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Il danno biologico

Post n°10 pubblicato il 21 Luglio 2007 da karmen71

Negli anni ’70 alcune decise pronunce delle Corti di merito hanno messo definitivamente in crisi il sistema risarcitorio fondato sulla dicotomia danno patrimoniale-danno non patrimoniale, mediante l’introduzione di una fattispecie inedita di danno: il danno biologico.

Sicuramente possiamo riconoscere nella sentenza del Tribunale di Genova, datata 25 maggio 1974, il primo tentativo in sede giurisprudenziale di ovviare alle mancanze del legislatore in tema di danno alla salute. 

La sentenza, infatti, ha stabilito che il danno alla salute si riferisce alle attività lavorative ed extra-lavorative, nelle quali sono incluse tutte quelle attività che permettono all’individuo di realizzare la propria personalità.

L’evoluzione concettuale che ha portato alla definizione della figura di danno biologico è stata ufficializzata dalla Consulta, anche se solo nel 1986, con la storica sentenza n. 184 del 14.7.1986.

Questa sentenza, confermando che la tutela della salute trova il suo fondamento nell’art. 32 Cost., ha introdotto la figura risarcitoria del danno biologico, in quanto danno alla salute che si configura come “menomazione della persona vista nella somma delle funzioni naturali aventi rilevanza biologica, culturale, sociale ed estetica” e ha affermato che tale menomazione sussiste anche a prescindere da altre conseguenze, come ad esempio quelle morali o quelle patrimoniali, derivanti dall’evento lesivo.

Così è diventato chiaro che il danno alla salute è un danno che riguarda il "valore uomo", e inficia le attitudini non lucrative della persona danneggiata,  i servizi che questa può rendere a se stessa, come vestirsi, aver cura della propria persona, camminare, guidare).

Il danno biologico è andato così delineandosi come un danno che attiene al bene assoluto della tutela della salute in senso lato, a prescindere dall’attitudine della persona a produrre reddito (Cass. 14.101993, n. 10153).

Così il danno alla salute, definito danno biologico, va a configurarsi come un “tertium genus”, distinto e autonomo rispetto al danno strettamente patrimoniale e al danno morale.

Un’altra sentenza della medesima Corte ( n° 372/94) ha esaminato, in particolare, l’ipotesi del danno biologico da morte del congiunto.

Dalla lettura della sentenza si ricava il principio secondo cui, nel caso di lesione al bene salute, che provoca la morte dell’individuo, sorge un diritto di risarcimento in capo alla persona deceduta per i danni subiti “dal momento della lesione a quello della morte”.

In altri termini, se la morte della persona sopraggiunge dopo un lasso rilevante di tempo dal verificarsi dell’evento lesivo, si configura il diritto della persona stessa deceduta a un risarcimento per i danni che ha subito, dal momento in cui si è verificata la menomazione psicofisica al momento in cui è sopraggiunto il decesso.

Tale diritto al risarcimento può essere esercitato, iure hereditatis, dai parenti della persona deceduta.

Inoltre, sempre secondo la sentenza in questione, è possibile ipotizzare, in capo ai congiunti della persona deceduta, un danno biologico e il relativo diritto al risarcimento, iure proprio, nel caso in cui la morte del parente abbia indotto in questi “una lesione psico-fisica (infarto da shock o uno stato di prostrazione tale da spegnere il gusto di vivere”).

In questo senso il danno biologico rappresenta un danno conseguenza “della lesione di un diritto altrui”.

Come ha precisato la ormai celebre sentenza n. 184/86 della Corte Costituzionale la sussistenza di tali danni, in quanto danni “eventuali”, deve essere concretamente provata dal soggetto leso.

In altri termini il soggetto leso deve provare la perdita di quelle utilità "afferenti alla persona", di natura non patrimoniale, suscettibili di valutazione equitativa da parte del giudice.

L’introduzione del danno biologico ha consentito l’affermarsi di nuove figure risarcitorie, espressione delle nuove esigenze di protezione della sfera personale.

All’introduzione della figura di danno biologico è seguita una complessa operazione di perfezionamento della definizione della figura stessa, che ha assorbito figure di danno alla persona già elaborate in precedenza,  come quelli di danno alla capacità lavorativa generica, di “danno alla vita di relazione”, di “danno estetico”, di “danno alla vita sessuale” ed altri.

Nonostante questa integrazione le figure hanno conservato una certa dignità autonoma di danno, assumendo, così un aspetto rilevante nella individuazione delle conseguenze effettive provocate nel caso concreto dal danno biologico e influendo nella valutazione del risarcimento.

Così la figura del danno biologico è andata configurandosi sempre più come uno strumento importante di perequazione e di adattamento del risarcimento del danno alla persona a seconda del caso concreto preso in esame.

 
 
 
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