso dico a me stesso di essere quel tipo d’uomo che a quel maledetto e sfottuto scoglio ci rimane aggrappato, forsennatamente, irrinunciabilmente, fino alla fine, pensando ogni istante al momento in cui affonderà. Quel tipo d’uomo che non potrà mai lasciare quello scoglio , neppure durante la discesa verso l’abisso. Ma la verità.. la sacrosanta verità.. è che io non sono nessuno di quei tipi di uomo. Io sono quel tipo d’uomo che.. non lo so neppure io.. non conosco questa verità.. forse il mio scoglio non affonda.. ancora. “ 3 secondi di pausa “O forse sono quel tipo d’uomo che va in cerca della terra ma che dopo poco capisce che non ce la può fare. Allora si dispera ed inizia a contemplare il cielo sperando ingenuamente che gli spuntino le ali, cercando un appiglio tra le nuvole bianche che passano pigre o tra le stelle che regnano sulla notte. Quel tipo che alla fine decide che tutto è perduto ed inizia ad affondare, che non vuole più provare a respirare. Quello che poi non ha il coraggio di mollare e ricomincia a nuotare. Sono quel tipo d’uomo che alla fine trova un altro scoglio e ci si aggrappa. Sicuro di essere in salvo si tira in secca e si fa eroe del nuovo mondo. Troppo entusiasta per capire che il nuovo scoglio già inizia ad affondare, e che ben presto sarà ora di ricominciare. Forse sono quel tipo d’uomo che di una vita così alla fine ne muore. Oppure ci campa per sempre. La risposta la avremo come sempre alla fine. Sempre che ne esista una, s’intende. Amico ho parlato per tutto questo tempo, so meno di prima su quello che ti stavo dicendo e tu avrai capito meno di nulla di quello che ti ho detto. Forse dovrei stare zitto.”. Mi sono alzato, ho scolato il fondo del mio bicchiere e mi sono girato per congedarmi. L'uomo non c'era più. Forse l'avevo solo immaginato o forse eri tu amico mio che ogni tanto permetti alla mia mente compressa di sfogarsi nella sua naturale confusione. Strani momenti. Il bar brulicava di vita e nessuno sembrava essersi accorto di me e delle mie parole dettate al vento. Dopo essermi guardato un poco attorno sono andato via, ubriaco marcio ma con l'anima più leggera. Anche se non so ancora il perché.
Post n°2 pubblicato il 24 Aprile 2006 da Serj_Tankian
Pioveva a diritto in quel buio mattino di gennaio, la strada che passava davanti a casa era intasata da un serpente d'auto che ruggiva e bestemmiava al ritmo di marmitte fumanti. Non avevo l'ombrello, o meglio, l'avevo lasciato lontano un miglio nell'auto che dovevo andare a prendere. Coglione! La giornata volgeva decisamente al pessimo. Misi piede sul marciapiede con l'intenzione di scrollarmi di dosso la voglia di girare i tacchi. Un furgoncino passò in quel momento con grande fretta, infilò una bella buca e sollevò un muro d'acqua che m'inondò di rabbia. Pessimo andante. Avrei voluto rincorrere il colpevole ma ebbi solo la forza di insultarlo con un blando “quella puttana di tua zia”. Troppo poco per soddisfare la mia sete di sangue. Sarei stato capace di uccidere in quel momento, ma le persone che correvano sotto ombrelli ed impermeabili non sarebbero mai state dei bersagli soddisfacenti. Mentre li incrociavo, a testa bassa per ripararmi dalle sferzate di pioggia orizzontale, mi sembrava d'essere un ombra tra le ombre, anime dannate che si sfiorano senza incontrarsi mai. Che senso di desolazione avevo nel cuore. Il peso dell'acqua si faceva sentire sui miei vestiti, sulla mia pelle e sul mio morale senza soluzione di continuità. Cercavo di scrollarmi di dosso quel peso, ma non riuscivo neppure a vedere dove stavo andando, avevo gli occhiali zuppi e le lenti imbrattate. Dopo diversi passi, numerose riflessioni nefaste