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LA RIFLESSIONE DELLA SERA, QUANDO INDOSSARE LA MINIGONNA ERA REATO, CASSAZIONE, 1996, NICOLETTA BERTACCINI

Post n°7355 pubblicato il 15 Aprile 2013 da psicologiaforense

“l'oscenità si riferisce solo alla verecondia sessuale, mentre la decenza va oltre e comprende atti che con la sessualità non hanno niente a che vedere”. E, minigonna a parte, forse è proprio questa l'affermazione più rivoluzionaria.......

 

L'ABITO LUNGO NON FA LA DONNA ONESTA

 

Nel 1996 e a sorpresa la Cassazione, che  pochi giorni  prima si era espressa con sentenze di segno decisamente opposto, depenalizzò un bel pezzo del costume moderno. Perchè è da quando nacque, nella Swinging London degli Anni Sessanta, autrice la stilista inglese Mary Quant, che la minigonna fece discutere. La “rivoluzione copernicana”, come è stata definita, ha un autore, il giudice Vincenzo Accattatis, relatore della sentenza per la terza sezione penale della Cassazione. “La morale ed il diritto stanno su piani diversi. Alcuni comportamenti possono essere giudicati inopportuni, contrari al buon gusto, ma non per questo sono penalmente sanzionabili secondo il sentire comune in una società pluralistica e democratica che deve essere tollerante”. Come dire che il bene non è più la moralità pubblica, ma la persona. E dunque, la sua individuale concezione della moralità. Di più: il “sentire comune” in una società pluralistica e democratica deve essere improntato al valore della tolleranza. Come dire che nel costume si devono riflettere, e accettare, le differenze. L'Alta Corte si  pronunciò in questo senso nell'esaminare il caso dell'avvocato del Foro di Bologna condannato prima al pagamento di un'ammenda dal Gip, e poi dal pretore di Parma per atti contrari alla pubblica decenza. Era accaduto infatti che l'avvocato Nicoletta Bertaccini si era presentata all'ingresso di un carcere indossando “una minigonna vertiginosa ed una maglietta trasparente al punto da lasciar intravedere il reggiseno”. Condannata dal pretore, Nicoletta Bertaccini si era rivolta alla Cassazione per ottenere giustizia. E ha ricevuto in risposta un pronunciamento molto significativo per tutta la società italiana. L'Alta Corte mostrò infatti di aver recepito il principio cardine della nuova legge sulla violenza sessuale, che considera lo stupro un reato contro la persona e non contro la morale pubblica. Una legge rivoluzionaria, “che non può non riflettersi su tutti gli altri reati originariamente qualificati come contro il pudore e la pubblica decenza, ragion per cui si impongono oggi più aggiornate definizioni sulle condotte punibili” scriveva il giudice Accattatis. E se è facile stigmatizzare lo stupro, più difficile è, nella vita di tutti i giorni, accettare quei fenomeni di costume, e di moda, che mettono in mostra il corpo delle donne nelle strade, in casa, sul luogo di lavoro. La motivazione sentenzia che il giudice non deve esprimersi sui pubblici costumi, che la magistratura non può avere un atteggiamento censorio per quel che attiene alla privata libertà del cittadino.

 
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