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RIFLESSIONI, PENSIERI, IDEE, OPINIONI, SUGGESTIONI....PER UN NUOVO GIORNO

Post n°3416 pubblicato il 22 Dicembre 2009 da psicologiaforense

LA RIFLESSIONE DELLE SERA

 PETER PAN PER FORZA

Si è parlato di sindrome nazionale, a proposito dei giovani – e non più, propriamente, giovani – che rimangono a carico della famiglia ben oltre, molto oltre la maggiore età. Il motivo – ed è questa, la vera malattia nazionale – chiaramente si evidenzia nella difficoltà, nell'impossibilità di trovare una degna occupazione professionale o lavorativa in tempi ragionevoli. Stiracchiati sono gli accessi alle carriere, penalizzanti i periodi prolungati di studio univesitario con la partenza ad handicap di un anno rispetto all'Europa, minimi gli spazi d'inserimento soprattutto – inutile dirlo – al Sud. Ed è per questo che si diventa Peter Pan per necessità. Ma è la società ampiamente intesa che da noi non aiuta a crescere. Non ci sono politiche adeguate al sostegno per le giovani coppie o per i giovani single: niente canoni d'affitto privilegiati, ridicoli sussidi, inesistenti strutture d'accoglienza, scarsa propensione allo scambio tra voglia d'arrangiarsi e libertà di vita. Dunque, non solo malessere; ma insensibilità ai rimedi per risolverlo. Influisce molto l'instabilità, la precarietà delle poche occasioni di reddito; influisce la mentalità da mammoni che con pizza, spaghetti e crac finanziari ci identifica nel mondo; e influisce un diffuso senso di rassegnazione che, transitando per l'assistenzialismo, induce a lunghissime, perenni attese del «posto» promesso, o addirittura garantito, dal potente-referente di zona. Ma c'è anche – ammettiamolo – un lassismo di fondo che con Peter Pan ha ben poco da spartire. Gli abbandoni scolastici, la sproporzione tra iscritti all'università e laureati, l'incredibile numero di concorrenti ai rari concorsi pubblici rispetto alle assunzioni possibili, disegnano – sebbene generalizzando l'immagine – i tratti distintivi di tanti, troppi giovani nostrani alla ricerca d'identità sociale. Solo chi ha voglia di lavoro e indipendenza economica è risolvibile al sacrificio produttivo di anni e anni di studio, come all'avventura di un'incerta partenza alla ricerca di occasioni da cogliere. Gli altri – e non sono pochi, gli altri – vivono sullo stipendio, peggio sulla pensione dei genitori. O addirittura dei nonni.Preferiscono "attendere". E per questo, si sa, niente di meglio esiste della casa paterna e materna, del pranzo pronto e servito, della camicia lavata e stirata con affettuosa puntualità. È l'eterna ambivalenza delle statistiche, così, a rendere più problematico il problema, nella quasi impossibilità di differenziarne opportunamente le cause. Consegnando infine un'immagine delle nuove generazioni che può creare facili atteggiamenti di disappunto e ancor più facili alibi all'inattività. Manca in molti casi il lavoro come manca, in alcuni casi, la voglia di lavorare. E si rimane figli spesso per necessità, ma a volte anche per scelta o per incapacità nel cambiare ruolo.

 
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Commenti al Post:
lapalmieri.pp
lapalmieri.pp il 22/12/09 alle 20:57 via WEB
Italiani mammoni? Se mai il contrario. Non sono loro a non volersene andare di casa, ma i genitori italici che sono fin troppo propensi a dare il nido ai loro piccoli ma che si guardano bene dal fornire le ali per spiccare il volo. In altre parole, i genitori italiani metterebbero in atto vere e proprie strategie per «costringere» la prole a non andarsene di casa o comunque ad andarsene il più tardi possibile. A sostenere questa «rivoluzione copernicana» sono due ricercatori, uno che lavora a Londra e uno a San Francisco, guardacaso entrambi italiani, visto che rispondono ai nomi, rispettivamente, di Marco Manacorda ed Enrico Moretti.
(Rispondi)
 
 
santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:14 via WEB
storia naturale della giovinezza
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luigiarusso
luigiarusso il 22/12/09 alle 21:31 via WEB
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lapalmieri.pp
lapalmieri.pp il 22/12/09 alle 20:58 via WEB
I due hanno appena pubblicato sulla rivista Centrepiece uno studio nel quale declinano i motivi, dati alla mano, per cui sarebbero non i figli, bensì i genitori a guadagnare da questa situazione. «In Italia l'80% dei giovani tra i 18 ed i 30 anni vive con i genitori: una percentuale enorme in confronto al 50% dei britannici e al 40% degli statunitensi» fanno notare Manacorda e Moretti. Secondo loro il fenomeno è dovuto al fatto che, al contrario dei genitori anglosassoni, a quelli italiani «piace avere i propri figli intorno e pur di convincerli a vivere con loro sono disposti a corromperlì in cambio di favori e soldi».
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santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:16 via WEB
anatomia del giovane del tempo presente
(Rispondi)
 
