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« RELIGIONE, ATTUALITA', ...LA FOTONOTIZIA DEL GIORN... »

Henrik Stangerup, cultura, giustizia, comprensione, omicida, eutanasia, uxoricidio, seminfermità di mente, caso giudiziario,

Post n°3766 pubblicato il 23 Febbraio 2010 da psicologiaforense

L'EDITORIALE DELLA NOTTE

 

TROPPA "COMPRENSIONE"... UCCIDE LA GIUSTIZIA

 

In un racconto del danese Henrik Stangerup, Torben, scrittore dalla vena inaridita, litiga violentemente con la moglie e la uccide. Accorrono i funzionari e cercano di convincerlo che si è trattato di un deplorevole errore. All'invito, l'omicida cerca invece di spiegare di essere proprio colpevole e che perciò desidera essere arrestato e processato. Ma non c'è nulla da fare. In quel sistema perfettamente organizzato, non c'è posto per un delitto perché non c'è posto per la libertà: si tratta solo di un errore del meccanismo sociale e come tale va trattato.

Qualcosa di simile è accaduto a Monza, dove la Corte d'Assise ha condannato a sei anni e sei mesi di reclusione Ezio Forzatti, docente di elettronica, che nel giugno del '98, come si dice, staccò la spina alla moglie Elena in coma, facendola morire all'istante. Infatti, gli sono state riconosciute non solo le attenuanti generiche, ma anche la seminfermità di mente: altrimenti non sarebbe stato possibile erogare una pena così mite. Ora, la cosa paradossale è che né l'imputato né il suo difensore hanno mai avanzato a difesa l'ipotesi della seminfermità mentale. Eppure, la Corte l'ha concessa senza neppure nominare un consulente tecnico che potesse accertarne l'esistenza. Ora, se si considera che tale prassi è abbastanza inusuale, anche perché mentre l'infermità totale di mente è spesso a tutti evidente, la seminfermità spesso non lo è per nulla, l'impressione è che davanti a un caso di eutanasia, la Corte abbia scelto la strada del compromesso: non potendo evitare di dichiarare la colpevolezza dell'imputato, per pietà l'ha dichiarato infermo a metà allo scopo di diminuire convenientemente la pena. Ma con ciò ha suscitato le proteste del difensore che ha ribadito la piena sanità mentale del suo assistito: come dire, dategli vent'anni, ma non la patente di mezzo pazzo! In casi come questo, serpeggia allora come una oscura paura, come un sentimento della pura negazione, quello di poter essere un giorno, tutti e ciascuno, vittime di un compromesso che per occultare la verità delle cose, nega la nostra stessa identità di uomini, la nostra libertà. Dopo tutto, per giustizia, è forse meglio essere ritenuti colpevoli che pazzi: come Torben.

 
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