diego1930 il 13/12/07 alle 01:59 via WEB
io ho studiato questo: Con il termine «violenza» si intende, in generale, l’aspetto disinte-grativo di un rapporto tra due sistemi. L’incontro tra due corpi èviolento se mette in pericolo o lede l’integrità di uno di essi o di en-trambi. La violenza può essere sia fisica (dalle percosse fino alla morte), sia psicologica (quando condiziona la struttura psichica e i contenuti della coscienza). Ed è proprio quest’ultima che si è am-piamente diffusa, attraverso comunicazioni, segnali, minacce di u-sarla da una parte e anticipazioni e timori di esserne oggetto dal-l’altra. La definizione non dipende soltanto dal variare delle ideologie politiche e dalle norme giuridiche, ma anche dal mutamento dei va-lori e degli stili di vita della società. Ad esempio, negli ultimi decen-ni, la «coscienza ecologica» sta sensibilizzando la gente a considera-re come forme di violenza la distruzione dell’ambiente e la crudeltàverso gli animali. Così l’uguaglianza, come valore fondamentale del-la nostra civiltà, porta a etichettare come violenta qualsiasi situazio-ne di marginalizzazione e discriminazione. Vi è, in pratica, una vio-lenza «strutturale», dovuta cioè al tessuto stesso del sistema sociale– va distinta da quella personale – variabile in termini socio-cultu-rali. È questa che desta attualmente il maggior allarme nell’opinionepubblica, anche perché vi è una maggiore «coscienza sociale» nei confronti dei beni da tutelare. Perciò si cercherà di chiarirne le cau-
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Gemma Marotta 8se. Una prima ipotesi ne addebita la responsabilità dell’aumento al-l’indebolimento dei controlli sociali. In altre parole, è la società permissiva che, togliendo fin dal-l’educazione infantile ogni forma di disciplina, dà libero sfogo alle tendenze distruttive e aggressive. Ne consegue che un rafforzamen-to delle istituzioni preposte all’educazione, al controllo e alla repres-sione è visto come unico valido antidoto. Opposta alla precedente preferita dai conservatori, è la pro-spettiva più liberale che si basa sull’assioma che l’uomo sia «natu-ralmente» pacifico; sono le frustrazioni, cioè l’incapacità a persegui-re il proprio scopo, subite nell’ambiente sociale che ne scatenanol’aggressività. La violenza, quindi, è una conseguenza del medesimosistema sociale. In esso sia alcuni caratteri «strutturali», quali l’ur-banizzazione e l’industrializzazione, sia diversi aspetti «sovrastrut-turali», quali le manifestazioni culturali e i mass media, che danno ri-salto ai simboli della violenza, contribuiscono al propagarsi di com-portamenti auto ed etero aggressivi. Vi è, infine, chi considera, a quanto risulta, da vari sondaggi, come causa del fenomeno la diffusione della droga, l’emancipazione femminile e la crescente presenza di stranieri. Ma da tale interpreta-zione emerge un errore di fondo poiché, in pratica, si definisconocause, fatti o fenomeni che sono anch’essi effetto e risultato dellasocietà violenta. A ben vedere, nessuna delle ipotesi sopra accennate soddisfa apieno se considerata singolarmente. Forse sarebbero più accettabili,a nostro avviso, se valutate in modo integrato. Dato che gli uominicompongono la società e questa li forma attraverso la sua cultura,dovrebbe essere obiettivo comune quello di contribuire a ridurre la quantità di violenza a dimensioni fisiologicamente sopportabili dal«corpo sociale», recuperando in primis una «dimensione morale» del-lo sviluppo e della vita del singolo e della società nel suo complesso. Nelle società contemporanee, con particolare riguardo a quelle avanzate, si ha un «crescendo» di manifestazioni di devianza talora,anche se non sempre, penalmente rilevanti. Tra esse da tempo haattratto l’attenzione degli studiosi di criminologia e degli operatorisociali quell’insieme di comportamenti antisociali che si è solito rag-gruppare nella categoria delle manifestazioni violente. Ma, per quanto alla società italiana nelle fasi della sua crescita, la gamma del-