e parecchie anime incrociate, finalmente giunsi in vista della mia auto. Piccola scatolina, ancora di salvezza, riparo, speranza nostra amen. Mai stato tanto felice di poter mettere il culo nella mia secchio-mobile( come l'avevo ribattezzata) preferita. Misi le mani in tasca e come per incanto mi fulminò il ricordo delle chiavi appese al chiodo alla sinistra della porta di casa. Bestemmiai forte e ad alta voce, ero furente. L'anima dannata di mezz'età che transitava in quel momento mi guardò serenamente borbottando qualcosa riguardo la maleducazione. La fulminai con lo sguardo e le mostrai i denti come un cane farebbe con un gatto. Lei accelerò il passo e cambio marciapiede. Rimasi fermo per qualche istante ad osservare la beffa che mi rimaneva dinanzi. La pace sfiorata. Alzai bruscamente la testa e guardai il cielo. “ ah è così che la metti?” pensai rivolto a Dio e a tutto il cielo plumbeo, “non mi faccio fottere io!”, urlai. Con uno scatto fulminante iniziai la mia corsa verso casa, verso le chiavi, contro la maledetta giornataccia. Non avevo più fastidio della pioggia, la sfidavo, battagliavo con la sua violenza senza più chinare il capo ma le correvo contro a testa alta e col piglio di un guerriero. Superai la vecchia rompicoglioni con un balzo. Quasi le venne un colpo, quasi ne fui contento. E subito il portone, chiavi di casa, apri portone, sali le scale, apri porta, chiavi della macchina, chiudi porta, scendi le scale, e via di nuovo fuori. Non respiravo quasi più per l'affanno ma a quel punto avevo tutta la spinta del mondo. Le gambe giravano disinvolte tra i poveri dannati e le macchine in fila. Completamente zuppo mi destreggia vo deciso che avrei vinto quella stupida, piccola, insignificante, decisiva battaglia di tutti i giorni. Ero positivo, vincente, un idiota che correva nel temporale a testa altissima e col sorriso sulle labbra. Le anime dannate si affannavano a scansarsi dalla mia traiettoria. In un baleno ero di fronte al mio mezzo di locomozione. Avevo caldo nonostante la pioggia gelida. Infilai le chiavi nello sportello e girai. Si aprì senza fatica e mi infilai dentro. Le gocce di pioggia cadevano dai miei lunghi capelli in tutte le direzioni. Mi tolsi li giubbino e cercai un fazzoletto per pulire gli occhiali. Dopo essermi relativamente sistemato decisi che era ora di partire. Il lavoro mi aspettava e il mio ritardo sarebbe stato sempre e comunque notato. Accesi il quadro ed avviai, o meglio cercai di avviare, la mia vecchia auto. Lei in tutta risposta emise un verso strano simile al rantolio di uno gnu gravemente ferito che esprime il suo ultimo desiderio. Il motorino 'avviamento era fermo. Batteria scarica? Cinghia rotta? Sfiga totale? Comunque fosse la storia ero incastrato tra due auto in discesa e senza aiuto per spingere. Impantanato nella merda! Il furore divenne disperazione. “Che cazzo ti ho fatto di male brutto stronzo”, chiesi a Dio che dovrebbe esserci sempre, “ perché oggi devo perdere il lavoro? Il mio primo lavoro?”. Sapevo che non mi avrebbe risposto ma non sapevo più con chi prendermela. Rimasi cinque minuti in silenzio a fissare il parabrezza appannato mentre il suono ritmico delle gocce sul tettuccio si trasformava da una rumba ad un valzer. Dopo poco iniziai a sentire freddo. Scesi dall'auto con l'ombrello e mi avviai verso casa. Ero di nuovo dannato tra i dannati. La mia baldanza, la forza che mi faceva sfidare le forze della natura era stata distrutta dalla debolezza dell'elettromeccanica prodotte dall'uomo. Come dire che ci siamo fottuti con le nostre mani. Il mio passo strisciante si posò sul primo gradino delle scale prima che potessi accorgermi di essere