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SCIENZA, ATTUALITA', CULTURA, TRANSESSUALI, TRAVESTITI, TRANSGENDER, SCIENZA, COSTUME, SOCIETA', ANTROPOLOGIA, PSICOLOGIA

Post n°4580 pubblicato il 21 Agosto 2010 da psicologiaforense

L'era transgender

"La donna non si metterà un indumento da uomo né l’uomo indosserà una veste da donna; perché chiunque fa tali cose è in abominio al Signore tuo Dio".
Per secoli questa ingiunzione del Deuteronomio è stata la citazione preferita dei puritani che infierivano contro ogni forma di travestitismo, dagli spettacoli rinascimentali inglesi a quelli delle drag queen contemporanee. Prima ancora che determinare la classe sociale di appartenenza, infatti, l’abbigliamento ha sempre fornito un’informazione fondamentale: questa persona è un maschio oppure una femmina.
Agli inizi del Novecento, però, l’imperativo biblico cominciò lentamente a perdere di senso. Per le strade giravano le prime donne in pantaloni né disdegnavano di comparire in pubblico vestite da uomo alcune vip, come la diva del cinema Greta Garbo, la pittrice Frida Kahlo o la cantante Josephine Baker. Nel film Marocco (1930) l’attrice tedesca Marlene Dietrich, indossando un frac nero e un cappello a cilindro, si chinava a baciare una donna: era il primo bacio omosessuale della storia del cinema e la scena, pur facendo scandalo, piacque moltissimo a gran parte degli spettatori.
Ma se, nel caso delle donne, l’adottare abiti maschili si confondeva con la battaglia politica per l’emancipazione, molto meno comprensibile – e socialmente accettabile – sembrava il fenomeno contrario.
A coniare il termine “travestito” per definire l’uomo che ama assumere sembianze femminili con l’aiuto di vestiti e trucco fu per primo il medico tedesco (e omosessuale) Magnus Hirschfeld, a suo tempo definito “Einstein del sesso” per i suoi studi approfonditi nel campo. Hirschfeld aveva osservato che il fenomeno del travestitismo non aveva molto a che fare con l’omosessualità. Anzi: a suo dire era più frequente tra gli eterosessuali. Né era chiaro il significato di quel fenomeno. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli uomini che vestivano in abiti femminili (come le drag queen dell’epoca) esasperavano abiti e trucco: più che assomigliare a una donna, ne erano una parodia.
Effetti comici erano cercati anche dai primi travestiti cinematografici. Nella commedia di Billy Wilder A qualcuno piace caldo (1959), i due protagonisti si travestono da donne per entrare a far parte di un’orchestra femminile e sfuggire così a una gang malavitosa. Tra le tante gag la più memorabile restò per tutti la scena finale, quando il miliardario Osgood, innamorato di “Dafne” (in realtà Jerry, l’attore Jack Lemmon), commenta la scoperta della sua virilità affermando candidamente che “Nessuno è perfetto”. Come dire: il fatto che sei uomo un po’ mi dispiace, ma in fondo è un dettaglio. La trovata era umoristica, ma era anche il segno di un cambiamento culturale in atto.

 
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