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Lettere all'amico immaginario e altri racconti scontati

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Il sogno

Post n°4 pubblicato il 19 Maggio 2006 da Serj_Tankian

 

Ed io ricambio. E mi cambio. Mi svesto di persona e mi trasformo. Una corda di pianoforte mi parla con voce di donna. Batte sempre la stessa nota eppure la melodia non ha di che stancare. Apro gli occhi, tanta luce ed un muro. Una piccola porta lascia passare il profumo del gelsomino. Fuori c'è la primavera! Faccio un passo , apro la porta. Un muro con appeso un profumo. Malevole a volte è il proprio senso. Dimesso mi volto. E lo vedo. È così grande, non sembra neppure vero. Azzurro prepotente che pulsa col trasporto di mille concerti. Riflessi smeraldo che accecano il cuore prima ancora che il bagliore degli occhi. Il mare. Il mare, che non ti concede il silenzio, che in due o tre colpi di risacca spazza via la sabbia del tempo. E sono già immerso. Ma non c'è nessuno. Neppure io. Non un uccello, non un pesce o un insetto. Solo il mio sguardo ed il mio orecchio. E la musica. Suonata da ogni cresta d'acqua, ogni onda che bagna la terra, ogni crine di azzurro che s'infrange sugli scogli. È meravigliosa e terrificante. Canta con voce di donna il mare. E mi parla. Anzi sussurra tra le note della sua ballata. Racconta del tempo in cui conosceva gli uomini, e li amava. Di quando nella sabbia vivevano gli insetti che lui si divertiva a sorprendere nella notte, perché di ciò che si annida nel buio si deve aver paura. Mi racconta di quando tra le sue enormi braccia si cullavano tutti i pesci del mondo, e si amavano, si rincorrevano, si violentavano e poi ricominciavano perché la vita non deve conoscere interruzioni. Mi racconta di quando a fargli compagnia c'erano gli strepiti dei volatili che lui sfamava e affamava per insegnare loro che c'è il tempo per ogni cosa, e che ogni cosa deve essere fatta a suo tempo. Mi racconta ed io divento parte di lui. Parte di una voce in una melodia.

Dove siamo?

In tutti i posti mio umile amico.

Perché mi hai preso con te?

Sei tu che hai iniziato a prendere me.

Cosa devo imparare?

Il silenzio, la musica. Il torto, la ragione. Il saper aspettare tutto il tempo del mondo racchiuso in una quieta corrente per scatenare ogni parte di te in un secondo di bufera. Il morire e rinascere mille volte e poi ancora una perché “basta” non si può dire.

E poi cosa accadrà?

Al futuro è riservato l'onere della scelta. Tu devi solo prepararti a camminare.

Ma sono solo.

Non è vero. Devi soltanto aprire gli occhi senza dimenticare di ascoltare.


Apro gli occhi. L'azzurro non c'è più ma la sua voce rimane nella mia testa, come la sua melodia. Tutto attorno è vita, indistinguibile e brulicante. Una piazza. Una strada urlante e palazzi così vicini da sembrare sovrapporsi. Da quanto tempo sono via? Me lo chiedo mentre muovo passi verso il margine della mia visuale verso una porta rossa. Ma un uomo fa cenno di no col capo. Non ha importanza da quanto tempo. Ci sono cose che non cambiano, come il profumo di gelsomino. Proviene dalla porta. Magari ci sarà ancora un muro al di la degli sforzi per trovare la via verso la primavera. Continuo a titubare, poi l'apro. Un muro... no... aspetta... guarda meglio... è solo un velo... ed al di la... il giardino. Sono arrivato finalmente. Mentre m'immergo nel calore del profumo, con la dolcezza delle note azzurre che mi cullano, mi accorgo che il sole è al tramonto e torno pian piano uomo. Domani sarà un altro giorno in cui qualcosa non cambierà.

Io, invece, cambio.

 
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