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Nota introduttiva. La violenza nella società attuale 9le fattispecie, e perciò delle analisi, presentava casistica e ampiezzaristrette; al presente si vanno moltiplicando le tipologie e intensifi-cando le corrispondenti pericolosità sociali. Non si tratta più di sot-tolineare la distinzione tra reati d’astuzia, propri agli adulti e agli an-ziani, e di violenza, propri ai giovani, ma di rivederne la complessitàe di riaffrontarne le nuove tematiche. Alcune discriminanti fondamentali, appunto per la loro naturageneralissima, restano tuttavia valide. Così quella già accennata traviolenza psicologica (vis animo illata) e quella fisica (vis corpore illata). La prima si configura assai più sfuggente della seconda sia ai finicriminologici, di studio, sia per quanto al diritto penale; è infatti ormai arduo stabilire il confine tra l’agire determinato dalla capacitàpersuasiva di persone o dei mezzi di comunicazione di massa e l’a-zione determinata da vera e propria violenza psicologica; a guisa di esempio basterebbe ricordare il caso dei minori di quattordici anni indotti a commettere delitti in vista della loro non imputabilità. Nel «villaggio globale» e nella società medianizzata, in cui si ècalati, la prima forma, quella psicologica, appunto per la sua ambi-guità si delinea forse onusta di una più forte pericolosità sociale.Ancora, esemplificando, potrebbe essere questo il caso della violen-za fisica negli stadi che, quasi sempre, non costituisce altro che l’at-to finale di una serie di impulsi psicologici a favore della propriasquadra e, simmetricamente, volti ad esprimere il massimo di ostili-tà verso quella avversaria e, maggiormente, verso i suoi sostenitori. Dei reati di violenza più eclatanti, dal punto di vista delle con-seguenze finali, alcuni si connotano dunque per la loro immediatez-za materiale e altri per causali di ordine psicologico; tra i primi rien-trano sicuramente, con difforme incidenza, gli scippi («furti constrappo»), le rapine, le violenze sessuali o sui minori, le aggressioni,i vandalismi, tra i secondi le intolleranze a sfondo razziale. A prescindere dalle motivazioni, le ondate di violenza, talvolta in forme epidemiche, sollevano, con l’allarme sociale, interrogativisui loro «perché», specie in presenza di un diffuso benessere eco-nomico. Sull’andamento delle manifestazioni relative, le statistiche giu-diziarie non consentono di determinarne con sicurezza la portata, e così i confronti con il passato, dal momento che, per effetto dei ra-pidi mutamenti sociali, lo stesso diritto penale ha minore stabilità e
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Gemma Marotta 10durata; i mezzi di comunicazione di massa, poi, fanno da cassa di ri-sonanza e amplificatrice degli eventi secondo le esigenze dell’opi-nione pubblica, così da alterare, in più o in meno, l’imago stessa deifatti violenti. In ogni caso, la percezione della violenza, e del rischio di su-birne, si è estesa alla totalità dei cittadini che si sentono permanen-temente vulnerabili da atti aggressivi; la sindrome dell’insicurezza, già peraltro stimolata dai rischi ecologici e legati agli stessi progressidelle scienze, tende a diffondersi. Le reazioni difensive, a livello in-dividuale e di gruppo, se rimangono tali nei più deboli (donne, an-ziani e bambini), nei più forti assumono talvolta abiti aggressivi in-nescando circuiti dagli esiti assai pericolosi, come di recente è ac-caduto in maxirisse scaturite dallo scontro per futili contrasti tra piùpersone. L’atmosfera aggressiva è, ovviamente, assai più intensamentetale nelle metropoli e, ormai, anche nelle medie città di provincia.La stessa intensità del traffico induce, già nel muoversi verso i luo-ghi di lavoro, a comportamenti «di arena» per conseguire un postopiù avanti in una fila o il recupero di qualche secondo. Il diffondersi della minaccia e, con più peso, delle manifesta-zioni e degli atti violenti, si risolve in una riduzione delle proprie li-bertà che, democraticamente garantite, sono poi di fatto disatteseper la pericolosità connessa al portare, per esempio, gioielli, borset-te, capi di vestiario di un qualche valore; dopo l’imbrunire è perico-loso il muoversi salvo che nelle poche zone centrali meglio protette. Nella