lapalmieri.pp
lapalmieri.pp il 22/12/09 alle 20:59 via WEB
Italiani mammoni? Se mai il contrario. Non sono loro a non volersene andare di casa, ma i genitori italici che sono fin troppo propensi a dare il nido ai loro piccoli ma che si guardano bene dal fornire le ali per spiccare il volo. In altre parole, i genitori italiani metterebbero in atto vere e proprie strategie per «costringere» la prole a non andarsene di casa o comunque ad andarsene il più tardi possibile. A sostenere questa «rivoluzione copernicana» sono due ricercatori, uno che lavora a Londra e uno a San Francisco, guardacaso entrambi italiani, visto che rispondono ai nomi, rispettivamente, di Marco Manacorda ed Enrico Moretti. &#9632; L'intervista all'autore della ricerca LO STUDIO - I due hanno appena pubblicato sulla rivista Centrepiece uno studio nel quale declinano i motivi, dati alla mano, per cui sarebbero non i figli, bensì i genitori a guadagnare da questa situazione. «In Italia l'80% dei giovani tra i 18 ed i 30 anni vive con i genitori: una percentuale enorme in confronto al 50% dei britannici e al 40% degli statunitensi» fanno notare Manacorda e Moretti. Secondo loro il fenomeno è dovuto al fatto che, al contrario dei genitori anglosassoni, a quelli italiani «piace avere i propri figli intorno e pur di convincerli a vivere con loro sono disposti a corromperlì in cambio di favori e soldi». BENEFICI - I genitori traggono beneficio dalla compagnia e dai servizi che i figli possono offrire e soprattutto, secondo la ricerca , dall'opportunità di costringere i figli a osservare le loro regole. Mentre quindi per i genitori la situazione risulta vantaggiosa, al contrario i giovani si trovano con le ali tarpate, sono spesso disoccupati, viaggiano di meno e faticano a mettere su famiglia. «Il prezzo che i giovani italiani si trovano a pagare è una scarsa indipendenza e, a lungo termine, poca soddisfazione nella vita. In conclusione, riteniamo che i genitori italiani si sforzino molto per farsi amare dalla loro prole, ma in un certo senso comprano questo amore in cambio dell'indipendenza dei figli», hanno concluso i ricercatori.
(Rispondi)
 
 
santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:17 via WEB
così si va: dal disagio alla devianza giovanile. L'ozio è il padre di tutti i vizi!
(Rispondi)
 
 
 
luigiarusso
luigiarusso il 22/12/09 alle 21:32 via WEB
appunto, sono perdenti e vili questi ragazzi
(Rispondi)
 
lapalmieri.pp
lapalmieri.pp il 22/12/09 alle 21:00 via WEB
scusate se ho diviso in tre "puntate" questa telenovela che in effetti è UN GRAVISSIMO PROBLEMA SOCIALE
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santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:21 via WEB
non scusarti, hai fatto bene! Nessuno può nascondere la difficoltà, la pregnanza e le implicazioni di questo problema sociale che fino a qualche anno fa era solo un fenomeno sociale che ispirava divertite satire, vignette, battute, ecc..
(Rispondi)
 
