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« IL PG HA RAGIONE????DIPENDENZE »

MAMME, SCARPE, BIMBI UCCISI

Post n°186 pubblicato il 22 Aprile 2007 da psicologiaforense
 

immagineAveva fatto troppi chilometri su strade sbagliate, raccontava James Crumley, da Three River, Texas. L’avevano portato lì le sue scarpe, diceva. Anche se questo non è il Texas, ci sono delle scarpe che possono aver trascinato qualcuno sull’ultima pista. Scarpe che uccidono e scarpe che salvano, erotiche e contadine, antiche e moderne, le scarpe del santo e le scarpe del peccato, quelle del medioevo e quelle dell’emancipazione femminile. Due bambini uccisi - Samuele e Matilda - due madri imputate, due verità da scoprire, due processi che hanno molte cose uguali e molte cose lontane, come le scarpe della morte, che girano nelle immagini dei processi, nelle fantasie dei giornalisti, nelle carte del giudizio: un sabot di montagna e una elegantissima scarpa col tacco, di color rosa. Non c’è niente di più diverso, lo zoccolo che si usa nelle stalle e quella che si mette per le feste. Una è l’arma della difesa, l’altra dell’accusa. A unirle, c’è solo la ricerca della verità. Ma la verità è come l’arte, cantava Bob Dylan. E’ solo negli occhi di chi guarda.  Anche le scarpe sono oggetti da guardare. Ci sono uomini e donne che ne fanno collezione. Forse anche Elena Romani, la mamma di Matilda, ne ha un armadio pieno. L’ultima volta che è entrata in aula, è passata davanti alla Corte con il suo tailleur buono e le scarpe con i tacchi di dieci centimetri. E’ accusata di aver ucciso sua figlia. Quando era nata aveva scritto sul suo diario con la copertina gialla: «Sei venuta alla luce con il viso rivolto verso l’alto. Verso la vita». Quand’era già morta, parlava da sola piangendo, ascoltata dalle microspie: «Povera piccolina, io non voglio pensare. Non può essere che avevo dato dei calci alla mia bambina... Ma non è successo... Ma la colpa è di Anto...». Antonio era il suo fidanzato, Antonio Cangialosi. Adesso potrebbe diventare l’altro imputato del processo: o lui o lei. All’inizio dell’inchiesta, l’accusa pensava che lei avesse colpito Matilda alla schiena, con le scarpe che indossava quel giorno, di pelle e color rosa, a punta, col tacco alto, e sulla fascia laterale un disegno tipo mezza luna. La sua difesa diceva che era impossibile, che non era vero. Giovedì, è arrivato in aula il maresciallo dei Ris Roberto Gennari e ha detto: «La scarpa con il tacco non è la calzatura che ha ucciso la piccola Matilda».Venerdì in aula a Torino, anche Annamaria Franzoni aveva i tacchi, ma i calzoni che ricadevano a campana glieli coprivano. Lei guardava con ansia un altro paio di scarpe, degli zoccoli: la loro immagine è rimasta fissata sullo schermo per quasi tutta l’udienza, ripresa dall’alto, dal basso, di sopra, di sotto. Le scarpe che uccidono. E che possono salvare. A Cogne, dove hanno ammazzato Samuele, il sabot è una scarpa comune. Era la scarpa che Sant’Orso regalava ai poveri mille anni fa, ad Aosta, quando non avevano niente per camminare sul fango e nella neve. Oggi, a Cogne, le porta ai piedi il gruppo folcloristico e sono diventate il simbolo della Fiera di Sant’Orso. Secondo la difesa di Annamaria l’assassino che ha ucciso Samuele l’ha colpito con un sabot. Innanzitutto, per amore di precisione, non è un sabot quello che ha fatto vedere in aula l’avvocato Paola Savio e che da quel giorno, appena può, Bruno Vespa esibisce assieme a un mestolo nel teatrino di Porta a Porta, «è lui o non è lui?», è un semplice zoccolo di produzione industriale. Il sabot è una calzatura fatta solo dagli artigiani valdostani: ha la tomaia di cuoio e la suola sempre, esclusivamente di legno, e si chiama soque se è alta, sopra la caviglia, e soquelet se invece ha la tomaia sotto la caviglia. Dev’essere rigida, e sulla suola può essere applicato il «carroarmato», con quei denti molto profondi di gomma. Raramente è saldata con il rame per rinforzarla. Più facilmente, con il ferro. Secondo la perizia del professor Carlo Torre è la gomma applicata sulla suola, che avrebbe fatto schizzare il sangue sulle pareti, e la rigidità del legno è quella che avrebbe dato forza ai colpi. Il sabot, ti spiegano ad Aosta, è abbastanza difficile da usare e se non sai camminarci bene puoi prenderti delle storte, «ma non patisci né il caldo né il freddo, perché il legno è un ottimo isolante». Lo portano negli orti, o nelle stalle. Sarebbe impossibile invece vedere delle scarpe con i tacchi in una stalla. Ma sarebbe impossibile vedere in quei posti pure Elena Romani, ex hostess, dal passo spedito e dallo sguardo che ammalia. Il giorno che la sua piccola morì, andò all’interrogatorio con il trucco agli occhi, il vestito buono e le solite scarpe con i tacchi. Aveva i capelli neri sciolti sulle spalle, e teneva lo sguardo alto, come chi sa d’essere molto bella. Per quella sua immagine, l’avevano già condannata prima ancora di cominciare. Il suo processo adesso sembra arrivato quasi a una svolta, perché i giudici dovranno decidere se mandare sul banco degli imputati pure il suo ex fidanzato. A Torino, invece, su quel banco c’è solo Annamaria. Da una parte le scarpe del peccato stanno uscendo di scena, dall’altra quelle del santo potrebbero fare un miracolo. Ma bisogna ancora camminare tanto.

 

 
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