Creato da: psicologiaforense il 14/01/2006
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« PER IL TEMPO, IN CUI TUT...CHE IL NOSTRO CUORE NON TREMI, »

LA RIFLESSIONE DELLA SERA, DARE UN SENSO ALLA SOFFERENZA, GUARDANDO IN FACCIA IL DOLORE, SI IMPARA LA PIETA'?

Post n°7700 pubblicato il 14 Ottobre 2013 da psicologiaforense

In un mondo ormai reso un villaggio globale, la sofferenza è sempre più in prima pagina. Ogni giorno tv e giornali riversano nelle nostre case un rosario di drammi umani e sociali, dalle catastrofi naturali che devastano i Paesi poveri alle guerre e ai conflitti etnici in varie parti del mondo; dai morti di Lampedusa  alle condizioni di fame e di miseria di intere nazioni....

I TEMPI DEL DOLORE



La sofferenza diventa uno spettacolo quotidiano, servito sovente nel momento del relax o della ricomposizione familiare. La continua esposizione ai drammi dell'umanità può produrre reazioni diverse. Qualcuno rischia di assuefarsi alle immagini ed è tentato di cambiare canale per evitare di intristirsi maggiormente. C'è anche chi trae da questo spettacolo un piacere solitario, in quanto si scopre risparmiato dalla diffusione del dolore. Altri rimangono colpiti dalle sequenze della sofferenza, e si commuovono, consumando dentro di sè sentimenti controversi o attivandosi immediatamente per qualche causa. Molti si chiedono la ragione della continua esposizione della (e alla) sofferenza, che richiama la complessità delle cause che la generano e che alimenta un senso di scoramento e di impotenza. Nella modernità avanzata, le aspirazioni altruistiche sembrano concentrate nell'azione umanitaria, anch'essa conosciuta dalla popolazione perlopiù attraverso i mass media. Questi, dunque, non veicolano solo i drammi del mondo, ma anche quella mobilitazione collettiva dal basso che si produce in reazione allo spettacolo della sofferenza.

 
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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
elisabetta.luca il 14/10/13 alle 20:46 via WEB
Agghiaccianti quelle immagini da Lampedusa. Numeri al posto dei nomi, sulle bare bianche dei bambini degli orsacchiotti che sicuramente quando erano vivi non hanno mai posseduto
(Rispondi)
 
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 20:54 via WEB
Il dilemma che può investire lo spettatore di fronte alla sofferenza umana non è un fatto recente.
(Rispondi)
 
 
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 20:55 via WEB
Nel corso della storia vi sono state varie situazioni in cui lo spettacolo della miseria ha portato a una politica della pietà. Da sempre vi è una classe di fortunati che non soffrono, interpellati da infelici alle prese con varie forme di dolore e di miseria.
(Rispondi)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
anacletafabry il 14/10/13 alle 20:48 via WEB
LO "SPETTACOLO" DELLE SOFFERENZE UMANE PUO' RIVELARSI UNA FORMA DI EDUCAZIONE ALL'ALTRUISMO
(Rispondi)
 
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 20:56 via WEB
Le esigenze morali di fronte alla sofferenza portano ad un imperativo: quello dell'azione. Ma come può oggi agire un soggetto a migliaia di chilometri di distanza, sprofondato in poltrona, davanti alla tv?
(Rispondi)
 
 
 
boscia.mara
boscia.mara il 14/10/13 alle 21:19 via WEB
Secondo me la spettacolarizzazione del dolore produce assuefazione.
(Rispondi)
 
Utente non iscritto alla Community di Libero
ma.g il 14/10/13 alle 20:49 via WEB
Ci sono antidoti alla disumanizzazione?
(Rispondi)
 
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 20:56 via WEB
L'invito a non cambiare canale, a lasciarsi interpellare dalla sequenza del dolore, è al centro del libro Lo spettacolo del dolore di Luc Boltanski, sociologo, che insegna all'Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales. Si tratta di un lavoro articolato e complesso, che affronta temi attuali sulla base di una ricostruzione storica e filosofica del modo in cui la pietà è entrata a far parte di una certa idea di politica, sin dalla metà del secolo XVIII. Boltanski conduce il lettore attraverso varie «topiche» della sofferenza, richiamando il contributo di vari classici della cultura moderna, da Adam Smith a Rousseau, da Sade a Baudelaire, da Sartre a Camus.
(Rispondi)
 
elvia4
elvia4 il 14/10/13 alle 20:50 via WEB
Non è che, dopo tutto, si fa leva sui sentimenti per ottenere maggior audience? La messa in scena della sofferenza non è una delle molle principali della fiction? Ci si può ancora fidare delle denunce a mezzo stampa o mediante la tv? A quali condizioni lo spettacolo della sofferenza a distanza, attraverso i media, è moralmente accettabile?
(Rispondi)
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 20:58 via WEB
La domanda mi sembra sia: Quando l'esposizione al dolore può avere una valenza politica?
(Rispondi)
 
boscia.mara
boscia.mara il 14/10/13 alle 21:16 via WEB
Ciao Giuliana :)
(Rispondi)
 