stessa propria abitazione ci si sente ormai sicuri solo se i pos-sibili accessi siano stati adeguatamente garantiti da sbarramentimeccanici o elettronici di vario tipo. L’integrità psicologica, prima ancora che nei beni e nella per-sona, ne risulta dunque vulnerata specie, come si è accennato, se disoggetti fisicamente o socialmente più deboli. Finora si é evitato di accennare a quelle modalità più recenti, eperciò del tutto nuove, di violenza che, investendo la collettività, siriflettono sui singoli. Così, dopo Chernobyl, la possibilità immanen-te di disastri nucleari e/o ecologici incombe sulla coscienza comu-ne; si esaltano i rischi prossimi del «buco nell’ozono» o della defore-stazione del bacino dell’Amazzonia; più da presso le incursioni delle Forze dell’ordine negli ospedali, nelle case per anziani o nei luoghi
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Nota introduttiva. La violenza nella società attuale 11di pubblico ristoro, non hanno mancato di suscitare nella coscienza civile il serpeggiante timore di poter essere costretti ad affrontareambienti insicuri quando invece ci si attenderebbero cure o una sa-na alimentazione. Più sottili forme di violenza vengono da taluni,specie se seguaci della radical theory, individuate nelle stesse strutturedel sistema sociale. Si investono così gli aspetti socio-culturali delsistema muovendosi sulle sabbie mobili di terreni ideologicamentecondizionati. Se la percezione e il rischio della violenza nelle sue varie formepuò, in alcuni casi, essere addebitata agli stessi progressi delle scien-ze e al consumismo di massa, per altri i fattori patologici sono dacogliere nel mutamento profondo dei «valori» con i suoi riflessi sul-la tenuta delle famiglie, sui procedimenti pedagogici, sul porsi egoi-stico dei singoli rispetto alle esigenze collettive. Taluni pensano dicogliere l’eziogenesi della violenza nell’atmosfera competitiva della nostra società con il suo corteo di frustrazioni per i meno capaci o meno fortunati, che poi sono i più rispetto ai gruppi di élite che rie-scono a conseguire i loro obiettivi in termini di gratificazione e pre-stigio sociale, di livello economico e, in ultima analisi, di potere. Adifferenza di quanto sostengono alcuni sondaggi di opinione, la dif-fusione della droga e la crescente presenza di stranieri, che muoveverso una società multietnica, più che agenti di accrescimento diviolenza andrebbero visti come un suo effetto: droga come evasio-ne, espatrio come fuga da condizioni invivibili. Il problema della riduzione delle tensioni interne e della ri-composizione di un minimo di armonia sociale non é di facile solu-zione, dal momento che finora questo novello cavaliere del-l’Apocalisse si è delineato come strettamente connesso ai vantaggi,che pure non sono pochi, della civiltà del benessere. È agli studiosi,ai responsabili della cosa pubblica e agli operatori sociali che in-combe il compito di individuare le vie, onde pervenire ad una ridu-zione dei non pochi aspetti negativi di quel «progresso» che, in sé,non può logicamente essere stigmatizzato in toto e perciò concet-tualmente capovolto in regresso, così come arbitrariamente operatoda alcune scuole tra cui, prima, quella posta sotto l’etichetta di «teo-ria critica della società». Temi di crinimologia tenta di dare una interpretazione riguardo ad alcuni dei fenomeni di violenza e criminalità che destano allarme
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Gemma Marotta 12sociale. Lo scopo è quello di offrire uno strumento didattico, il piùpossibile semplice, adatto a studenti di diversi corsi di laurea che af-frontano per la prima volta la materia. La scelta degli argomenti è stata dettata da una serie di consi-derazioni. La prima è certamente quella di analizzare tematiche di attualità o, comunque, di costante interesse sia per la criminologiasia per l’opinione pubblica. Una seconda motivazione nasce dal fat-to che per alcuni ambiti, se lo studente vuole approfondire le sueconoscenze, deve sottoporsi al complesso impegno di leggere libri earticoli di riviste, deve ricercare in una ormai vastissima letteraturarischiando di perdersi