luceinfame
luceinfame il 22/12/09 alle 21:02 via WEB
Molti di noi hanno imparato che in alcuni momenti nella vita si può avere a che fare con i propri fantasmi. Fantasmi e ombre sfuggenti che si muovono ai margini della nostra esistenza, come anche della nostra vita mentale e, a volte ci fanno paura, altre volte, invece, proprio il guardarli senza negarli ci permette di liberarci dalle paure più profonde però, pochi di noi, hanno pensato che, forse, questi fantasmi parentali sono difficilmente cacciabili perché continuano a riproporsi nelle immagini speculari di noi stessi che proponiamo al mondo. E’ il caso della tanto nominata ‘sindrome di Peter Pan’, etichetta fin troppo utilizzata per descrivere in modo superficiale il modo di essere dei trenta-quarantenni di oggi. Per scrivere di questa sindrome, occorre addentrarsi dentro le strade deserte e i paesaggi notturni dove si vive quell’atmosfera vuota e a tratti malinconica di persone che cercano e aspettano quella brezza sufficiente a dare vita alla pietrificata, mistica, divina e provocatrice anima di Peter Pan. Anche se non è una malattia psicologica ufficiale, e, al di là del naturale e sano spirito d’avventura e di vita che ciascuno può provare, la sindrome di Peter Pan è stata così definita prendendo spunto dall’omonimo personaggio favolistico che nella sua storia ammette candidamente di essere divenuto tale dopo avere ascoltato i suoi genitori che parlavano di lui da grande. Da ciò, Peter Pan, permette di descrivere quell’atteggiamento molto diffuso di rifiuto, più o meno dichiarato, di viversi come adulti e convivere con l’incapacità a diventare autonomi, con l’indifferenza per il riuscire a gestire se stessi, con la paura delle responsabilità, tutti elementi, questi, che conducono, tuttavia, a rimanere intrappolati in aspetti infantili del proprio sé illudendosi di godere dei vantaggi che questo stato non reale di fanciullezza comporta. Un recente studio psicologico evidenzia come la sindrome del non voler mai crescere sta dilagando sempre di più e che, gli adulti di oggi, sono meno maturi di quelli di un tempo. Molto si è detto e scritto sul fatto che l’uomo di oggi vuole rimanere bambino, perché gli esseri umani sono attratti dalla giovinezza, ma, anche che la società moderna, con la sua precarietà, contribuisce ad aumentare questa tendenza a voler rimanere sempre piccoli. D’altronde, inutile negare che l’impossibilità di una realizzazione lavorativa effettiva produce un’impossibilità a costruire la propria autonomia e indipendenza dal nucleo familiare d’origine. Più che parlare di sindrome, quindi, occorre, a nostro avviso, parlare di un vero e proprio fenomeno psicologico e insieme sociale e, per capirlo, non si possono non evidenziare alcuni elementi. Intanto, in un mondo che cambia troppo rapidamente significati e significanti, la giovinezza non è più soltanto un momento critico di preparazione al futuro da adulti ma è divenuto un vero e proprio modo di essere, tant’è che oggi molto si parla di una tendenza indotta a possedere un’età anagrafica idealmente eterna dove bisogna rimanere giovani, anzi giovanissimi, e, non bisogna crescere perché crescere comporta il rischio di essere tristi e pieni di problemi. Mentre la generazione che si colloca tra la fine degli anni ’60/inizi anni ’70 (beat-generation per intenderci) anticipava l’uscita dal nucleo familiare il più velocemente possibile proprio per il bisogno di costruire una società diversa (da notare che il mondo che viviamo oggi è il risultato di questa costruzione), nella nostra contemporaneità, il centraggio nel nucleo d’origine non è da intendersi come tendenza di una generazione anomala che non vuole faticare e che ha paura di essere autonoma e adulta. Infatti, è vero che il 30-40enne di oggi staziona comodamente nella casa natale, vive di solito una condizione agiata, predilige la vita mondana, può posteggiarsi nei diversi atenei, accede con ritardo e fatica nel mondo del lavoro, si sposa tardi, divorzia, ecc. , ma, dietro l’apparente leggerezza ed ebbrezza data dal sentirsi bambini, si nasconde un’amarezza, tristezza e insoddisfazione indefinibili. Intanto, la permanenza in famiglia dei Peter Pan, avviene soltanto a patto di una rinegoziazione dei ruoli e dei rapporti con i genitori che non è esente da aspetti conflittuali notevolmente elevati, dove liti e opposizioni a volte verbali, a volte non verbali, accompagnano il percepire un’invasione dei propri spazi personali; secondo poi, la fatica a crescere, diviene anche un’incalcolabile fatica nel riuscire a mantenere dentro di sé un equilibrio e un autostima con se stessi e un umore stabili, ma, anche, riuscire a mantenere nel tempo rapporti interpersonali autentici e soddisfacenti. Quindi, più che parlare di sindrome di Peter Pan, sarebbe meglio parlare di una difficoltà di un’intera generazione a trovare una propria collocazione nel mondo in cui viviamo e un benessere ed equilibrio interiore che riescano a colmare l’insoddisfazione e l’angoscia sentiti dentro. Le difficoltà ad assumersi le responsabilità, il rinvio all’infinito di scelte importanti, l’indecisione sulle mete da raggiungere sono accompagnate, infatti, da profondi stati d’ansia, depressione, insonnia, psicosomatizzazioni, ricerca ossessiva delle novità che rivelano, in realtà, l’insoddisfazione