arrivato a casa. Che sensazione di merda, sconfitto su tutti i fronti mi ritiravo. Ormai il mio ritardo ammontava ad un'oretta. Presto sarebbero state due. Mentre aprivo la porta ero completamente consapevole che non sarei andato a lavorare, che sarei stato licenziato e che dopotutto voleva dire che la sfiga oggi aveva vinto. Questa consapevolezza mi diede d'improvviso un senso di pace. La pace della sconfitta, la serenità della rinuncia. Mi infilai sotto la doccia deciso a dedicarmi una giornata di tutto relax e lusso. In fondo sarebbero state grame le prossime settimane. Per un operaio semplice ormai ci vogliono miracoli per trovare un lavoro. Mi sentivo stranamente bene e mentre mi mettevo l'accappatoio mi vedevo già sdraiato in poltrona con un bel panino e una sigarettina mentre vedevo E-Team in perfetto stile anni ottanta. E allora al diavolo la S.E.R.F. costruzioni. Oggi e la mia giornata, sfigata magari, ma sempre la mia giornata. Andai in cucina e mi preparai un panino super con tutto quello che avevo nel frigo. Presi una bottiglia di succo e mi accomodai in poltrona. Accesi la TV e inizio la sigla del telefilm. Poi si interruppe bruscamente ed apparve un giornalista: “Interrompiamo la programmazione per una notizia straordinaria”, e che cazzo la sfiga mi perseguita oggi, pensai, “ gravissimo incidente alla SERF costruzioni, la più grande azienda del centr'Italia, una esplosione ha coinvolto la gran parte della struttura incendiando tutta la zona circostante e sprigionando una enorme nube tossica. Dalle prime indiscrezioni pare non ci sia alcuna possibilità di sopravvissuti nel raggio di un chilometro dall'esplosione....”. Ero impietrito, gelato, salvo e fottutamente fortunato.
Post n°1 pubblicato il 07 Gennaio 2006 da Serj_Tankian
Ciao fratello mio. È importante che ti continui a scrivere in questi tempi avversi e pericolanti. Attendo (direi quasi con ansia) l'arrivo della bufera. Ero forte ti ricordi? Ero forte come e più di un dio perche nessuno poteva sperare di pregarmi, di piegarmi o di spiegarmi. Ero forte ti ricordi? Beh quant'è passato? Qualche anno forse. Forse si leggono ancora sulle punte delle dita. Eppure ora fratello mio tutto è cambiato. Il mondo ci opprime. Che presunzione dirai, il mondo a malapena sa che siamo qui. Eppure egli ci conosce, ci riconosce. Piano piano, lentamente ci logora e ci ammaestra. Ci rende schiavi delle piccole nicchie che ci costruiamo per sentirci al sicuro. È proprio li che ci disarma, ci prende quando siamo vulnerabili, sorridenti e seminudi, pronti a farci sbranare dall'ombra che abbiamo alle spalle. Ero forte fratello, e lo eri anche tu. Non avevamo paura, non avevamo vergogna, non avevamo concorrenza, ne coscienza. Eppure eccomi. Pronto a vendere briciole di pane per ammucchiare sale. L'avresti mai detto? Probabilmente si. Tu sapevi o almeno avevi intuito che sarei rimasto fermo ad aspettare. Ho atteso a sufficienza. Il momento è giunto. Come il giunco che si oppone al vento fino all'ultimo spasmo dirompente così la mia fortezza di carta e cioccolato ha ceduto alla furia dei mille elementi. Dei diecimila eventi, delle infinite illusioni. Ed ora cosa rimane fratello mio? Un fusto avvizo? Magari radici in una terra arida. Seccata dal nostro succhiare, attingere, senza mai irrigare. Ginganteggia rigida la mia ombra. Ma è solo un paliativo del buio null'altro.
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Inviato da: Anonimo
il 23/03/2008 alle 17:36
Inviato da: Anonimo
il 25/12/2007 alle 23:27
Inviato da: FrAnCeSkA9
il 22/07/2006 alle 09:45
Inviato da: conoscimiecapirai
il 27/06/2006 alle 20:51
Inviato da: Serj_Tankian
il 27/06/2006 alle 20:46