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 21:19 via WEB
Buona serata Amica mia:-)))))
(Rispondi)
 
boscia.mara
boscia.mara il 14/10/13 alle 21:18 via WEB
La prima cosa che mi viene in mente è che solo il dolore che ci tocca personalmente fa nascere in noi la pietà, fa comprendere il dolore degli altri.
(Rispondi)
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 21:20 via WEB
E anche questo è tragicamente vero
(Rispondi)
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 21:21 via WEB
..... però Maria Antonietta La pietà in politica significa considerare la sofferenza a distanza. Per adottare un comportamento accettabile, lo spettatore non può rifugiarsi nell'indifferenza o nell'impotenza. Nello stesso tempo, però, egli è distante dalla situazione in cui si soffre, condizione questa che gli permette di avere una considerazione più globale del problema della sofferenza. Il dramma umano cui è continuamente esposto risulta così emblematico di una sofferenza più grande che accomuna gli infelici di ogni sorta. Ed è questa condizione generale che lo interpella e può favorire la mobilitazione.
(Rispondi)
 
 
boscia.mara
boscia.mara il 14/10/13 alle 21:33 via WEB
Si e come vedi però tutto avviene passando dal proprio dolore. E forse comunque avere un sano distacco che non è indifferenza aiuta a trovare soluzioni più giuste ai problemi. Essere troppo coinvolti non è detto che serva.
(Rispondi)
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 21:22 via WEB
L'azione in questo caso può consistere nel partecipare ad altri la propria commozione, nel farsi carico di una «parola agente», che apre a un impegno collettivo.
(Rispondi)
 
 
boscia.mara
boscia.mara il 14/10/13 alle 21:54 via WEB
Non è cosa da tutti perchè prescinde da una capacità comunicativa che non tutti hanno ;)
(Rispondi)
 
coloridivita
coloridivita il 14/10/13 alle 21:55 via WEB
Viviamo in un mondo dove tutto diventa spettacolo, persino la morte e le tragedie umane! L'informazione è importante ma dovrebbe essere trasmessa con un pò più di discrezione. Un abbraccio Giuliana, buona serata ^___*
(Rispondi)
 
 
boscia.mara
boscia.mara il 14/10/13 alle 21:58 via WEB
Sono d'accordo con Anto.
(Rispondi)
 
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 22:53 via WEB
CIAO COLORIDIVITA!!! GRAZIE
(Rispondi)
 
 
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 22:54 via WEB
Si tratta dunque di valutare come questa parola sia efficace, come essa sia espressione di una commozione non solo formale, quanto sia in grado di coinvolgere e di fondare un impegno individuale e collettivo. Ci si appropria della sofferenza per farne l'argomento «politico» per eccellenza.
(Rispondi)
 
maraciccia
maraciccia il 14/10/13 alle 22:26 via WEB
certo oggi non possiamo dire di non vedere e di non sapere..
(Rispondi)
 
maraciccia
maraciccia il 14/10/13 alle 22:30 via WEB
certo oggi non possiamo dire di non vedere e di non sapere..buonanotte Giu
(Rispondi)
 
psicologiaforense
psicologiaforense il 14/10/13 alle 22:55 via WEB
Si tratta di recuperare la dimensione politica della vita in un tempo di crisi delle grandi ideologie e di scetticismo circa la capacità della grande politica nel far fronte ai gravi problemi dell'umanità. Del resto, osservo io, la politica della pietà è alla base dell'azione di molte forze della società civile, tra cui le organizzazioni non governative che svolgono azioni umanitarie in ogni parte del mondo.
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monellaccio19
monellaccio19 il 15/10/13 alle 12:25 via WEB
Il verbo imperante del nostro tempo: spettacolizzare! Anzi, ancora peggio, lucrare sulla spettacolarizzazione! Allora, quando si giunge a coniugare entrambi i verbi, lucrare e spettacolizzare, siamo oltre la frutta. I drammi non hanno bisogno di plateali sceneggiature, chi sa condividere e compenetrarsi in queste miserie umane, tende ad evitare le comparazioni, le competizioni e le emulazioni. Chi vuol entrare nelle tragedie della storia, percorre altre strade, non quelle delle immagini a profusione e delle parole a iosa. Ciao Giuliana.
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ferrarioretta
ferrarioretta il 15/10/13 alle 20:42 via WEB
Come si fa a restare impassibili?Non riesco ad abituarmi al dolore degli altri e a queste tragedie.. Il senso d'impotenza è grande,e grande è l'ammirazione per chi aiuta pensando solo alle vittime.. Non sopporto le polemiche e le chiacchiere politiche intorno a questi eventi..
(Rispondi)
 
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