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Post N° 11

Post n°11 pubblicato il 21 Luglio 2007 da karmen71

Il danno biologico psichico

Nel concetto di danno biologico, quale menomazione dell’integrità fisica e psichica della persona in sé e per sé considerata, come indicato esplicitamente nella sentenza n. 184 del 14 luglio 1986 della Corte Costituzionale, ha trovato il proprio riconoscimento il danno biologico di natura psichica.

La figura di danno biologico di natura psichica è ancora in corso di definizione ad opera della dottrina e della giurisprudenza.

La sentenza n. 372 del 27/10/1994 della Corte Costituzionale, stabilendo che il danno biologico, al pari di ogni altro danno ingiusto, è risarcibile soltanto come pregiudizio effettivamente conseguente a una lesione e, pertanto, necessita della dimostrazione della sussistenza di una patologia, ha posto, inoltre, l’attenzione sulla necessità che qualsivoglia disagio psicologico, per rientrare nella categoria di danno biologico, deve essere riconoscibile in quanto patologia, clinicamente significativa e, quindi, rilevabile esclusivamente da un accurato esame diagnostico.

In questo senso il danno psichico si distingue chiaramente dal danno morale, riferendosi agli effetti sulla salute mentale di un processo psicopatologico e non a uno stato d’angoscia transeunte, da ritenersi come risposta socialmente attesa di sofferenza a un evento traumatico.  

L’accertamento del danno psichico, quindi, deve avvenire all’interno della valutazione medico-legale del danno biologico, di cui costituisce parte integrante.

Il danno psichico, infatti, come affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 911/99 del 3/2/1999 è rappresentato da una lesione della integrità psicofisica, una vera e propria lesione alla salute come bene giuridicamente tutelato dall’articolo 32 della Costituzione. In assenza di una lesione dell’integrità psicofisica della persona, pur in presenza di un peggioramento della qualità della vita, non è configurabile un danno biologico risarcibile.

Più precisamente, la sentenza n. 13340/99 del 29/11/1999 della Cassazione ha riconosciuto che il danno biologico può sussistere non solo in presenza di una lesione che abbia prodotto postumi permanenti, ma anche in presenza di lesioni che abbiano causato uno stress psicologico.

E’ andata via via disegnandosi, così, una definizione di danno psichico, come patologia mentale clinicamente significativa che può essere ricondotta, secondo un nesso di causalità, all’evento lesivo e si traduce in una alterazione dell’equilibrio della personalità e si manifesta attraverso una serie di sintomi e la compromissione delle abituali funzioni vitali della persona, nella sua vita familiare, sociale, lavorativa.

Se possiamo considerare il danno come l’effetto pregiudizievole causato da un comportamento fonte di responsabilità per la legge (danno ingiusto) possiamo dire, in termini di massima astrazione, che il danno psichico rappresenta quel danno che deriva da un comportamento altrui e provoca effetti pregiudizievoli sul  personale equilibrio psichico del soggetto.

Una questione controversa che riguarda il danno biologico è quella relativa all’imputabilità al danneggiante dei danni psichici agevolati dalla predisposizione della vittima.

Secondo una recente sentenza (Corte di Appello Milano  Sez. II civ. sent. 14 febbraio 2003,

Est. Chindemi Ric. Centro Poligrafico Milano Srl

 - Risarcimento "danno esistenziale" conseguente da inquinamento ambientale), “va escluso che lo stato di particolare debolezza emotiva della vittima possa determinare una attenuazione della responsabilità o una riduzione del risarcimento, ma ciò solamente qualora il fatto sia ritenuto sufficiente a provocare il danno psichico, in base ad un giudizio di valore che si fondi sul senso comune.

Solamente in tal caso, anche se la vittima versi in uno stato di particolare sensibilità emotiva che dia causa a danni psichici più gravi di quelli prevedibili, questi ultimi debbano essere risarciti integralmente e sempre che si provi che le ripercussioni psichiche negative, pur accertate, siano riconducibili causalmente al fatto illecito.

Ove ricorra tale evenienza il risarcimento del danno è integrale, indipendentemente dalle pregresse condizioni psichiche del soggetto.

Dal punto di vista della valutazione della preesistenza di danni psichici è opportuno ragionare in termini di struttura di personalità, più o meno predisposta a sviluppare un trauma, e quindi più o meno vulnerabile al trauma, generabile dall’evento lesivo.

Inoltre occorre richiamare l’attenzione che, pur in presenza di danni psichici preesistenti all’evento, il danno generato dall’evento stesso può configurarsi come “aggravamento della patologia psichica preesistente” o come “precipitare” di una patologia latente.