in un mare magnum. Da qui, l’idea di dare con-cise e aggiornate coordinate, comunque complete e utili, per succes-sivi approfondimenti. La raccolta comprende i contributi di più autori, di formazio-ne sia giuridica sia sociologica, accomunati dal fatto di essere, tuttidella cattedra di Criminologia della Facoltà di Scienze della Comu-nicazione dell’Università di Roma «La Sapienza». Ovviamente, non ha pretese di completezza, né potrebbe a-verle dato l’ampio campo d’indagine della disciplina. Il primo tema Diritti dell’uomo e crimini contro l’umanità, affron-tato da Giovanni Stile e Giulio Vasaturo, proprio al diritto interna-zionale, si pone prepotentemente all’attenzione del criminologo alla luce dei recenti fenomeni legati al terrorismo internazionale. D’altraparte, se le violazioni dei diritti dell’uomo a livello internazionale costituiscono un crimine contro l’umanità, a giusta ragione vannoinseriti negli studi di criminologia, anzi, ci si meraviglia del fatto che siano stati trascurati così a lungo nel settore. Altro argomento di grande interesse è quello svolto da Anto-nio Picci su I sistemi criminali di tipo mafioso. L’analisi si sviluppa sulladimensione transnazionale della criminalità organizzata per poi pas-sare in rassegna le singole organizzazioni italiane e straniere. Strettamente collegato al precedente è il capitolo su Il mercatodella droga suddiviso in due parti: la prima, a firma di Fabio Iadeluca, affronta il problema della domanda collegandolo al triste flagellodella tossicodipendenza e alla relativa normativa; la seconda, ancoradi Antonio Picci, tratta dell’offerta in rapporto ai tipi di droghe e al-le organizzazioni criminali che ne gestiscono il mercato. Successivamente Giovanni Vassallo, nel capitolo intitolato
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Nota introduttiva. La violenza nella società attuale 13Comunicazione sociale. Implicazioni criminologiche, segue un percorso cheva dalla comunicazione intrafamiliare a quella mediatica per eviden-ziarne i nessi con il disagio e la devianza minorile. Dai contributi su tematiche macrocriminologiche si passa a quelli più specifici. Tra questi il tema I crimini violenti, purtroppo sempre più difrequente alla ribalta della cronaca, viene sviluppato su tre dimen-sioni. La prima, di Tiziana Roma, tratta degli omicidi in generale e della violenza minorile; la seconda, di Antonia Marzo, analizzal’area particolare degli omicidi in famiglia nelle loro diverse manife-stazioni; la terza, infine, di Fabio Iadeluca, esamina la figura delserial killer. Come si può arguire, tutti e tre gli aspetti rappresentanole diverse facce di un fenomeno che in anni recenti ha colpito mol-to l’immaginario collettivo: l’effetto, per dirla con Ponti e Fornari 1, del «fascino del male» si è visto non solo nel moltiplicarsi della let-teratura criminologica e non, ma anche nella diffusione di film e programmi televisivi sull’argomento. Se poi questo sia un modo per esorcizzare il male o per sod-disfare la morbosità del pubblico, è un altro discorso. A nostro pa-rere l’eccedere è sempre pericoloso. Un’ulteriore forma di devianza, la Violenza intrafamiliare, è af-frontata da Marcello Severoni che ne mette in evidenza le variegate modalità, dall’abuso psicologico a quello fisico. La materia, su I reati sessuali, trattata da Deborah Maidecchi eAdriano Morrone, occupa il capitolo successivo. Si articola su unexcursus storico sui comportamenti e sulla normativa, scritta dalla prima, e sull’analisi del fenomeno e delle conseguenti strategie dicontrasto, ad opera del secondo. L’ultima parte rivolge l’attenzione al tema Vittima e Vit-timologia. Aldo Franceschini e Chiara Merlo ripercorrono le varie fa-si che hanno portato, anche in Italia, a rivolgere l’attenzione alla vit-tima quale soggetto fondamentale del «sistema-reato» da tutelare, sia in fase processuale sia a livello sociale. Tant’è che ne è nata, co-me disciplina autonoma seppure strettamente connessa alla crimi-nologia, la vittimologia. In conclusione, la prospettiva del lavoro collettivo è quella di –––––––– 1 G. Ponti, U. Fornari, Il fascino del male, Milano, Cortina, 1995.
