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ALBERTO STASI ASSOLTO

Post n°3390 pubblicato il 17 Dicembre 2009 da psicologiaforense

ultimissima: 17 dicembre, ore 18:00

OMICIDIO GARLASCO: ALBERTO, SONO USCITO DA UN INCUBO

"Non ha ucciso la fidanzata Chiara"


 Alberto Stasi è stato assolto. Il gup di Vigevano Stefano Vitelli, al termine della camera di consiglio durata cinque ore, ha assolto il giovane accusato dell'omicidio della fidanzata Chiara Poggi, uccisa il 13 agosto 2007 a Garlasco, in provincia di Pavia.
L'accusa aveva chiesto per l'unico imputato trent'anni di carcere, ma al termine del processo celebrato con rito abbreviato e durato 24 udienze, oggi è arrivata la sentenza del gup.

La sentenza di assoluzione è stata emessa in base all'articolo 530, secondo comma del codice di procedura penale, il quale stabilisce che deve essere pronunciata sentenza di assoluzione «quando manca, è insufficiente o è contraddittoria la prova» che l'imputato abbia commesso il fatto.
UN PROCESSO CHE NON SI DOVEVA FARE 

Diciamoci la verità: se a Vigevano fosse stato applicato davvero il codice di procedura penale, sarebbe stata la Procura della Repubblica a chiedere l'archiviazione dell'indagine a carico di Alberto Stasi. Perché in questo paese - almeno in teoria - quando il pubblico ministero si rende conto che non ci sono le prove sufficienti a processare un indagato, ha egli stesso il dovere di chiedere che l'inchiesta a suo carico sia archiviata.
Certo, ci sarebbe voluta una bella dose di umiltà, dopo il pirotecnico arresto dell'indagato ad un mese dall'uccisione di Chiara Poggi. Quella svolta fasulla (tanto fasulla che la presunta prova che incastrava Alberto, le tracce di sangue sui pedali della sua bici, è progressivamente svanita anche dagli argomenti dell'accusa) venne venduta ai media come la fine del film, la soluzione del giallo, la «pistola fumante» che incastrava il perfido assassino dagli occhi troppo chiari. I media abboccarono quasi in blocco. Dal giorno dei funerali, d'altronde, i carabinieri di Vigevano non facevano altro che soffiare all'orecchio dei cronisti indizi veri o fasulli che portavano tutti in direzione di Alberto. Un'opinione pubblica scandalizzata e un po' morbosa si trovò con il suo mostro confezionato e servito in diretta.
Da quel momento in avanti, la Procura della Repubblica di Vigevano è rimasta sempre più prigioniera del mito che essa stessa aveva creato, e vi si è avviluppata sempre di più, seguita - anche se con qualche incertezza, qualche distinguo - dai media.


 
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