e la profonda insicurezza sottostanti, mascherate da atteggiamenti disinvolti o stravaganti sbandierati nelle serate mondane o altro. Psicologicamente, il non riuscire a possedere un atteggiamento di responsabilità anzitutto nei confronti di se stessi e della propria esistenza è da rintracciare in dei vissuti di carenza affettiva che hanno condotto la psiche a un ripiegare in modo involutivo su se stessa per colmare questo vuoto emozionale attraverso un narcisismo deleterio. La frustrazione vissuta, quindi, produce un’involuzione a fasi dello sviluppo psichico precedenti e un blocco ad esse. Nello specifico dell’adolescenza ritardata, si preferisce inconsciamente rimanere ancorati in un momento di gioventù passato perché i meccanismi psichici inconsci dell’onnipotenza e del diniego producono un ebbrezza e leggerezza percepita come meno conflittuale rispetto all’andare avanti. Andare avanti, d’altronde, significa anche guardare a ciò che quelli prima di noi hanno fatto, la strada da loro lasciata e, la generazione dei 30-40enni di oggi, non condivide minimamente il modo di essere adulti posto come ruolo rigido dalle generazioni passate. A questo proposito, è bene sapere che essere adulto significa essenzialmente possedere la libertà di essere padroni di sé stessi e della propria esistenza; è, la libertà, non deve fare paura. D’altronde, parlando di Peter Pan, viene alla mente un’altra icona del nostro inconscio collettivo ben descritta da Giovanni Pascoli: il fanciullino. Infatti, mentre Peter Pan simboleggia la mancata individuazione di se stessi, l’immaturità e il blocco emozionale, il fanciullino, invece, fa riecheggiare in noi, tutte quelle caratteristiche quali la curiosità autentica, la creatività, lo stupore per le cose che sono proprio da preservare in ogni momento della vita perché motore prezioso capace di farci sentire sempre coerenti, coesi e liberi di essere.
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santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:18 via WEB
guarda che il giovane è solo un prodotto della società
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luigiarusso
luigiarusso il 22/12/09 alle 21:32 via WEB
anche questo è vero
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luceinfame
luceinfame il 22/12/09 alle 21:04 via WEB
IN BREVE: La sindrome di Peter Pan è quella situazione psicologica in cui si trova una persona immatura, che si rifiuta (o è incapace) di crescere, di diventare adulta e di assumersi delle responsabilità. La sindrome è una condizione psicologica patologica in cui un soggetto rifiuta di operare nel mondo "Degli adulti" in quanto lo ritiene ostile e si rifugia in comportamenti ed in regole comportamentali tipiche della fanciullezza. Della sindrome si sono avuti riscontri anche in ambito grafologico, in questo versante i soggetti si caratterizzano per una scrittura addossata, accartocciata, inanellata, curva, con aste ritorte a sinistra. Il termine è entrato nell'uso comune in seguito alla pubblicazione nel 1983 di un libro di Dan Kiley, intitolato The Peter Pan Syndrome: Men Who Have Never Grown Up.
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santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:22 via WEB
bella sintesi
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bibiosa
bibiosa il 22/12/09 alle 21:06 via WEB
SCRIVETE TROPPO, SINTETIZZATE, NON VI LEGGE NESSUNO!!!! LA SINNTESI E' UNA VIRTU'....
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santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:24 via WEB
La brevità è una grande attrattiva dell'eloquenza.
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luigiarusso
luigiarusso il 22/12/09 alle 21:34 via WEB
Per capacità di analisi e sintesi si intende l’abilità del soggetto di comprendere un problema in profondità e nelle sue varie sfaccettature, prima analizzandone i vari aspetti, poi ricomponendoli in una visione unitaria e globale. I due processi dell’analisi e della sintesi devono essere equilibrati tra loro. La sola capacità analitica, infatti, mette in grado di sviscerare fin nei dettagli e nelle sfumature ciò che si prende in esame, col rischio però di rimanere ad una visione frammentaria e parziale delle cose. NON E' UNA BANALITA'. La capacità di sintesi, viceversa, non equilibrata con quella analitica, può portare ad associare in modo rapido e brillante i concetti tra loro, giungendo velocemente ad una visione dei problemi globale ma superficiale, perché si trascurano particolari importanti.
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bibiosa
bibiosa il 22/12/09 alle 21:07 via WEB
errata corrige, scusate, si legga SINTESI
(Rispondi)
 
bibiosa
bibiosa il 22/12/09 alle 21:08 via WEB
Questa voce sull'argomento psicologia è solo un abbozzo.
(Rispondi)
 
bibiosa
bibiosa il 22/12/09 alle 21:09 via WEB
La sindrome non è citata nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders.
(Rispondi)
 
 
santinazs
santinazs il 22/12/09 alle 21:27 via WEB
sindromi di moda "cenerentola" "peter pan", " biancaneve", ecc... è ovvio che non siano considerate nel DSM
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pippo_217
pippo_217 il 23/12/09 alle 03:05 via WEB
Conobbi un Peter Pan in tenera età e lo conosco ancora.
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