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Gemma Marotta 14volgere un discorso sui singoli temi, intrecciandone gli aspetti stori-ci, giuridici e criminologici, collegandoli ai mutamenti sociali. Peral-tro, così facendo, si può cogliere il perenne incontrarsi e scontrarsidel Sein (essere) e del Sollen (dover essere), della fenomenologia cri-minale e del suo controllo normativo, della patologia sociale e deglianticorpi prodotti, per reazione, dalla società. Il fatto che, comun-que, vi sia una risposta, al di là della sua validità o meno, dovrebbefar tornare una punta di ottimismo. E noi, che lo siamo, vogliamoconcludere con una frase di Pierre Bourdieu 2: Il mondo sociale mi riesce sopportabile perché posso arrabbiarmi.E finché ce ne sarà la possibilità, si potrà anche avere la forza permodificare ciò che ci è reso insopportabile. * * * Il lavoro collettaneo, ora introdotto, va visto in stretto collegamen-to con Teorie criminologiche. Da Beccaria al postmoderno, a firma di chiscrive, testo suggerito per il corso di cui si è parlato in precedenza. Si aggiunge ad una ulteriore silloge, dal titolo Tecnologie dell’informazio-ne e comportamenti devianti, a firma di altri autori. In sostanza le due «Letture» sono connesse al manuale com-pletandolo nei settori di specifica trattazione. Si coglie l’occasione per affermare il concetto che la responsa-bilità dei singoli contributi appartiene ai relativi autori. Come è ovvio, gli scambi di idee tra chi scrive e i diversi «con-tributori», come del resto tra di essi, sono stati continui e intensi co-sì da dare una veste unitaria alle due «Letture» e, al contempo, arric-chire le reciproche conoscenze. Mi è grato esprimere agli autori tutti di questo volume il mio più vivo apprezzamento per il loro impegno. Roma, 30 luglio 2004 Gemma Marotta –––––––– 2 P. Bourdieu, Il mondo sociale mi riesce sopportabile perché posso arrabbiarmi, Ro-ma, Nottetempo, 2004.
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633.IL MERCATO DELLA DROGA Fabio Iadeluca - Antonio Picci 3.1. LA DOMANDA ∗Il problema della droga oggi è diventato sempre più complesso, siconfigura come uno dei fenomeni che destano maggiore preoc-cupazione fra quelli che consentono di individuare il malessere so-ciale. Infatti, vista la gravità del problema, è opinione comune che il fenomeno deve essere inquadrato al fine di individuare le radici deldisagio, non in termini di disadattamento individuale, ma adottareun’ottica che permetta di leggere il disadattamento sociale. La tossicodipendenza incute nella società sempre maggiore timore, in quanto la stessa cresce e si diffonde maggiormente fra lefasce di età dei più giovani. Tale problematica costituisce esigenza fondamentale, in quan-to tutti i paesi del mondo sono afflitti dalle conseguenze devastantie drammatiche che generano il consumo di stupefacenti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità per tossico-dipendenza si intende una condizione di intossicazione cronica o periodica dannosa al-l’individuo e alla società, prodotta dall’uso ripetuto di una sostanza natu-rale o di sintesi. Sono sue caratteristiche: a. il desiderio incontrollabile di continuare ad assumere la sostanza e di–––––––– ∗Parte redatta da Fabio Iadeluca.
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Fabio Iadeluca - Antonio Picci 64procurarsela con ogni mezzo; b. la tendenza ad aumentare la dose (tolleranza); c. la disciplina psichica e talvolta fisica degli effetti della sostanza. La legislazione italiana è priva di una definizione specifica di droga,o come viene chiamata anche nella legge, di sostanza stupefacente.Comunque, una definizione da tenere presente come punto di rife-rimento è quella indicata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità secondo cui Sono da considerarsi sostanze stupefacenti tutte quelle sostanze di ori-gine vegetale o sintetica che agendo sul sistema nervoso centrale provo-cano stati di dipendenza fisica e/o psichica, dando luogo in alcuni casiad effetti di tolleranza (bisogno di incrementare le dosi con l’avanzaredell’abuso) e in altri casi a dipendenza a doppio filo e cioè a dipendenza dello stesso soggetto da più droghe.Infatti, il D.P.R. del 9 ottobre 1990, n. 309 1, non definisce in ma-niera categorica che cosa si debba intendere per sostanza stupefa-cente, ma lo stesso si limita ad elencare le sostanze che necessitanodi una particolare disciplina di controllo, facendo una distinzione indue classi: quella delle droghe pesanti che si contraddistingue in quan-to possono generare elevata dipendenza fisica o psichica nell’as-suntore agendo sul sistema nervoso centrale, e quella delle droghe leg-gere che si differenziano dalle prime in quanto generano meno peri-coli per la salute essendo minore la dipendenza fisica o psichica. Gli artt. 13 2e 14 3del D.P.R. 309/90 definiscono i criteri di base secondo i quali il Ministero della Salute di concerto con quello della Giustizia, sentito l’Istituto Superiore di Sanità, classifica le so-stanze in sei tabelle contenenti l’elenco delle sostanze stesse in con-formità alle normative internazionali. Il sistema di indicare le sostanze stupefacenti in tabelle, tuttoravigente, si può notare già nella stesura del primo intervento legisla-tivo in materia, fatto con la legge 18.02.1923, n. 396, che invece del-–––––––– 1 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (G.U. 31.10.1990, n. 255 s.o.) - «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, preven-zione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza». 2 Art. 13 D.P.R. 309/90 – Tabelle delle sostanze soggette a controllo.3 Art. 14 D.P.R. 309/90 – Criteri per la formazione delle tabelle.
