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Post n°3240 pubblicato il 19 Novembre 2009 da psicologiaforense
STORIE, STORIELLE, STORIACCE ( ma sempre autentiche e con carattere pedagogico)
NEL '700 una moda s'aggirò per l'Europa. Sorsero ovunque giardini «romantici» inglesi dove il visitatore poteva penetrare in una natura ora selvaggia, ora dolce. C'erano grotte, boschi, cascate, capanne. Per rendere il quadro più suggestivo, un gentiluomo pensò di assumere un eremita, un tapino che - per contratto - doveva rimanere sette anni in silenzio, indossare sandali e abiti laceri, non tagliarsi i capelli e le unghie, starsene seduto con la Bibbia in mano, ostentare un'aria pia e pensosa, bere acqua di ruscello. La paga era buona. Ma il candidato più tenace resistette solo tre settimane, prima di fuggire a gambe levate e sgavazzare. Questi giardini «a tema» - anche senza eremiti - ebbero comunque successo. Suscitavano nel pubblico, che pagava un biglietto, emozioni intense e profonde. Aprirono la strada ai parchi cittadini otto e novecenteschi, ai non luoghi del divertimento, alle varie Disneyland. E costituirono una delle prime palestre del turismo. La vacanza moderna fu inventata da pochi eccentrici battistrada. Studiosi e naturalisti viaggiavano nella natura vergine non più per misurarla, scoprirla, conoscerla, ma per provare emozioni. Alcuni tenevano nella bisaccia una strana lente che deformava il paesaggio, con lo scopo di ottenere una «visione» sentimentale, una cartolina istantanea del luogo. Gli aristocratici viandanti del nord abbandonavano palazzi e castelli per effettuare il Grand Tour, nell'Europa meridionale, pensando che il bagaglio di avventure ricavato (dalla processione nelle rovine classiche alla conquista di cameriere nelle locande) fosse fondamentale per formare il carattere e prepararsi alla vita. Poi vennero legioni di borghesi in cerca di svago. Quindi masse di proletari - guardati con disprezzo dai ricchi - che si spostavano nei weekend per abboffarsi, corteggiare il sesso opposto, ballare, cantare; insomma, per dimenticare le fatiche del lavoro. Nel corso del tempo pittori inquieti andavano al mare per cercare nuovi colori. Mentre le famiglie danarose - convinte dalle nuove teorie mediche - scoprivano i benefici e la gioia delle coste, costruendo case da villeggiatura, affollando alberghi e le citta' balneari che si riempivano di svaghi, casino', teatri. E, lentamente, il turismo e' diventata la maggiore industria del pianeta. Senza limiti, ne' confini. Lofgren analizza nei dettagli l'evoluzione culturale e sociale della vacanza. Incontra gli oggetti, le mode, le mentalita'. I quadri paesaggisti del settecento - che avevano enorme mercato e facevano campare decine di pittori nel meridione d'Europa - si evolvono in cartoline. Le schegge dei monumenti, le pietre dei vulcani, l'artigianto, cercati come una rarita' preziosa dai viaggiatori antichi, diventano il motore dell'industria del souvenir, dagli indiani d'America a Sorrento. Il Grand Tour aristocratico si trasforma nei viaggi organizzati «tutto compreso» nelle spiagge di Rimini o nei paradisi di sabbia e palme. I mutamenti del costume si riflettono e si influenzano con l'amministrazione del tempo libero. All'inizio anche in montagna o al mare, permangono i pregiudizi sociali. Gli alberghi eleganti rifiutano i poveri e gli ebrei («solo clientela selezionata»). I pionieri della natura selvaggia, sono infastiditi dall'intrusione delle donne. Le spiagge primitive richiedono una rigida separazione tra i sessi, poi man mano, cominciano a mescolare i turisti, con corpi sempre piu' svelati. I picnic, l'arte della passeggiata, il modo di viaggiare in treno e in auto, la consultazione degli orari, la seduzione della pubblicita', le valigie e il sacco a pelo, tutto fa parte di un immaginario complesso e disordinato. Tutti, dai viaggiatori-letterati alla famigliola in cerca di relax, appartengono alla stessa grande famiglia dell'homo turisticus. Perche' la «vacanza» e' una delle «poche utopie gestibili della nostra vita quotidiana». E negli ultimi 40 anni e' diventata oggetto di studio da parte degli antropologi. Che la considerano un «laboratorio» per capire l'archeologia del presente, i processi di globalizzazione, i meccanismi dell'immaginario collettivo. Il turismo «mondializzato» e' sicuramente figlio della colonizzazione. Ma anche del desiderio di non rinchiudersi negli stati nazionali. E' fresca la polemica suscitata dal papa sui «villaggi vacanze» . E su questo punto l'antropologia ha qualcosa da dire. Un'analisi profonda del fenomeno, ribalta la visione ingenua dei «falsi» turisti opposti agli «ingenui» indigeni e privilegia la prospettiva del dialogo, della contaminazione, della creazione di nuove identita'. Non bisogna peccare di ottimismo. Perche' le ondate di viaggiatori hanno prodotto effetti devastanti sulla natura o ripugnanti sulle comunita' meno ricchi (basti pensare ai viaggi del sesso). Non bisogna pero' neanche dimenticare che il turismo ha prodotto benefici su economie nazionali, su indigeni ridotti a fantasmi dal colonialismo ottocentesco, piu' efficaci di molti piani umanitari di assistenza. Con l'arrivo dell'estate torna anche il tormentone della vacanza intelligente. Un modo di girare autentico contrapposto a quello fesso e massificato. La diatriba e' antica. E sterile. Sempre la stessa, da quando l'uomo ha capito che provava piacere ad abbandonare case e citta' qualche volta all'anno. Il turismo coinvolge centinaia di milioni di persone. Che brulicano su aerei, navi, pulmini, alla ricerca del divertimento. Come in ogni fenomeno di massa, la mercificazione e l'economia sono importanti. Ma, come in ogni tipo di consumi, sono altrettanto importanti gli «attori sociali», le persone, i veri motori di ogni cosa. Non c'e' nessun motivo per credere che siano sempre e comunque vittime istupidite. Ne' gli uomini bianchi con la valigia piena di creme e videocamere. Ne' gli indigeni con il perizoma. E non ci sono motivi per pensare che i raffinati libri di Chatwin (letti con orgoglioso snobismo) e le comitive impacchettate nei tour esotici siano diversi. Dietro entrambi, come dimostra lo studio di Lofgren, c'e' lo stesso vortice di aspettative, bisogni, frustrazioni, utopie.
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