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Post n°2963 pubblicato il 02 Ottobre 2009 da psicologiaforense
CULTURA. Disagio e Suicidio AUTODISTRUZIONE: Le ragioni dell'intimo, i fattori del sociale ![]()
Fra le notizie più recenti, di sicuro interesse è quella proveniente da San Francisco, dove, per arginare il numero crescente degli «spettacolari» suicidi per precipizio dal tristemente famoso ponte Golden Gate, stanno alzando poderose balaustre alle fiancate per impedire (finalmente!) o quanto meno ostacolare al massimo il salto nel vuoto. Non è un problema da niente e proprio per questo continua ad essere affrontato dalla psicanalisi (e non solo a cominciare da Freud, come la ricerca moderna sostiene) e dalla psichiatria. La corrente dei medici trova una spiegazione del suicidio all'interno dello stesso suicida, mentre un'altra corrente, quella dei sociologi, cerca la spiegazione nell'ambiente sociale. La differenza fra il «trovare» e il «cercare» è fondamentale, perché anche quando si sostiene che è il malessere sociale a stare alla base di un suicidio, c'è tuttavia da valutare che senza una predisposizione psicologica al suicidio non si ricorrerebbe in nessun caso. Nel disagio sociale in cui l'umanità è sempre vissuta, dai tempi più antichi della storia fino a oggi, dovremmo essere tutti suicidi. Invece no, perché nello spirito di conservazione che prevale a vincere è l'ideale della lotta, del resistere e anche di vincere. Secondo la psicologia, il problema del suicidio ricade comunque nel caso clinico, anche quando al gesto del voler morire si intende dare una funzione di ricatto, con una carica di aggressività autodistruttrice, che tuttavia esprime una convinzione di impotenza che con quel gesto si intende rimuovere. Per i sociologi si tratta di suicidi «razionali», ma il risvolto di irrazionalità, aggiunto dai clinici, sta nell'assurdo della rinuncia non solo alla lotta che il gesto stesso vorrebbe provocare, ma anche all'inestimabile ordine di relazioni e di affetti (primi fra tutti quelli familiari). Da qui la precisazione freudiana del «gesto narcisistico», da qui la raccomandazione di Tolstoy alla «fede», come «conoscenza del senso della vita umana». La costituzione mentale, per gli studiosi, ha una sua precisa importanza; l'emotività, la labilità, la depressione, la stanchezza, la sfiducia: tutti livelli di debolezza che non risparmiano neppure «l'intelligenza geniale» (Pierre Moron, psichiatra all'ospedale di Tolosa). Detto questo, non può sfuggire tuttavia una responsabilità sociale che incide negativamente sul soggetto suicida. Ma questa, sin dai tempi di Socrate, pur nella sua oggettività, resta paradossalmente astratta: è nel destino dell'uomo, ben altra cosa rispetto al fattore intenzionale della coercizione, l'imposizione cioè a doversi suicidare, come fu nel caso di Socrate.
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