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EDITORIALE DELLA NOTTE, PENSIERI, IDEE, SUGGESTIONI, OPINIONI... PER UN NUOVO GIORNO

Post n°4946 pubblicato il 18 Novembre 2010 da psicologiaforense

EDITORIALE DELLA NOTTE

Nostalgia della vecchia musica leggera,  melodia veicolata dai buoni sentimenti? 

Nessuno proporrà mai neppur per gioco un referendum sulla musica leggera com'è e come fu, a favore o contro la melodia che si suicidò il giorno in cui i vari reucci della canzone italiana, per paura di perdere il treno del nuovo si convertirono a uno stile che non gli apparteneva. Questioni importanti urgono, concrete anche se il canto è tutta concretezza: difatti sono là a dimostrarlo gli esiti delle tre domande sottoposteci nell'urna, a cui zoppiccando s'accostò un quinto della popolazione maggiorenne. Talmente superate anche nel tempo esse appaiono da essere un puntino sulla linea dell'orizzonte, o se preferite da collocarsi nell'ultima fila d'avanspettacolo della nostra breve memoria perché al proscenio si sospingono urgenze sempre più indifferibili. Non importa se domani non lo saranno bisogna ben riempirli i bignè della colazione per chi ha un occhio ogni mattina sul giornale, l'altr'occhio sul gonfiore del cannolo.
Già, la musica leggera. Era così ridicola quella di ieri, da rendere esaltante la canzone d'oggi? Capita d'ascoltarli, i gloriosi settantotto giri, tutto un fruscio di nostalgia perché quegli andamenti circolari con rare fughe per la tangente inteneriscono al punto da non considerare i testi, le parole: davvero d'una banalità e ripetitività il più delle volte ora nel finire degli splendori d'allora, non si coglievano perché gli entusiasmi spianano, coinvolgono, persino euforizzano. Oh, anni vissuti... E nessuno stridio di povertà lessicale, tesi a sognare la morosa, a piangere sulla mamma specie se transitata, sulle rivincite e sugli amori sgusciati via chissà come dal cancello chiuso. Tante rievocazioni da Sabato del Villaggio, sapendo che Giacomo mi perdona l'irriverenza.
Non il minimo sforzo per ottenere eleganza oltre che rima, né un correttore se non un editing capace d'impedire che parole e musica facessero a pugni. Eppure, tutta allegria. Sprizzava un ottimismo, da quei «Gai Campagnoli» radiofonici, che metteva voglia di canticchiare se non cantare proprio a piena voce. Le parole delle tre strofe e del doppio refrain imparate a memoria in un pomeriggio d'ascolto sulla Rete Azzurra, con la facilità del fissarsi in mente una poesia di Pascoli.
«Sì, davvero il ritratto dei sentimenti miei, forse della mia bella». E si solfeggiava mentalmente perché il pensiero ha pudore che importa se solcava luoghi comuni, frasi fatte, scontate? Era pensiero che dava buon umore, accendeva speranze. Fino a che, per colpa della farraginosa indifferenza al testo, ecco mettersi alla tastiera poetini e poetoni subito celebrati come geni perché prendevano le curve strette nei tempi che privilegiavano l'innovazione, qualunque. Essi colpirono a frustate gli anni belli adolescenti con costrutti lessicali da far gridare al miracolo della poesia finalmente accordata alla musica a sua volta così strapazzata rispetto all'usuale da non riconoscersi nella monotonia a cui pareva tendere nella metamorfosi. Così impegnata, evidentemente, da ispirar tristezze e lugubrità per una corretta concordanza sul nuovo stile. Nulla a vedere con lo stil nuovo, tuttavia finalmente ricostruita per metter piede nell'avvenire, situazione allora lontanissima e adesso ci siamo dentro. E m'avvedo che non è affatto semplice pronunciarsi, essendo cambiato il concetto stesso di lacrimosità, di emozione, di affetto di sentimento, di famiglia. Il ritmo era detestato dai giovani di ieri perché impediva di stringersi all'amata e il ballo era l'unica occasione di farlo.
Insomma, era bello ieri così com'è ovvio e naturale il tempo d'oggi: che parrà impagabile ai nostri nipoti, vestiti di quello nuovo. Così nei secoli. Anche a ben valutarlo, il passato che torna mette i brividi come l'incontro con uno zombi.

 
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