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Il mercato della droga 65la definizione di droga, adotta un’elencazione delle sostanze in ta-belle suscettibili di aggiornamento. Fanno parte delle droghe pesanti: la cocaina, l’eroina, la mor-fina, altri derivati dell’oppio, l’anfetamina e gli allucinogeni, mentresono considerate droghe leggere l’hashish e la marijuana.Inoltre si indica con il termine di sostanze psicoattive, quelle che vengono comunemente impiegate per fini terapeutici (psico-farmaci), le quali a causa della loro elevata dipendenza vengono sot-toposte a regolamentazioni per la vendita in farmacia. La caratteristica fondamentale delle droghe è quella di instau-rare un particolare legame con chi ne fa uso, è per tale motivo che il consumatore può rimanere vincolato alla sostanza in modo tale daripetere l’assunzione nel tempo, per avere gli stessi effetti ricercati.Questo fenomeno si chiama dipendenza e consiste in una particola-re condizione che si viene ad instaurare nel tempo nel consumatore,e che si esprime come abitudine e poi sudditanza nei riguardi delladroga impiegata. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità si intende perdipendenza: uno stato risultante dall’interazione tra organismi e so-stanza farmacologicamente attiva, caratterizzato da un particolarecomportamento e da altri fattori che spesso inducono il desiderio diassumere la sostanza sporadicamente o continuamente al fine di ot-tenere effetti attivi sulla psiche e di provocare sconforto per la suaassenza4. Si intende, o si intendeva, per dipendenza psichica o psicologica l’impulso che richiede sporadiche e continue assunzioni per ottenerepiacere; l’assenza della sostanza invece genera uno stato di sconforto5, e per dipendenza fisica un alterato stato fisiologico instauratosi in seguito a ripetute assunzionicon la conseguenza di continuarle necessariamente, al fine di prevenirequei caratteristici sintomi specifici per ogni molecola, che sono noti conil termine di sindrome di astinenza 6. –––––––– 4 E. Bertol, F. Mari, Gli stupefacenti. Effetti, abuso, traffico, Padova, Cedam, 1991, p. 8.5 Ibidem.6 Ibidem, pp. 8-9.