In ogni caso la valutazione del danno psichico deve essere effettuata tenendo conto del peggioramento del funzionamento familiare, sociale, lavorativo, della persona. Il danno può aver rotto un equilibrio che, per quanto patologico, permetteva al soggetto, prima dell’evento, di conservare un buon funzionamento, che dopo l’evento invece ha visto delle significative limitazioni. 

In pratica…

 L'onere della prova incombe sulla persona che agisce in giudizio per il risarcimento del danno alla salute.

La prova deve basarsi su una perizia medico legale che accerti il grado di invalidità subito dal soggetto leso.

Per questo motivo, quando si verifica un evento lesivo dell’integrità psico-fisica del soggetto che costituisce fonte di responsabilità per la legge il medico specialista in medicina legale e delle assicurazioni viene chiamato a redigere un parere riguardo la percentuale di invalidità permanente residuata in una persona che presenta postumi e menomazioni.

Una lesione può regredire oppure evolvere sempre più, fino ad arrivare a ciò che si definisce "postumo", cioè vero e proprio esito della lesione in cui la modificazione peggiorativa diviene statica (invalidità permanente). Il riflesso funzionale negativo della lesione e del postumo sull'integrità fisico-psichica dell'individuo si chiama "menomazione".

La percentuale di invalidità permanente  viene individuata dal medico legale anche tenendo conto di fattori come la capacità lavorativa generica oppure specifica, della capacità sociale, estetica, sessuale, eccetera.

La valutazione in genere è riferita alla singola persona, è strettamente individuabile e varia da caso a caso in funzione dei fattori detti sopra, considerando anche il danno futuro in cui è possibile prevedere un ulteriore menomazione (è il caso ad esempio di una previsione di artrosi in una colonna cervicale irrigidita irrimediabilmente) da un colpo di frusta).

Spesso la valutazione medico-legale viene effettuata allo scopo di ottenere un risarcimento da una Compagnia Assicurativa per lesioni psico-fisiche ed esiti di invalidità permanente conseguenti a incidenti stradali ed infortuni.

Una delle controversie più frequenti nella valutazione di invalidità permanente e conseguente richiesta di indennizzo, riguarda i danni psichici che possono conseguire ad incidenti stradali o ad infortuni.

La valutazione dell’entità del danno psichico e soprattutto del nesso di causa tra danno ed evento, richiede un’analisi dettagliata e complessa di uno psicologo/psichiatra, che rilevi il quadro sintomatologico e le alterazioni funzionali, presenti e la loro relazione con l’evento lesivo. 

Il medico-legale quindi deve, in tal caso, lavorare in equipe con uno psichiatra o uno psicologo che possa effettuare un’analisi clinica sulla persona affetta da psicopatologia per valutare se e in quale misura le manifestazioni psicopatologiche rappresentino una menomazione nel senso tecnico-giuridico del termine, ossia nella sua accezione medico legale.

Così lo psicologo può essere chiamato nell’ambito della perizia medico-legale a valutare la presenza di eventuali danni psichici. 

In questo caso deve redigere una relazione tecnica che andrà a integrare la valutazione medico-legale. 

Certamente lo psicologo che redige la relazione tecnica deve preoccuparsi di analizzare le conseguenze che il danno psichico sta avendo sulla vita del soggetto che si pretende abbia subito la lesione.

Nella relazione tecnica lo psicologo, oltre a fare una diagnosi relativa alla condizione psichica attuale della persona analizzata, deve fornire importanti elementi che consentano di valutare l’esistenza di un rapporto causale tra evento lesivo e danno psichico eventualmente diagnosticato. 

Così, prima di tutto, la valutazione del danno psichico pone allo psicologo il problema di definire dei criteri metodologici per stabilire quando una risposta a un evento può essere riconosciuta come causa di un pregiudizio per l’equilibrio psichico del soggetto.

Questo è un problema molto complesso per lo psicologo, considerato che ogni individuo reagisce in maniera diversa agli eventi e non tutti sviluppano un disagio mentale, nemmeno dinanzi agli eventi più tragici.

Una risposta patologica, infatti, dipende da numerosi fattori, tra cui le condizioni psichiche della persona al momento del verificarsi dell’evento, il modo del tutto personale di spiegarsi l’evento all’interno della propria biografia, il significato  personale che la persona attribuisce all’evento.

In generale, quindi, potremmo dire che siamo in presenza di danno psichico quando possiamo rilevare una risposta patologica dell’individuo all’evento lesivo contingente.

Appare chiaro, a questo punto, che i nodi fondamentali da sciogliere per arrivare a una definizione di criteri per il riconoscimento e la quantificazione del danno psichico sono:

§ La definizione di criteri che possano garantire un elevato livello di validità della diagnosi clinica;

§ La definizione di criteri in base ai quali valutare l’esistenza di un nesso di causalità tra evento lesivo e fenomeno psicopatologico.

 

 
 
 
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