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L'OPINIONE, UMBERTO VERONESI, CRIMINI E CRIMINALI, IL CARCERE, LA SCIENZA, INDULTO, AMNISTIA,

Post n°7716 pubblicato il 21 Ottobre 2013 da psicologiaforense

La persona che abbiamo messo in carcere non è la stessa vent'anni più tardi. Il nostro sistema di neuroni è plastico e si rinnova perché il cervello è dotato di cellule staminali proprie...

AMNISTIA SI O NO ?

 

Il dibattito sulla giustizia, che si è scaldato negli ultimi giorni attorno ai temi dell’amnistia e dell’indulto, non è solo politico ma anche civile, culturale, etico e per certi aspetti scientifico. Nella mitologia greca Nemesi, dea della vendetta, era il volto tragico di Dike, dea della giustizia. Per molti secoli il concetto di vendetta e giustizia sono stati interscambiabili, finché arrivò l’insegnamento di Gesù di Nazareth, che introdusse l’idea di perdono e di ravvedimento: la «metànoia» che Giovanni Battista predicava sulle rive del Giordano. In sostanza la possibilità di una metanoia presuppone che anche chi ha sbagliato può cambiare.  Perché anche chi ha sbagliato può cambiare il proprio pensiero e dunque può essere recuperato.  Questo principio è stato ripreso nei tempi moderni, quando molti Paesi hanno affinato l’idea di una giustizia rieducativa. Un modello avanzato in questo senso si trova ad esempio in Norvegia, il cui codice penale non prevede pene detentive superiori a 21 anni (salvo reati di crimini contro l’umanità e genocidio) nel rispetto di una filosofia e un’organizzazione orientata al reinserimento dei criminali nella società. È in nome di questa filosofia che tutta la popolazione ha accettato con grande senso civico anche la condanna (ad appunto 21 anni di prigione) di Breivik, l’autore di una strage di ragazzi inermi e giovanissimi, che tutti ben ricordiamo. È un principio a volte difficile da accettare emotivamente, ma che ha condotto a risultati molto concreti: la Norvegia ha uno dei tassi di recidiva di crimine fra i più bassi del mondo.  Anche la Costituzione italiana all’articolo 27 recita: «Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato», ma purtroppo la realtà delle nostre carceri sembra ignorare del tutto questo punto. La situazione delle celle è stata definita da Silvio Scaglia come peggiore di quella descritta dai giornali, dove per il carcerato «c’è meno spazio di quello che le leggi prevedono per i maiali». Ma se neppure la dignità è rispettata, come si può anche solo pensare a una rieducazione? Del resto la nostra legge ammette ancora l’ergastolo ostativo, che è un’infamia perché è una condanna a morire in carcere; dunque una forma diversa, ma non meno crudele, di pena capitale: una pena di morte civile o pena fino alla morte, perché chi sa di non poter mai più tornare alla sua vita, è condannato ad una agonia lenta e spietata. Tanto da far dire - riporto una frase dell’ergastolano Carmelo Musumeci - «fatemi la grazia di poter morire».

 
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