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Fabio Iadeluca - Antonio Picci 66Oggi l’Organizzazione Mondiale della Sanità preferisce parlare di neuroadattamento, comprendente sia manifestazioni organiche che psicopatologiche 7. Bertol e Mari definiscono la tolleranza: la necessità di incrementare le dosi di assunzioni per ottenere lo stessogrado di effetti farmacologici causati dalle dosi iniziali 8Caratteristica fondamentale delle droghe è quella di instaurare con chi ne fa uso un particolare legame e questo può generare situazionidiverse sul piano comportamentale oltre che psichico e organico. La diversità dell’uso della droga è legata sia a fattori individuali sia alla qualità della sostanza impiegata. La classificazione degli as-suntori di stupefacenti viene redatta facendo riferimento a due pa-rametri: il tipo di dipendenza instaurata e il tipo di funzionamentosociale connesso con le peculiarità della dipendenza. Nello specifi-co, in queste prospettive si distinguono consumatori, tossicodipen-denti e tossicomani 9. • Consumatori sono individui che usano la droga, qualunque essasia, saltuariamente o in situazioni eccezionali, oppure anche in modo ripetitivo, ma utilizzando dosaggi del tutto innocui e man-tenendo sempre la possibilità di interrompere l’assunzione senza risentirne conseguenze. Questa modalità d’uso non comporta ingenere significativi disturbi dell’inserimento sociale 10. • Tossicodipendenti (o farmacodipendenti o dipendenti) sono semprecoloro nei quali la dipendenza si è instaurata a ragione del pro-trarsi dell’uso, costoro hanno la tendenza a continuare ad as-sumere la sostanza e a procurarsela anche a costo di sacrifici,perché si è loro creato il «bisogno della droga» 11. • Tossicomani sono quelle persone – quasi esclusivamente assuntoridi eroina, più raramente di cocaina e spesso di entrambe le so-–––––––– 7 I. Merzagora Betsos, Cocaina - La sostanza, i consumatori, gli effetti, Milano,Franco Angeli, 1997. 8 E. Bertol, F. Mari, op. cit., 1991, p. 9. 9 L. Cancrini, Esperienze di una ricerca sulla tossicomania giovanile in Italia, Milano,Mondadori, 1973. 10 G. Ponti, Compendio di criminologia, Milano, Raffaello Cortina Editore,1999, cap. 7, par. 118, pp. 503 e ss.11 Ibidem.
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Il mercato della droga 67stanze – nelle quali per essere diventata la tossicodipendenza par-ticolarmente intensa, l’assunzione di droga diventa l’unica ragio-ne di vita: tutti gli interessi girano intorno alla droga 123.1.1. Normativa di riferimento La strategia per poter combattere la droga prevede interventi fina-lizzati a contenere la domanda e per contrastarne l’offerta. Al fine di poter contenere efficacemente la domanda di droga– in quanto dove non c’è domanda, la disponibilità di merce non haalcun impatto – si può intervenire su chi fa uso di sostanze stupefa-centi, ovvero sul consumatore mediante: • leggi che proibiscono il consumo; • diverse modalità di trattamento e recupero dei tossicodipendenti; • prevenzione. Per quanto riguarda il primo punto, in questi anni, diverse sono sta-te le scelte del legislatore nei confronti dei consumatori di stupefa-centi. La legge 18 febbraio 1923, n. 396, considerava il consumo didroga un vizio che poteva rappresentare un pericolo per l’ordinepubblico. Puniva il consumatore, se questi avesse partecipato a ra-duni tenuti nelle fumerie, oppure se colto in grave stato di alterazio-ne psichica per abuso di stupefacenti in luoghi pubblici. Inoltre,non veniva data una definizione specifica di droga, ma veniva utiliz-zato un’elenco delle sostanze menzionate in tabelle suscettibili diaggiornamento, e dalla legge traspariva una scarsa attenzione agli aspetti psico-sociali del consumo di stupefacenti. Con la legge 22 ottobre 1954, n. 1041, il consumatore di stu-pefacenti viene considerato per la prima volta delinquente, ed equi-parato alle figure delittuose del produttore e dello spacciatore. Ilconsumatore viene punito in quanto tale. Non c’è nessuna distin-zione tra consumatore occasionale, abituale, tossicofilo o tossicodi-pendente. Con la legge del 22 dicembre 1975, n. 685, veniva sancito il principio secondo cui il consumo non fosse in sé punito, né fosse –––––––– 12 Ibidem.
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Fabio Iadeluca - Antonio Picci 68suscettibile di sanzioni penali chi acquistasse o comunque detenesseuna «modica quantità»13di droga (parametro di distinzione tra as-suntori e spacciatori), sempre che questo avvenisse per uso perso-nale. Con questa legge l’assuntore di sostanze stupefacenti viene considerato un soggetto colpito da disadattamento sociale e la di-pendenza dalla droga costituisce una malattia sociale. Infatti, la leg-ge si intitolava «Disciplina, cura e riabilitazione dei relativi stati ditossicodipendenza». Il considerare il consumatore di sostanze stu-pefacenti come un malato anziché un delinquente, e la contempo-ranea risposta terapeutica al propagarsi del problema della tos-sicodipendenza, comportano poi la non punibilità dell’uso perso-nale di «modica quantit
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