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PERCHE' MORIRE D'INFARTO?

Post n°3059 pubblicato il 15 Ottobre 2009 da psicologiaforense

PER I CREDENTI UN "PICCOLO" INFARTO (CHE SI RISOLVE IN ALCUNI GIORNI IN OSPEDALE) E' UN SEGNALE DELLA DIVINA PROVVIDENZA  CHE, BONARIAMENTE, RICHIAMA ALL'ORDINE...... PER TUTTE LE PERSONE RAZIONALI L'ACCIDENTE CARDIACO SEGNALA LA NECESSITA' CHE IL SANGUE RIMANGA FLUIDO .

 

 

 

I DETTAGLI IMPORTANTI:

 

L’INFARTO? Per otto persone su dieci la diagnosi della malattia diventa uno sprone per vivere una vita più sana concentrata sulla cura del proprio corpo e sulle cose che più contano, come la famiglia. Per molti, quindi, anche l’attacco cardiaco rappresenta una seconda opportunità di vita. A fronte di queste valutazioni tuttavia quasi la metà dei pazienti afferma di poter far poco per ridurre il rischio di infarto e molti non adottano uno stile di vita più salutare per preservare il cuore da ulteriori complicazioni. Sono sicuramente in chiaroscuro i risultati che emergono da un’indagine internazionale condotta su 3000 persone sopravvissute ad eventi cardiaci in Canada, Francia, Germania, Italia, Messico e Gran Bretagna, presentata al recente congresso della Società Europea di Cardiologia di Barcellona. E confermano come ci sia ancora molta strada da fare per prevenire un secondo attacco ed anche nell’informare correttamente sui rischi per il cuore. La prima regola da ricordare è sempre la stessa. Quando compare un forte dolore al petto, che magari si irradia verso le braccia e la gola, l’importante è chiamare subito il 118.

«Grazie alle terapie disponibili, come l’angioplastica e la trombolisi che permette di sciogliere il trombo, oggi si può fronteggiare adeguatamente l’infarto – spiega Stefano De Servi, Primario del Dipartimento Cardiovascolare dell’Ospedale di Legnano -. Tuttavia è fondamentale che la cura venga effettuata il prima possibile, perché con il passare del tempo gli effetti benefi ci di questi trattamenti scemano». Una volta passato l’attacco acuto, poi, occorre fare in modo che l’ostruzione che ha bloccato una o più arterie coronariche inibendo il fl usso di sangue ed ossigeno al cuore non si ripresenti. «In questo senso è importante che, oltre a seguire le indicazioni del medico, il paziente venga trattato con farmaci che tra l’altro possono indurre un efficace controllo dell’aggregazione delle piastrine (le cellule del sangue che entrano in gioco nei fenomeni della coagulazione, ndr.) – fa notare De Servi -. Oggi esistono sostanze, come prasugrel (non ancora disponibile in Italia), che permettono di ridurre del 19 per cento gli eventi cardiovascolari maggiori come infarto e ictus e del 50 per cento il rischio di trombosi da stent (i tubicini che vengono inseriti all’interno dei vasi per mantenerli dilatati, ndr.), nei pazienti colpiti da sindrome coronarica acuta e sottoposti ad intervento di rivascolarizzazione (cioè all’angioplastica).

Questi risultati sono stati ottenuti in confronto all’antiaggregante oggi più utilizzato, chiamato clopidogrel. Va detto comunque che dagli studi emerge l’importanza di una corretta selezione dei pazienti che possono giovarsi al meglio di questo trattamento». Se la ricerca sui farmaci va avanti, inoltre, migliorano anche le opportunità di ottenere migliori risultati dall’angioplastica effettuata al momento dell’accesso in ospedale della persone infartuata. Secondo un’indagine della Cardiologia dell’Università Cattolica di Roma l’aspirazione del trombo che blocca il vaso nell’intervento di angioplastica permette di favorire l’affl usso del sangue alle cellule cardiache.

 
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